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ebook di ArchigraficA

venerdì 24 agosto 2012

Napoli, don Chisciotte e i mulini a vento



di Giacomo Ricci

Inutile dire che si tratta di uno dei capolavori della letteratura universale. Ma è un libro al quale, noi napoletani, dovremmo essere particolarmente affezionati. Soprattutto perchè, come l' "eroico cavaliere" dipinto in maniera magistrale da Cervantes, lottiamo ogni giorno contro i mulini a vento. I nostri diritti sono sempre calpestati. Anche il diritto  alla cultura. Fa specie, ad esempio, che nessuno degli "intellettuali ufficiali" della città abbia speso una sola parola per protestare contro lo smantellamento indecente, indecoroso, vergognoso dell'Istituto di Studi Filosofici.
Lascia perplessi, infatti, che tanti uomini in vista, sempre  attenti alle cose della nostra città, non spendano una parola per la perdita di un istituto di prestigio. 
La sede, la biblioteca, le sale, i convegni, le mostre, gli incontri, le presentazioni di opere, libri e personalità. Tutto vano, tutto a quel paese. Via, tabula rasa. Il lavoro di una vita dell'avvocato Marotta gettato via, senza colpo ferite. Magari, io maligno, penso che qualcuno tanto dispiaciuto non sia. Stia anche a fregarsi le mani, di nascosto, indossando, e forse nemmeno, ufficialmente la maschera delle condoglianze.
E l'Università?
I signori delle Facoltà interessate? Storia, Filosofia, Lettere?
Dove siete, di grazia, esimii colleghi? Vi si è attaccata la lingua in bocca? Vi è venuta un'improvvisa chionchia?
Siete rimasti immobili per una sciatica fulminante e non riuscite a camminare se non strascinandovi a terra?
Avete preso troppo freddo con i condizionatori vista la calura e la voce è sparita? Le mani si sono anchilosate?
O state ancora pigliati dalle ferie? O state anora stravaccati a mare, magari su una "barca" come quella che gironzolava nel mare di Conca (tre alberi, quasi 100 metri) tre giorni fa?
Che domanda, la mia! Ma quale ingenuità alla mia veneranda età!
Ma come faccio a non capire? Ma sì, Ricci, sei proprio un ingenuo! E sei proprio nu' scemo! E chè, non capisci le opportunità politiche? 
Politiche? "Politica"? La usate sempre a schiovere questa parola. 
La "politica" oggi, è sinonimo di inguacchio, pastetta. Una volta, ai tempi miei significava "impegno", ideali, lotta. Eravamo più vicini ai greci: politica da polis, città, scontro civile per il progresso di tutti. 
"Ma che vuoi, tu la politica, la polis, la grecia?" mi rispondete. La chiusura dell'Istituto significa uan sola cosa:un
fastidio in meno, uno scocciatore tolto dalle scatole.  
Ecco lo scopo. Ecco l'obiettivo. 
Bravi. Ora sì che la storia della cultura napoletana - se mai ve ne sarà una futura - si ricorderà di noi. Di questa nostra epoca triste e scura, anzi oscurantista,  delle schifezze come la monnezza, la camorra e anche lo smantellamento di quelle poche voci pulite residue che che rendevano importante la nostra città.
Ma sì. Tennis, coppe a mare e calcio. Lo stesso che pizza, mandolino e putuitù. Che n'hamma fa e' sta cultura? E poi la filosofia. Uh mamma mia, con i chiari di luna della produzione, dello spread, della finanza. Ricci, per favore, ma stai zitto. 
Sì. Forse è meglio. Lasciamo stare.
Era solo un esempio delle lotte contro i mulini a vento.
Forse è meglio lasciar perdere. 
Torno a Cervantes, che è meglio. 
Lui Chisciotte l'ha pensato vedendo Napoli, guardando questa miserabile, bellissima città. Ne sono certo. Quando ci venne per la prima volta nel  1575. 
Leggendo Cervantes, ci accorgiamo che suo grande protettore fu nientedimeno che Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos, vicerè di Napoli, fondatore dell'Accademia degli Oziosi che fece ricostruire l'Università dei Regi Studi, finanziando i lavori di ristrutturazione dell'edificio e riorganizzando in maniera più efficiente e razionale cattedre e insegnamenti. Don Pedro fu anche collezionista di strumenti tecnico-scientifici ed egli stesso  scrittore, amante della poesiae della bella letteratura. 
O cacchio! Mi verrebbe da dire alla Totò. Ma tu vuoi vedere che i tanto vituperati spagnoli, invasori e colonizzatori di mezza Italia, sono stati più illuminati dei nostri attuali uomini politici?
E che nella cultura cosiddetta turpe e crapulona della soldataglia spagnola, a tratti si aprivano squarci e parentesi di vera competenza e magnanimità?
Il Conte di Lemos abbracciò la causa di Cervantes che una vita facile non ebbe. Ebbe anche lui i suoi guai. E tanti: schiavo in Algeria, coinvolto in un omicidio, più volte in galera.
Ma a quel nobiluomo del vicerè importava poco. Aveva scoperto che Miguel era un geniaccio nascosto della letteratura. 
E ci aveva azzeccato. 
Vuoi vedere che la Napoli di allora era meglio di quella di oggi?
Oddio ma che stupidaggini vado dicendo. 
Nel dubbio mi taccio e vi invito alla lettura del delizioso Don Chisciotte
Ne vale veramente la pena. 
Il testo, per motivi di grandezza di file, è stato diviso in tre parti. 
Quelle che vi linko qui sotto.





