di Claudio Cajati
Elefantuzz, prima che si ribellasse al Circo e fosse scelto come guida per il gruppo di animali in cui si parla in questa storia
Questa
sicuramente non ve l’aspettavate, vero? Una lettera di noi animali.
Non è stato
facile. O meglio, è stata faticosa la concezione – ognuno voleva dire la
propria – e ardua la stesura materiale – non abbiamo penne, biro o stilografiche,
né tastiere di computer, noi.
Io che sono
Elefantuzz, un elefantino sveglio, ordinato e imparziale, ho avuto
dall’assemblea, a stragrande maggioranza, l’incarico di raccogliere le proposte
per cosa mettere nella lettera. E siccome, come del resto tutti quelli della
mia specie, ho una memoria di ferro, non ho avuto bisogno di prendere appunti:
tutto quello che, freneticamente e disordinatamente, mi veniva segnalato e
caldeggiato, io, perbacco, l’ho conservato intatto nella mia capiente capoccia.
Tutti si
affannavano intorno a me per dire i loro problemi e i loro desideri: dalla
balena con voce cavernosa al topo che squittisce acuto, dal ruggito minaccioso
dei grandi felini all’abbaiare petulante dei chihuahua, dal grido regale
dell’aquila al sommesso brusio del calabrone. Insomma c’era da impazzire di
fronte a tanta diversità. Ho dovuto imparare in fretta mille linguaggi. E sono
diventato in poche ore, non fo per dire, un linguista e interprete
insuperabile.
Il problema
più grave, però, è stato quello della stesura materiale della lettera. Bisogna
che io lo ammetta: fra noi animali c’è molto spirito competitivo. Ma senza
presunzione, senza accanimento, sempre con l’unico e sano proposito di fare le
cose il meglio possibile.
La prima a
proporsi come scrivana è stata Lemmelemme, una lumaca generosa e socialmente
impegnata. È venuta da me più veloce che poteva, insomma lenta invece che
lentissima. E mi ha fatto presente che con la sua scia argentea poteva
tracciare consonanti e vocali: il risultato sarebbe stato delicato, aggraziato
e romantico. L’ho guardata benevolo dall’alto della mia mole, attento a non
muovere un passo per non calpestarla. E con la morte nel cuore le ho detto: “Ma
Lemmelemme, ti rendi conto quanto tempo ci vorrebbe?” Lei ha fatto la mossa di
rispondere per perorare la sua causa. Poi però si è resa conto e si è
allontanata mogia mogia. Più lenta che mai.
Il secondo
a proporsi è stato Telafina, un bel ragno nero e peloso, che mi si è
arrampicato spavaldo su una zampa. Subito ha cominciato a farsi propaganda: lui
con ben otto zampe avrebbe fatto presto a scrivere la lettera. “Ma scusa” gli
ho fatto rilevare con tutto il tatto possibile “le tue ragnatele sono
bellissime, per carità, hanno una geometria prodigiosa. Ma non assomigliano a
nessuna consonante o vocale dell’alfabeto umano.” E lui, che è permaloso, si è
sottratto al dialogo e sprezzante si è ritirato al centro della sua ragnatela.
Poi è stato
il turno di Picpic, un picchio dal becco appuntito e trasiticcio che, per farsi
notare nella folla di questuanti attorno a me, mi ha beccato sul cocuzzolo
della capa. “E come faresti a scrivere?” gli ho chiesto, fingendo curiosità ma
già perplesso. Lui, di rimando: “Con il mio becco posso traforare il foglio.
Sono già allenato con la corteccia degli alberi, lo sai no?” “E quanto dovrebbe
essere grande il foglio della lettera, secondo te?” gli ho contestato. Picpic
ha esclamato, sfacciatamente: “Grande certamente, ma un foglio così me lo so
procurare… volo dentro una cartiera e…” “Però” l’ho subito stoppato “noi la
lettera la dobbiamo mettere in una busta, così si usa. Intendi…?” Picpic ha
inteso. Se n’è volato via, non prima però di avermi dato una beccata dispettosa
in un orecchio.
Subito
allora si è presentata, tutta impettita, Furfa. Una gazza più ladra che mai.
