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ebook di ArchigraficA

venerdì 12 luglio 2013

La Biblioteca Universale Italiana


di Giacomo Ricci


Noi italiani siamo famosi per fallire le occasioni. E lo dico con sconforto perché penso che Carlo III,  re Borbone delle Due Sicilie non ne falliva una. Ma anche suo figlio Ferdinando che ebbe l’intuizione di San Leucio, tanto per nominarne solo una.
E per nominarne solo una dello sconquassatissimo nostro paese dell’immediato periodo postbellico, penso alla CEP, acronimo che sta per Calcolatrice Elettronica Pisana, una macchina rivoluzionaria promossa dai nostri ricercatori, in funzione perfettamente agli inizi negli anni Cinquanta (1953), antesignana e precorritrice di ogni calcolatore che poi ha invaso il mondo e trasformato il nostro quotidiano.


Per chi non ne sa nulla ricorderò solo che il progetto della CEP fu voluto dalle province di Pisa, Lucca e Livorno, finanziato con la somma di 150 milioni (per l’epoca una cifra di assoluto rispetto), promosso soprattutto grazie all’intelligenza e al genio intellettuale e scientifico di pochissimi ricercatori italiani: Marcello Conversi, direttore del Dipartimento di Fisica e Alessandro Faedeo, matematico, preside della Facoltà di Scienze e poi direttore del CNR.
Una macchina rivoluzionaria per l’epoca basata sul linguaggio Fortran. Alla CEP si accompagnò un notevole progetto di ricerca dell’Olivetti a Barbaricina.
Insomma c’erano tutte le premesse per una Silicon Valley all’italiana, anticipatrice di quella che sarebbe stata quarant’anni dopo una vera e propria rivoluzione avvenuta, manco a dirlo, altrove.
Riuscite ad immaginarvi l’Italia al centro e a capo della rivoluzione informatica che poi è accaduta? Tutto quello che accade altrove sarebbe avvenuto qui, nel Centro d’Italia, in un gruppetto di città di provincia. E, per inciso,  alla faccia di tutte quelle teorie assai discutibili  che vogliono nella maggiore concentrazione di uomini e mezzi in grandi megalopoli il vero centro motore della creatività e dello sviluppo. Aggiungerei dello sviluppo di un certo tipo, quello dei mercati, della concentrazione dei servizi, e così via, funzionale, c’è da sottolinearlo?, solo a un certo tipo di economia capitalistica e globalizzante.
Ma questo è un altro discorso.
Allora, torniamo al nostro incipit. E chiediamoci: Che successe della CEP e del gruppo di ingegneri e intellettuali che vi lavorarono attorno? Nulla di fatto, ovviamente,  perché poi Olivetti vendette (o fu costretto a vendere?)  tutte le attività connesse a queste ricerche pioneristiche sui calcolatori alla General Elettric e ti saluto. Fine della storia.
Ecco come le intuizioni geniali degli italiani vengono sperperate e avvilite dalla nostra politica che ha avuto lo sguardo sempre rivolto altrove che non al benessere della nostra collettività nazionale.
Ora io lancio un’altra idea. Per carità non certamente della peso della CEP pisana ma sulla cui portata culturale ci sarebbe almeno da fare una riflessione.
La Biblioteca Universale. Anzi, meglio la B.U.I, e, cioè, la Biblioteca Universale Italiana.
Che cos’è? Starete dicendo.
Semplice.
Le nuove tecnologie ci permettono un disegno ambizioso.
Immaginate un’università italiana – magari di provincia, magari lontana dalle grandi città e dalla merda che rappresentano, con una Biblioteca digitale piazzata in un piccolo centro abbandonato della nostra penisola. Ce ne sono tanti, arroccati sopra collinette impervie. Deserti per l’emigrazione.
Qui dopo un attento restauro sarebbe facile trovare gli spazi per piazzarci una ventina di server potenti, con un linguaggio operativo Linux, server apache per mail e collegamenti di rete e una serie di memorie di massa. Che so? Cinquecento Hard Disk da 2 terabyte ciascuno.
Immaginate che cosa ci potete contenere?
“Tutto lo scibile umano” dirà qualcuno per scherzare. E per scibile intendo non soltanto libri in formato ebook ma foto, progetti, disegni, planimetrie, film. Quadri, musei interi. Tutto insomma, tutto quello che appartiene alla cultura di un popolo.
Poi questo centro distribuisce all’intero paese, cioè alle sue Università e a tutti i cittadini che ne facessero richiesta, il materiale di cui è custode.
Naturalmente questo presupporrebbe che ogni cittadino abbia un lettore ebook adeguato, basato sull’eink, a colori e a basso prezzo. Se immaginate soltanto al parco infinito dell’istruzione scolastica vi potete fare dei conti e capire che converrebbe dotare ogni studente per il suo percorso didattico complessivo (circa diciott’anni al minimo ciascuno) di un lettore ebook e di un PC portatile e di un collegamento alla BUI.