Non mi resta che augurarvi buona lettura.








martedì 21 agosto 2012

ArchigraficA ebook library






Una notizia di fine estate. La collana “ArchigraficA Paperback” di ebook allegati alla rivista on-line “ArchigraficA - live architecture on the web” si arricchisce, a partire da quest’estate, di una nuova raccolta di testi da leggere. 
Si tratta, in prevalenza, di testi “classici”, per così dire. Cioè di libri scritti molto tempo fa, dei quali sono scaduti i diritti d’autore e possono, finalmente, non più costretti da imposizioni editoriali, circolare liberamente. 
Noi di "ArchigraficA" crediamo fermamente nella libera diffusione della cultura e della conoscenza come uno dei pochi mezzi - se non forse l’unico - in grado di acuire le capacità intellettive degli uomini di buona volontà. 
Argomento quanto mai stringente, oggi, che di economia, spread, bonds, e altre cose di cui, noi umile massa, poco sapevamo, sembriamo destinati a morire,  proprio alla lettera. 
I suicidi di povericristi, diseredati, delusi, falliti, emarginati, esodati, licenziati, spogliati di tutto non si contano più. Entrano nella "normale" routine delle notizie solite dei TG. Dietro ognuno di quei suicidi, pensiamo, ci siamo noi che non abbiamo saputo aiutarli, intenderli, dar loro speranza. 
Alla povertà dilagante, ai derelitti che affrontano viaggi e muoiono su barconi approssimativi e delinquenziali, alla strafottente indifferenza di coloro che, a dispetto di tutto, ancora godono di posizioni di privilegio, a tutto questo sembra non esservi alcun rimedio. 
Noi siamo per un ragionevole ritorno indietro, una razionale "decrescita industriale" verso la  campagna, verso il  riequilibrio ordinato e umile della posizione dell’uomo su questa terra,  verso la solidarietà, il lavoro artigianale, la “terra promessa” come recita un libro di William Morris che, mai come ora, ci sembra un vero e proprio profeta. Parlò, in tempi che sembrano oggi lontanissimi, di un'assurdità istituzionale e logica dell'industrializzazione. Era in se stessa il male, nella sua organizzazione, nel suo essere così com'è, nella sua alienazione, nella sua assurda mancanza di significato. Sosteneva, l'utopista e socialista Morris, che l'artigianato colto e sapiente è la vera risposta dell'uomo su questa terra. Che l'industrializzazione è il "braccio armato" per così dire, del capitalismo ingordo e vorace, pronto a divorare tutto quello da cui può trarre un profitto. 
Ma, concordemente a quanto Morris aveva in mente,  l’industrializzazione è tramontata. E’ morta. Alla faccia di tutti quelli che si ostinano a rivitalizzarla. La questione dell'Ilva di Taranto è un evidente paradosso. Da un lato distrugge la salute e la natura. Dall'altro, pur se mortifera, non si può elimionare, pena la sopravvivenza di un numero enorme di famiglie. Dunque la sopravvivevza per morire. La sopravvivenza contro il significato della vita. 
Ma qual è il significato?