“Posso scriverla io la lettera” ha gracchiato lei spavalda “piglio tanti tanti
semi, che io sono brava, lo sapete bene, e con la resina dei pini li incollo
sul foglio… Che ne dici, Elefantuzz?” “Dico” ho replicato severo “che tu sei,
oltre che notoriamente ladra, anche golosa e mangiona: già m’immagino quanti
semi finirebbero lungo il tragitto nel tuo gargarozzo invece che sul foglio
della lettera!” Furfa, quanto mai indispettita, ha cercato qualcosa da
rubacchiare prima di decidersi a volare via.
A questo
punto si è fatto avanti Zamparazzo, topo minuscolo ma velocissimo e
intraprendente. “Senti, Elefantuzz, te la offro io la soluzione: tu sai che noi
topi usiamo la coda per vari scopi. Per esempio, per farci tirare mentre
teniamo un uovo sulla pancia.” “E allora?” ho sbottato io che stavo cominciando
a irritarmi per queste proposte velleitarie. “Allora” ha squittito lui sicuro
“io la coda la posso intingere nell’inchiostro e passarla sul foglio per
tracciare consonanti e vocali.”
Stavo
valutando se la cosa era davvero fattibile, quando all’improvviso Zamparazzo si
è beccata una zampata in testa. Era opera di Miciobel, il gatto che lo insegue
da mesi: “Ué, topastro maledetto” gli ha gridato senza riguardo “fila via se
non vuoi fare una brutta fine.” Poi, con un sorriso accattivante rivolto a me,
ha sostenuto: “Scrivere la lettera tocca al sottoscritto. Ho le unghie fatte
apposta, una volta intinte nell’inchiostro, per tracciare consonanti e vocali
come si deve. Altro che la coda moscia e lunga di un topuncolo presuntuoso!”
“Okay” ho
ammesso, più per stanchezza che per convinzione “ma l’inchiostro come ce lo
procuriamo?” Miciobel ha gonfiato il petto e ha fatto l’espressione più furba
che poteva. Poi ha continuato: “Caro il mio elefantino, noi gatti, se vogliamo,
sappiamo essere una famiglia. Una famiglia attrezzata, ogni membro con un
proprio compito. E così abbiamo, all’uopo, Pescato’. Uno dei pochissimi mici
che non hanno paura dell’acqua: lui non ha problemi ad andare dentro i fiumi e
il mare a pescare. E pesca anche le seppie… Hai già capito, vero? Seppia vuol
dire nero di seppia. Ecco il nostro inchiostro! Ok?” Ero frastornato ma
contento. Sono riuscito solo a dire, anche io: “Ok”.
Quando
Pescato’, di ritorno dall’immersione, finalmente ha portato il nero di seppia,
Miciobel vi ha intinto con allegra disinvoltura un’unghia della zampa. E ha
scritto, in discreta grafia, questa benedetta lettera:
Cari umani
(cari non in senso affettuoso, ma nel senso che ci costate caro),
abbiamo
alcune cosine da dirvi. Scusate se ve le diciamo senza un ordine preciso. Ma vi
tocca essere indulgenti: troppo urgente imperiosa fremente disordinata, premeva
da dentro i nostri petti la voce del dolore, dell’indignazione, della rabbia.
A noi
farfalle ci catturate con impietose retine. Come se fosse un gioco o uno sport
grazioso per bambini e fanciulle. E poco vi importa se, toccandoci le ali, ne
rompete le nervature sicché più non possiamo volare. Ma nemmeno questo vi
basta: siete per natura amanti e collezionisti di cose belle e, siccome noi
siamo belle, ecco che anche noi dobbiamo entrare a far parte di una vostra
collezione: ci fissate, trafitte da spilloni, in vetrinette che adornano le
vostre confortevoli case perbene. La nostra morte come spettacolo per allietare
la vostra vita.