Qual è il vero ostacolo a tutto ciò?
Inutile dire e complicare le cose. Gli editori che acquistano i diritti d’autore (che li hanno acquistati) e che sono legati al cartaceo come non mai o legati agli ebook con DRM (Digital Right Management). Una protezione che fa ridere per la facilità con la quale può essere elusa. Lo può fare chiunque in meno di un secondo.
Ma gli editori con tutti i loro apparati sono indispensabili, starete pensando.
Non è vero.  Se una volta la tecnologia imponeva la presenza dell’editore, ora non è più così.
Un editore è l’imprenditore che organizza il prodotto libro su carta e che tiene la filiera del processo: l’autore con il suo testo, lo stampatore con la sua tipografia, il distributore con i suoi camion che trasporta i  libri in giro, le librerie con i loro banconi e i commessi che li tengono in esposizione, e i magazzinieri e i loro depositi che li conservano e poi il macero e il trasporto degli invenduti e i rivenditori di libri usati e le bancarelle.
Ah, le bancarelle! Chi non gira per bancarelle. Magia e poesia.
Ricettacoli di polvere e immondizia dico io. Perdonate la mancanza di "poesia". Ma chi vi parla possiede nel suo studio circa seimila e passa volumi. Invaso da tarme, pesciolini d'argento, dalla polvere e dalle pulizie che le fate e poi dovete ricominciare subito daccapo, pena starnuti e orticarie a non finire. 
Dunque nessuna nostalgia a questa visione se penso che tutto sta nel mio Kindle nella tasca della mia giacca.
E la carta? Il suo profumo? Il piacere tattile del libro?
Ma insomma. Finiamola. Bando al profumo della carta e del piacere delle dita che sfogliano le pagine (che non ho mai personalmente provato perché sfido chiunque a odorare una rivista patinata e dirmi se mai  resti qualcosa del sapore originario della carta e quanto al piacere delle dita io maledico ogni volta che apro un libro, quelli ultimi con il dorso fatto di colla rinsecchita e di rilegatura che se non premi troppo fa richiudere le pagine e se premi forte perché si tenga aperto si spagina e si apre con tutti i fogli che se ne vanno in giro), bando a tutte queste amenità,  chi parla facesse il piacere di leggere su un Kindle DX e poi mi facesse sapere come si trova, con caratteri scalabili, contrasto regolabile e così via.
Ma, a parte queste stupidità, vi faccio un rapido elenco dei vantaggi.
1.   Concetrazione in un solo posto concettuale e fisico del sapere.
2.   Distribuzione immediata
3.   Incredibile abbattimento dei costi della cultura (non vorrei sbagliarmi ma si arriverebbe complessivamente a un millesimo del costo attuale)
4.   Rapporto diretto autore lettore
5.   Pagamento dei diritti agli autori per abbonamento. (Amazon, senza editori assicura agli autori un pagamento del 70% del prezzo di copertina all’autore. Se arrivate al 7% nell’editoria tradizionale è pure assai e dovete ringraziare.)
6.   Abbattimento dell’inquinamento
7.   Abbattimento dei rifiuti (i libri al macero)
8.   Abbattimento del consumo di carta
9.   Immediatezza della distribuzione
10.               Universalità della cultura se non altro come prodotto immediatamente scaricabile dalla rete.
Devo aggiungere altro?
Ah sì. Che per tutti i libri liberi dai diritti d’autore il progetto è già ampiamente realizzato e collaudato. E  naturalmente è volontario e gratuito.
Tutti i classici sono disponibili all’indirizzo dell’associazione Liber &Liber di cui metto il link:


Ma è anche utile dire che un progetto del genere che consorzi le università italiane e il  ministero dell’istruzione non avverrà mai. Un po’ come la CEP e la grande occcasione dell’informatica italiana perduta per sempre.
Destino? Fato avverso? O forse interessi corporativi e di pochi che verrebbero messi in questione e che, dunque, remano contro e pensano solo ai fatti loro?
Scegliete voi.
Io la mia idea ce l’ho già.
Ma, nonostante tutto,  continuo a sognare. Penso che una Biblioteca Universale come quella antica di Alessandria,  moderna e basata sull’uguaglianza di tutti, ma proprio tutti in qualsiasi posto, in qualsiasi angolo sperduto della penisola, sarebbe una bella cosa. Un progetto potente,  dai costi bassi, molto bassi.


Ma credo che qui in Italia non avverrà mai.
In Australia, l’Università di Adelaide ha in piedi un progetto funzionante e straordinario già attivo in rete. Con la digitalizzazione di tutti i capolavori letterari illustrati dai più grandi artisti di tutte le epoche. Volete la splendida copia digitale del Don Chisciotte integrale illustrato da Gustave Dorè e non sapete in quale libreria trovarlo perché dovete fare una tesi su Cervantes e la metafisica delle immagini e la loro traduzione in illustrazioni straordinarie e quelle che avete visto di sfuggito una volta vi intrigano, sembrano promettervi una lettura del capolavoro di Cervantes inimaginabile e coinvolgente?
Qui non trovate nulla. A meno che non vi rivolgiate a una editoria specialistica ovviamente molto costosa. 
Andate in rete e scrivete quello che vi detto:


Troverete il libro che vi ho detto e vedrete, con somma meraviglia, che lo potete scaricare sotto forma di ebook  (epub) e consultarlo liberamente.
Bello no?


E  se lo facessimo pure noi? Quanto ne guadagneremmo di salute (mentale intendo)?
Ma non si farà. Ne sono certo.
E la BUI, come la CEP pisana,  sarà un ulteriore farneticamento di pochi, sciocchi sognatori. 

giovedì 4 luglio 2013

Una generazione che "voleva cambiare il mondo"