Questa era poi la domanda che si poneva William Morris e che, tragica, ci sta ancora di fronte. 
E' questa la vita? La vita si riduce a una sopravvivenza inutile, vuota di significato?
Gli uomini sono stati strappati da un antico senso di stare al mondo. 
Questo ripropone una certa letteratura dell'Ottocento. Stiamo pensando a Charles Dickens, allo sfruttamento del lavoro minorile nella Londra ottocentesca. La coketown, la città della morte polmonare. 
Ma quelli cui assistiamo sono gli ultimi rantoli di un sistema produttivo devastante e disumano. 
Altro che spread, economia, profitto, plusvalore. 
Ci fate caso che i termini che sembravano superati sono tutti presenti, anche se opportunamente nascosti?
Ad esempio "plusvalore". Un termine che non si usa più ma che è TERRIBILMENTE attuale. 
Anche se i conati del capitale in crisi dureranno per parecchio tempo è sotto gli occhi di tutti l'assurda e miope consistenza della visione del mondo capitalistica e dei "liberi" mercati. 
E’ l’aspetto più violento e crudele di un progetto di appropriamento del pianeta ampiamente fallimentare, come ogni giorno le morti per cancro, la devastazione delle campagne, la distruzione degli equilibri climatici, lo scioglimento dei ghiacciai stanno a dimostrare. 
Ci vorrebbe un partito con la "P" maiuscola che dei diritti degli uomini di vivere in pace facesse la sua bandiera, con intransigenza, forza, e coraggio. 
Ma non c’è. Ci sono conati disgustosi di confusioni mentali e ideologiche. Balbettii inconsistenti. Nient'altro. 
Allora ognuno può contribuire, nel suo piccolo, alla ridefinizione di un progetto umano, sostenibile, non-violento, attento agli equilibri e alla salute di tutti gli esseri viventi su questo pianeta. 
Il progetto di "ArchigraficA" è ben poca cosa rispetto a tutto ciò. 
Ma vuole contribuire alla diffusione di testi, racconti, riflessioni che sembrano tanto lontani ma che rivestono, oggi, nell’epoca del tramonto del progetto tardo-capitalistico di appropriazione della natura e degli uomini, i tratti di un’incredibile attualità.
"ArchigraficA" riproporrà alcuni classici di Matilde Serao, come, ad es., Il ventre di Napoli che, letto oggi, assume aspetti di vibrante attualità. 
Il mio cadavere di Francesco Mastriani, considerato il primo giallo napoletano e italiano, fondatore di un genere a suo modo inquietante e pieno di riferimenti morali da rileggere con la mentalità di oggi. Il tema del parricidio, immerso in un’atmosfera torbida e di bieco interesse personale, riecheggia tanti atteggiamenti dei contemporanei novelli “padroni delle ferriere”. 
E così via. "ArchigraficA" riproporrà, in questo squarcio finale di un’estate infuocata, una serie di ebook. 
Tra questi:







Matilde Serao,  La mano tagliata








Edgard Allan Poe, I delitti della rue Morgue






Matilde Serao, Il Ventre di Napoli






Francesco Mastriani,
Il mio cadavere





Presto aggiungeremo altri titoli. Buona lettura a tutti!