A noi
formiche ci perseguitate periodicamente, con vere e proprie campagne di
genocidio. Niente volete sapere della nostra stupefacente organizzazione
sociale, della nostra sana gerarchia, della nostra umile e silenziosa
previdenza contro fame e freddo (aspetti della vita in cui siete notoriamente
molto scarsi). Con i raffinati micidiali prodotti della chimica moderna, badate
a spargere veleni nei nostri formicai e sulle soglie delle porte che non vanno
superate. E se, per caso, ci riusciamo, ecco che le suole delle vostre scarpe
si abbattono implacabili su di noi: è morte certa, ma inflitta con
indifferenza, o con gusto, o perfino con i sorrisetti sadici di chi si sta
divertendo a praticare uno sport in più. Togliere agevolmente la vita a
piccolissime creature indifese per sentirvi bravi, per illudervi di essere
superiori. Ma anche per soddisfare i vostri perversi gusti alimentari. Già, in
certi paesi ci cucinate e ci offrite nei ristoranti come prelibatezze. E allora
vi chiediamo: Vi piacerebbe se un essere sovrumano, molto ma molto più grande
di voi, gongolasse e si gloriasse di schiacciarvi a morte, solo perché ai suoi
occhi siete esseri inutili e nocivi, degni soltanto di essere soppressi? O
trovasse la vostra carne deliziosa, dolce e digeribile, e vi facesse a pezzi
per poi cucinarvi a puntino?
Noi zanzare
siamo condannate già prima di agire. Voi sostenete che è giusto e sacrosanto
ucciderci perché noi vi succhiamo il sangue e con le nostre punture vi lasciamo
un forte prurito. Ma – basta informarsi – il vostro sangue si ricrea anche
soltanto bevendo un bicchiere d’acqua. E quanto al prurito, non avete forse una
gamma perfino pletorica di prodotti per eliminare questo fastidio? Ma ciò non
vi basta, come al solito: per impedirci di succhiare quel pochino pochino di
sangue che ci permetta di sopravvivere, vi dotate di tutti i prodotti
anti-zanzare che la vostra cinica industria chimica ha inventato e
perfezionato. E così ci strappate la vita, o comunque ci allontanate, e così ci
condannate alla fame e alla sete, poverelle noi!
Con noi
vermi, tradite il vostro sprezzante razzismo: per indicare quegli umani che
ritenete indegni e insignificanti, usate il termine ‘verme’. Cosa siamo allora
ai vostri occhi? Esseri infimi che sarebbe stato meglio non creare, esseri
privi di bellezza che strisciano lentamente, senza altro destino che essere
torturati e calpestati.
Noi api
siamo sfruttate scientificamente: siamo quelle piccole prodigiose operaie che
fanno con fatica e abilità il miele e la pappa reale. Leccornie di cui siete
ghiotti e, ladri come siete, ce le rubate sistematicamente ogni volta. Poi però
vi meravigliate e indignate se qualcuna di noi vi punge, magari del tutto
involontariamente. Allora subito vi armate per farci fuori. La vostra vita è
sempre sacra, la nostra mai.
A noi
scorpioni negate il diritto di difenderci. Voi che dalla più remota antichità
avete forgiato armi, sempre più potenti e micidiali, vi spaventate per il
nostro pungiglione velenoso, che però non vi uccide, può solo provocarvi
dolore, gonfiore, sfinimento. Voi invece sì, siete assassini, e disinvolti e
freddi ci togliete la vita. In alcuni paesi addirittura per mangiarci: ma che
gusti bestiali avete!
Noi topi
siamo proprio sfortunati. A parte i gatti (non tutti ci danno la caccia; alcuni
perfino ci adottano), i nostri nemici siete voi umani. Le vostre donne in
particolare hanno paura e disgusto di noi. Anche se siamo piccoli e spaventati,
loro si precipitano a salire su una sedia o su un tavolo, poi scappano
invocando l’intervento di un maschio giustiziere. Il quale, per farsi bello con
la donna, si adopera in tutti i modi, con trappole, veleni, bastonate, acqua
bollente, per riuscire nell’intento che è ovviamente ammazzarci.
Noi animali
da pelliccia (visoni, zibellini, volpi, ermellini, castori, scoiattoli, lontre)
siamo le vittime della vostra vanità e sete di guadagno. Per appropriarvi e
ornarvi con le nostre pellicce, ci costringete a una vita d’inferno conclusa
soltanto dalla soppressione. Ci chiudete in gabbie strette e anguste per
risparmiare spazio, ma soprattutto per impedire il movimento che potrebbe
rovinare la pelliccia. Queste condizioni di privazione producono un tale stress
da indurci perfino ad automutilazioni, episodi d’infanticidio, aggressione e
cannibalismo. Una tecnica particolarmente crudele è quella di esporci al freddo
invernale per farci sviluppare una pelliccia più folta.