di Giacomo Ricci


A volte gli avvenimenti della vita reale sembrano annichilirci. Sbatterci in una zona di sgomento dalla quale è difficile venir fuori.
Ma riflettendo sulla scomparsa di un gruppo di architetti cui personalmente ero molto legato, si trova anche il coraggio di riflettere.
Gaetana Cantone, Benedetto Gravagnuolo e Luciano Scotto erano tre amici. Tutti e tre, in questi ultimi tempi, ci hanno lasciati.
Amici profondi. Non perché o non tanto per la frequentazione che era, in questi ultimi anni, più rada e silenziosa.
Per la storia che ci legava e ci lega ancora.
Usavamo, nel parlare tra noi, nel nostro lavoro, nel fare riferimento a un gruppo di idee che ancora ci girano per la testa anche se nascoste e seppellite da un mondo che non ci piace, il termine generazione.
Generazione,  una parola, quasi magica e inafferrabile, che sembrava sempre sfuggirci, sapere un po’ di retorica e un po’ di vuoto.
E invece, di colpo, adesso,  me la sono trovata davanti in tutto il suo spessore, in tutto il suo significato.
Fabrizio Mangoni ha scritto a Luciano Scotto, ricordandolo:
“Volevamo cambiare il mondo e non ci siamo riusciti. Ma il mondo non è riuscito a cambiarci”.
Dice così una verità della nostra generazione. Identifica noi e l’epoca alla quale apparteniamo, siamo appartenuti.
La terra dalla quale tutti noi proveniamo.
Ci legava, ci lega ancora, ci legherà sempre, l’idea che avevamo tutti. Ognuno a modo suo. Ma ce l’avevamo tutti.
L’idea di cambiare il mondo.
Tutta una generazione di ragazzi, di giovincelli credevano che con le idee e la passione si può cambiare il mondo.
Ed ecco che vedo Benedetto Gravagnuolo a vent’anni.
E’ a fianco a me, seduto a un tavolo da disegno dell’aula 2, la grande aula con le colonne al secondo piano di Palazzo Gravina.
E’ primavera.
Di fronte a noi Riccardo Dalisi, assistente del professore Capobianco. Stiamo discutendo del progetto. E ci accaloriamo sul senso “collettivo” di alcuni spazi, del teatro, del fojer, della sala per la musica, del pubblico che, immaginiamo, vedrà la rappresentazione in quel complesso teatrale.
Tutto inventato: il complesso, il teatro la musica, i suonatori, il pubblico, le tensioni, le evoluzioni. Tutto tranne la nostra idea fissa: “cambiare il  mondo”.
Il progetto che faremo avrà la forza di cambiare il mondo.
Tutti noi ci crediamo. Anche Dalisi. Magari più di noi.
A quel tavolo stiamo discutendo di come fare, come procedere. Tutto avverrà come noi pensiamo debba succedere.
Come crediamo che in quella sala, con le nostre idee che inseguono quelle di Grotowsky, del Living Theatre, di Artaud, avverrà un cambiamento, le idee sconfiggeranno il valore venale della vita.
La vita cambierà e gli uomini saranno liberi.
E’ certo. E’ moneta suonante il nostro pensiero.
E ci accaloriamo per un dettaglio, per il colore del tendone.
“Rosso” dico io “come la bandiera del proletariato”.
“Troppo didascalico” dice Dalisi.
“Il rosso non è mai didascalico” controbatte  Benedetto.
E così via. Alle nostre chiacchiere si uniscono gli altri e a poco alla volta una generazione sogna.
Costruisce il suo sogno. 
Non siamo mai andati oltre il sogno.
Non ci sono andato io con i miei disegni allucinati.
Non c’è andato Benedetto con il suo lavoro rigoroso di storico. Neanche quando è diventato preside, molti anni dopo, di quella stessa Facoltà che l’ha visto giovane e ribelle.
Non ci  è andato Dalisi con le sue caffettiere, i suoi Pollicinielli di latta, le sue sedie di cartone e il lavoro con i ragazzi del Traiano.
Ma che resta di tutto questo?
Nulla. Forse.
Restano i residui del sogno. Che non sono cosa da poco.  
Come generazione, abbiamo, al di là delle nostre storie diverse, un’appartenenza comune. Per l’appunto una generazione come dice Fabrizio, che non ha "cambiato il mondo".
Un mondo che  se ne fotte di noi e ci vede andarcene uno dopo l’altro.
Ma “il mondo non ci ha cambiati”.
Ricordo di Benedetto le lunghe discussioni a casa mia a Baia, con Pasquale Belfiore e i racconti di fantasmi napoletani e di palazzi nascosti e “strani”.
Ricordo di Benedetto le sue parole quando ha presentato tante delle mie mostre. Sempre pronto a leggere disegni, a inventare, ad appoggiare gli sfreniesiamienti fantastici di uno della sua generazione.
Forse il ricordo di ognuno di noi si perderà. Anzi è certo.
Ma credo che non si perderà l’idea che abbiamo fatto parte di una generazione che non ha cambiato il mondo, ma che, nel cuore, non è stata modificata dal mondo.
Nonostante tutto, nonostante la storia. 
Anche nei momenti più difficili.
Il mondo non ci ha cambiati. 
Ciao Benedetto, compagno di cose serie e di sciocchezze. Siamo della stessa generazione.