giovedì 2 agosto 2012

Case, figure, dolci colline, metafisica






in ricordo di Vittorio Losito





dGiacomo Ricci






Ho finito proprio adesso di scorrere tutti i dipinti che Vittorio Losito ha postato, negli ultimi tre anni, sul suo sito di FaceBook.  Metto da parte la commozione e presto attenzione alla grande quantità di opere che mostra, lì raccolto,  il lavoro attento, speculativo e intelligente di un amico che non c’è più da un giorno. 
Scrivo per ricordare, dentro di me, le cose che me lo hanno fatto apprezzare, come amico ma prima di tutto come galantuomo e, soprattutto, artista. 
Perché Losito è un grande artista, che s’infila, con garbata prepotenza,  direttamente nella tradizione pittorica italiana che affonda le sue origini nella pittura italiana del tardo duecento e va avanti fino ad oggi, passando per Rosai, De Chirico, Morandi, la metafisica e  Carrà. 
Un innovatore Losito, intransigente e attento, in un’epoca che degli imbrogli informali ha fatto il suo pasticcio incolto e affaristico che opprime, da decenni,  la pittura contemporanea. 
Figurativo, capace di deformare la realtà, a seconda dei sentimenti, le passioni personali e,  soprattutto,  l’indignazione intellettuale.  Non posso non ricordare un certo Van Gogh e la sua espressionistica visione del mondo. 
Una pittura essenziale quella di Vittorio Losito, ma non per questo non raffinata, complessa, piena di simboli e riferimenti colti. A leggerla bisogna sapere la storia di Vittorio, la sua capacità grande di studioso, di uomo colto, il suo passato e perduto impegno politico. Ampiamente superato con grande respiro, direi. Superato in una visione più ampia e complessiva della realtà e delle sue contraddizioni. Filosofica, colta e letteraria assieme. 
Un artigiano raffinato, come non ce ne sono più. Che amano il loro mestiere, l’arte delle mani che traccia forme-concetti destinati a durare nel  tempo. 
Simboli dell’infanzia popolano le sue pitture-sperimentazioni, aerei, palloni aerostatici, case, campagne, alberi, ombre nascoste, grandi insetti con velati richiami kafkiani. Antropologhi dalle lunghe mani ossute e nervose. Fotografi che spiano la realtà dietro straordinarie macchine ottiche. Aerei e vascelli alla conquista delle dolci colline umbre. 
E insetti che fanno una grande pena nella loro chiusura, nel loro trascinarsi verso l’uscita dal labirinto nel quale, inconsapevoli del destino, che pure in qualche modo avvertono, si dibattono. 
Facile metafora della nostra vita inconcludente e, a volte, disperata, assurda, penosa, lacerante. 
Su di tutto l’aria dolcissimamente malinconica della terra umbra intesa come archetipico  territorio culturale italiano delle origini. 
Terra di riflessioni, di passati artigiani della forma che lavoravano nelle corti di illuminati mecenati o di feroci feudatari. 
Una storia che a poco alla volta scorre sotto i nostri occhi e, anche al di là della voluta incomunicabilità dei simboli (per questo più preganti e allusivi) va dritta dritta al cuore e alla mente. Alla parte più nascosta della nostra anima pensante, quella dove riposano i segni della vita più semplice, sedimentati mentre eravamo bambini alla scoperta del mondo, del linguaggio e della complessa sofisticazione delle parole che si fanno concetti, interpretazioni della realtà. E che tentano di tracciare una possibile strada da seguire, per venir fuori dall’incomprensibile rompicapo che è la vita. 
Lo ricordo Vittorio, sul suo bellissimo terrazzo di Baia, affacciato sul mare, giocare e correre con Ulisse, cagnone nero, dolce come solo i colossi sanno essere, gli “omaccioni” grandi da fuori, ma piccoli e teneri nel cuore. 
Ciao Vittorio, so che Ulisse t’è venuto incontro, quando hai varcato la soglia. Ti aspettava con gli occhi attenti e frementi di rivederti ancora.  E ora correte felici. Sapere che sei  in sua compagnia rende meno insopportabile la tua lontananza. 


al sole