Purtroppo
sono tanti anche quelli di noi uccisi in libertà, nei boschi, usando le tagliole.
Possiamo rimanere anche per una settimana ad aspettare il cacciatore che verrà
ad ucciderci. Nel frattempo la ferita si gonfia provocando dolori inauditi.
A noi foche
ci tocca lo strazio e la disperazione delle madri: voi cacciatori uccidete i nostri
piccoli a bastonate in testa, li scuoiate davanti a noi che restiamo impotenti,
e ci lasciate lo spettacolo atroce di cadaveri sanguinanti e scuoiati. Ma a voi
piacerebbe che una mattanza così feroce e spietata fosse riservata ai vostri
figli? I vostri delitti, ricordatevelo, sono abietti e gridano vendetta.
Con la
caccia perseguitate e ammazzate un numero sterminato di animali: quelli di
terra (conigli, lepri, volpi, cinghiali, mufloni, cervi, caprioli, daini);
quelli di aria (fagiani, germani reali, beccacce, quaglie, pernici, galli
cedroni, tortore, storni, fringuelli, corvi, cornacchie, gazze, tordi, merli).
E non sempre per nutrirvi delle nostre carni: arrivate a spararci come si spara
a un bersaglio inanimato, a un piattello nel poligono di tiro.
A causa
della pesca, il grido di dolore di noi pesci si leva, ma inascoltato. Nelle
pescherie lasciati senz’acqua ad agonizzare, sbattendoci disperati negli ultimi
guizzi vitali. Noi aragoste gettate nell’acqua bollente ancora vive per una
cottura ottimale. E noi polpi sbattuti sulla dura pietra per ammorbidirci o
fatti seccare al sole, una lenta atroce morte rovente.
A noi asini
e muli ci avete sempre sottoposti a fatiche immani, caricati di pesi
spaventosi, per percorsi impervi e salite erte. Ma per voi non era abbastanza:
ci avete pure denigrati e offesi spargendo la falsa notizia che siamo stupidi
(“Sei un asino, vai dietro la lavagna!”), mentre invece siamo molto
intelligenti e sensibili.
A noi
polli, tacchini, pecore, capre, vitelli ci costringete in allevamenti
intensivi, in spazi ridottissimi, condannandoci ad una vita che non è vita
prima che infine alla morte. Ma le nostre carni conservano tutta la negatività
che ci avete fatto subire, e sono quindi negative anche per voi. Anche se in molti
non lo sapete, o non volete saperlo.
Noi cavalli
siamo stati, da millenni, animali da tiro e per rapidi spostamenti. Bestie
quindi preziose, ben curate. Ma la vostra fame incontenibile e la vostra
inclinazione allo sfruttamento degli altri, ci hanno fatto diventare una carne
nutriente per i vostri palati versatili. Quelli di noi che, tirando
carrozzelle, hanno dato un rilevante contributo al turismo, hanno cioè
allietato le visite di milioni di stranieri, rischiano, alla fine della loro
vita di lavoro, di finire anch’essi al macello.
A noi
canguri, a cui concedete una benevola ammirazione per i marsupi e i salti
prodigiosi, avete deciso di riservare comunque la morte: il vostro palato avido
si è accorto che la nostra carne sarebbe gradevole e nutriente.
Noi
elefanti siamo vittime di una vera e propria , che ci sta portando
all’estinzione, a causa delle nostre preziose zanne di avorio. Diventiamo
trofei di cui gloriarsi in foto in cui i nostri vigliacchi assassini sorridono
tranquilli e orgogliosi accanto ai nostri corpi senza più vita.
E tutti noi
animali esotici ci avete chiusi nelle gabbie degli zoo, strappandoci ai nostri
ambienti naturali, alla nostra libertà di movimento, alla nostra spontanea vita
sociale. Passate davanti alle gabbie come davanti a un video strano e
divertente, e così ci fate avvertire più dolorosamente la nostra prigionia.