Sulle ali della felicità 2


di Francesco Ricci


2°Capitolo: Viaggio in Svezia

Malmo- 30 aprile 2012-  piazza Lilla Torg, ore 18.00

Caro Nonno,

Dopo la fantastica esperienza in Spagna , adesso tocca alla Svezia. 
Se ti stai chiedendo per quale motivo sia voluto venire proprio qui, non saprei darti una risposta. 
Il mio sesto senso mi ha detto di venire in questo posto perché avrei trovato qualcosa di speciale, ed è stato proprio così! 
Qui la natura è la protagonista principale della scena, specialmente in questo periodo dell’anno. 
Gli alberi iniziano a germogliare petali con colori molto vivaci, e l’immenso verde dei parchi si integra pienamente con le città lasciando tutti di incanto. 


Il mio più grande sogno è sempre stato realizzare un grande parco e vedere tutte le persone passeggiare felici, vivendo momenti di spensieratezza come: le mamme con i bambini, gli anziani, i giovani innamorati      che gironzolano tenendosi mano per la mano… 
Insomma, un parco  con una storia da raccontare attraverso percorsi, giochi d’acqua, giardini botanici e strutture che si integrano pienamente con l’ ambiente. 
A proposito di strutture, qui a Malmo uno degli edifici di architettura moderna più importante è la Turning Torso , realizzata nel 2005 da Santiago Calatrava. 


Santiago Calatrava è un architetto spagnolo, nato a Valencia, specializzato anche in ingegneria strutturale. 
Molte persone dicono che le sue opere un domani faranno la storia nei secoli, come le cattedrali gotiche, o gli acquedotti romani.   
Di solito la storia ci ha sempre insegnato che i più grandi ricordi che restano nel tempo, sono quelli realizzati da persone che hanno avuto il coraggio di sfidare la loro contemporaneità compiendo un percorso atipico dalla massa comune. 
Indipendentemente da quanto si possa pensare sull’operato di Calatrava, i suoi lavori manifestano sicuramente un voglia di esprimere una concezione diversa dell’architettura, pervenendo a forme geometriche atipiche che sembrano sfidare ogni legge di gravità. 
Un grande esempio è proprio la Turning Torso qui a Malmo! 


La Turning Torso è un edificio residenziale ispirato ad un schizzo che Calatrava fece sul torso umano. 
La struttura è sviluppata su un nucleo di cemento armato, che rappresenta il suo asse principale, da cui ruotano nove cubi sostenuti da un controvento in acciaio. 
Insomma, è come se tutto l’insieme creasse un dinamismo che non riesce a farti definire una figura geometrica ben precisa. 
A proposito di dinamismo, nella STATICA, dopo l’introduzione dei quattro punti fondamentali che ti ho raccontato nella mia indimenticabile esperienza a Malaga, il percorso si divide in due strade. 
Una parte, approfondisce la materia, imparando le tecniche per capire come equilibrare  una struttura,  mentre l’altra studia tutti gli eventuali movimenti che può fare un corpo quando non riesce a stare in equilibrio.

Naturalmente, nei prossimi giorni prometto di spiegarti meglio questi due aspetti che ti ho appena accennato. 
Ti abbraccio sempre con grande affetto.


Malmo- 3 maggio 2012-  espresso house, ore 15.00



Caro nonno,

La mia avventura a Malmo purtroppo fra qualche ora, volgerà al termine, poiché devo prendere l’aereo per Stoccolma. 
Ma in questo arco di tempo, terrò fede alla promessa che ti ho mantenuto nell’ultima lettera che ho scritto. 
Adesso mi trovo in una espresso house, una tipica caffetteria svedese, nonché un punto principale di ritrovo per persone di ogni età, per trascorrere momenti di spensieratezza, e sono in compagnia di un buon cappuccino. 
Dunque, se ti ricordi bene caro nonno,  quando sono stato a Malaga ti ho parlato dell’equazione fondamentale della statica e ti ho detto che se :