Noi cani
siamo in cima alla classifica degli animali più amati da voi. State
continuamente a ripetere che siamo intelligenti, fedeli, i vostri migliori amici…
Ma voi siete nostri amici? Ecco come ci ripagate per il nostro affetto e la
nostra fedeltà. Ci addestrate, con ogni tipo di vessazioni, per combattimenti
all’ultimo sangue con i nostri fratelli. Combattimenti che si concludono con
gravi ferite o proprio la morte. Come se neppure un poco vi foste affezionati a
noi, invece di curarci, ci abbattete: e già, non siamo più buoni a combattere,
non siamo più buoni a farvi guadagnare con le scommesse. In certi paesi, Asia
Orientale e Oceania, alcune nostre razze sono allevate appositamente per la
macellazione, per fornire carne prelibata ai viziosi palati umani.
Diverse
specie di noi scimmie sono usate nella sperimentazione sulla tossicità delle
droghe e sull'efficacia dei vaccini. Anche per noi sono riservati trattamenti
orribili. Tanto che, in un laboratorio estero, furono rinvenuti i corpi di 30
di noi arse vive.
E che dire
di noi scimpanzé? Siamo stati utilizzati per testare la sicurezza delle auto.
Avete capito, vero? Eravamo impiegati al posto dei manichini nei crashtest. Di
manichini ce n’erano in quantità, ma si preferiva fare del male a noi!
Ma ora
diciamo la nostra noi, orsi neri asiatici: siamo utilizzati massicciamente in
Asia per la produzione di bile. Rinchiusi in gabbie strettissime, veniamo, se
così si può dire, “munti” ogni giorno con una sonda che, attraverso una ferita
sempre aperta, viene introdotta direttamente nel fegato… Avete un’idea di quel
che proviamo?
E finiamo
con noi gatti. Dai tempi dei tempi ci avete usati per uccidere i poveri topi e
salvare le vostre vettovaglie. Quale è stato il vostro ringraziamento? Che ci
adottate, cosa a prima vista positiva, ma poi ci abbandonate per strada
d’estate per farvi in pace le vostre irrinunciabili vacanze. Immaginate che
vacanze facciamo noi, intanto.
Veniamo assassinati, da contadini che non
sopportano la nostra presenza nei campi, con bocconi avvelenati che ci
infliggono una morte dolorosissima. Veniamo sparati da mascalzoni che si sono
stancati di dare la caccia ad altri animali, vogliono un’emozione nuova.
Veniamo investiti volontariamente da sadici che ci odiano, ci disprezzano o, se
stupidi superstiziosi, addirittura ci temono se siamo neri perché porteremmo
sfortuna. Veniamo catturati per portarci nei laboratori della vivisezione, assieme
a cani, scimmie e altre cavie: per testare medicinali che dovrebbero aiutarvi a
guarire dalle vostre malattie, ci sottoponete a inenarrabili prolungate
torture. Le cannule di plastica, senza pietà, ce le inserite ripetutamente
nella trachea. (Eh, ma lo fate in nome della scienza!) Questo spesso causa
emorragie, gonfiori, collasso dei polmoni, ferite alla gola. E infine ci date
la morte che a quel punto, paradossalmente, diventa una liberazione.
Lo sappiamo
che voi non vi rendete conto della gravità di quello che ci fate. La vostra
violenza è cieca e sorda. Ma noi che la subiamo, da sempre, abbiamo occhi per
vedere e orecchie per sentire. Non sopporteremo in eterno il male che
disinvoltamente ci infliggete. Noi ci organizzeremo, e tutti assieme faremo, senza
dubbi e pentimenti, ciò che ci tocca fare. Non sarà domani, non sarà magari
nemmeno dopodomani, ma un giorno vi circonderemo, vi colpiremo, con tutte le
armi che madre Natura ci ha dato. Vi cancelleremo, sì, vi cancelleremo dalla
faccia della Terra. Voi cosiddetti umani, che siete invece disumani. E sarà un
mondo certo migliore quello abitato solo da noi.
Firmato:
i Legittimi
Rappresentanti degli Animali della Terra
P.S.
Moltissimi altri animali si erano accomodati qui in fila, ordinati e pazienti,
per far mettere nero su bianco le loro sacrosante denunce e proteste. Ma io,
Miciobel, che sono lo scrivano, non ce la facevo più: non tanto a intingere
l’unghia nel nero di seppia e a muoverla con accortezza sul foglio, quanto ad
ascoltare testimonianze sconvolgenti sulla vostra imperturbabile violenza:
troppo mi feriva e deprimeva. A tutti i compagni animali, che perciò non hanno
potuto trovare posto nella lettera, chiedo umilmente scusa.
2