3t-s>0

La struttura si dice labile, cioè che è soggetta ad un movimento. 
Ebbene, la parte che studia gli eventuali movimenti che il corpo può fare quando non è in equilibrio, si chiama CINEMATICA, che pone come oggetto di studio le strutture labili. 
Per comprendere meglio questo discorso, si studiano e si approfondiscono  le catene cinematiche, che sono l’argomento principale della materia. 
Quando ero studente universitario e seguivo i corsi di statica, ricordo ancora molto bene la lezione sulle catene cinematiche come se fosse oggi. 
Prendevo gli appunti, ma non capivo quello che scrivevo e mi sentivo un povero disgraziato perso in un grande oceano senza una bussola per orientarmi. 
A volte penso ancora a quei momenti, e mi viene da ridere perché, grazie alla difficoltà della Statica, sono riuscito ad allargare i miei orizzonti verso il mondo ed essere un insegnante. 
Spero solo che un giorno, riuscirò a realizzare un libro semplice e divertente che possa essere di facile comprensione per tutti, affinché quel linguaggio complesso si possa trasformare in una dolce melodia. 
Bando alle ciance, le catene cinematiche nell’architettura vengono utilizzate per capire nei sistemi strutturali come i ponti, le murature, gli acquedotti che tipo di movimento compiono nel caso dovessero essere soggette al collasso. 
Lo strumento che ci permette di mettere in pratica le catene cinematiche ci è dato da due teoremi molto importanti. [1] 
Adesso purtroppo ti devo salutare caro nonno, il pullman per andare all’aeroporto è arrivato. 
Ci sentiamo nella capitale della Svezia, per continuare la nostra conversazione sulla STATICA.

Figura 1 Piazza Lilla Torg- Malmo 


  Stoccolma- 6 maggio 2012- ostello Old Town, ore 16.00

Caro Nonno,

Non ho mai visto un posto così bello come la capitale della Svezia! 
Stoccolma oltre ad essere una città piena di verde è, urbanisticamente parlando, molto particolare poiché si sviluppa su 6 isole collegate fra di loro attraverso ponti molto suggestivi sul piano artistico, ed è aperta ad ogni tipo di etnia. 
Africani, indonesiani, arabi, sono perfettamente integrati con l’ambiente e non risentono alcun peso sociale o discriminazioni razziali. 
Naturalmente anche qui a Stoccolma, non sono mancate le disavventure come era accaduto a Malaga. 


Quindi prima di approfondire il discorso con la statica, voglio renderti partecipe di un  evento molto divertente accaduto ieri. 
Nell’ostello in cui dormo, ho stretto amicizia con Neil, uno scozzese di Glasgow molto simile a Matt. 
Anche lui infatti è alto, con un fisico esile ed è un grande alcolista. Probabilmente deve essere un costume di vita di gran parte delle persone dei paesi anglosassoni. 
Ad ogni modo, ieri, quando mi trovavo in un locale nei pressi di Sodermalm, l’isola a sud di Stoccolma, abbiamo visto un gruppo di ragazze svedesi particolarmente belle. 
Una di esse aveva suscitato l’attenzione di Neil che, con grande impazienza lo vedevo reiterare ad alta voce alcune frasi scritte su un fogliettino di carta. 
Spinto dalla curiosità, non  ho potuto fare a meno di chiederli cosa stesse ripetendo, e lui mi ha detto che stava imparando alcune frasi carine in svedese per far colpo sulle ragazze. 
Ad ogni modo, dopo aver fatto un lungo e rapido sorso di vodka, si avvicina con fare molto deciso alla ragazza, e le dice : “jag älskar dig!”[2] 
La ragazza, un po’ ubriaca, a grande sorpresa resta così stupita dal gesto di Neil che gli da un bacio molto passionale che lascia stupefatto anche me.
Non capita tutti i giorni di vivere attimi intensi con una sconosciuta, senza esserti neanche presentato , ma dicendo direttamente una frase che arriva al sodo della questione. 
Ad ogni modo i due hanno fatto i piccioncini per tutta la serata, specialmente quando sono tornato in ostello. 
Dal momento che nella stanza  ci sono i letti a castello e Neil dorme sopra di me, per gran parte del tempo ho sentito il letto muoversi ripetutamente. 
Non entro nei dettagli perché ti lascio immaginare cosa sia successo! 
Ma, sta di fatto, che la scena più comica è avvenuta stamane. 
Neil mi sveglia bruscamente ed in tono preoccupato mi chiede chi sia la ragazza bionda che sta dormendo nel suo letto. 
Aveva bevuto così tanto da dimenticare tutto ed era, allo stesso tempo, molto preoccupato per un eventuale reazione negativa al risveglio della ragazza. 
Per evitare ulteriori danni, li ho promesso che mi sarei preso io personalmente, la responsabilità di questo problema trovando  una scusa. 
Al suo risveglio, infatti, le ho detto che ieri io ed i miei compagni di stanza l’avevamo vista assalita da un gruppo di energumeni che volevano abusare di lei, e per la sua incolumità abbiamo preferito portarla in ostello, aspettando che la sbronza passasse. 
Morale della favola, anche la ragazza non si ricordava niente di come si erano svolte le dinamiche della serata e Neil ha potuto fare un sospiro di sollievo! 
Bando alle ciance, adesso è arrivato il momento di riprendere il discorso sulla Statica, approfondendo alcuni aspetti di questa materia che non ti ho ancora scritto. 
Prima di tutto anche la Statica, come la cinematica, si avvale di un teorema molto importante il cui enunciato fa:

condizione necessaria e sufficiente, affinché sia verificata la condizione di equilibrio, è che la risultante ed il momento risultante di tutte le forze siano nulle.

Insomma, caro nonno, il concetto della forza viene approfondito e non limitato solo allo studio del vettore come ti ho scritto nei quattro punti fondamentali. 
Infatti nella statica, distinguiamo principalmente due tipi di forze:
1)  Forze superficiali
2)  Forze reattive.

Le forze superficiali, sono fattori che ci vengono dati dall’esterno ed agiscono, come dice la parola stessa, su una superficie di un corpo. 
Contrariamente, le forze reattive sono date dai nostri amici vincoli. 
Questi due generi di forze, possiamo definirli fratelli dello stesso seme, che viaggiano sulla stesso canale, ma hanno due obbiettivi completamente diversi fra di loro. 
Le forze reattive, infatti, hanno lo scopo di garantire l’equilibrio di un corpo contrastando le forze superficiali. 
Naturalmente, per comprendere meglio questo genere di applicazione, viene utilizzata una particolare metodologia di studio, conosciuta da molti studenti come metodo grafico. 
Se ti stai chiedendo cosa sia questo “metodo grafico”, troverai tutte le risposte che ti servono nella parte illustrativa.

Figura 2 Panorama notturno di Stoccolma



Malmo- 8 maggio 2012- spiaggia, ore 5.10

Caro Nonno,

Dopo cinque indimenticabili giorni trascorsi nella incantevole città di Stoccolma, ho voluto fare ritorno a Malmo, perché sono rimasto incantato dalla natura del luogo. 
La bella notizia, è che questa volta sono in compagnia di Neil, il rubacuori scozzese con cui ho trascorso, fino ad ora, fantastici momenti. 
Ieri mentre eravamo in una espresso house a prenderci qualcosa da bere (io il mio solito cappuccino, mentre lui ha preferito un bicchiere di tequila) stavo scrivendo alcuni appunti per una dispensa didattica che devo preparare ai miei studenti. 
Ad un certo punto Neil inizia a manifestare sul suo volto una faccia alienata, quando i suoi occhi si soffermano sui miei fogli, e mi chiede che tipo di quadro astratto stavo disegnando. 
Io gli ho risposto che quei fogli non erano un quadro astratto, ma una materia universitaria chiamata STATICA e lui, da buon spirito stravagante, li prende ed inizia a mostrarli alle ragazze, cercando di fare breccia su di loro. 
Le fermava e le chiedeva se volessero stare un po’ in nostra compagnia per studiare la statica. 
Purtroppo non è andata molto bene la sua strategia! 
Non credo che un foglio pieno di equazioni matematiche o di simboli strani susciti un grande interesse ad una donna! 
Ad ogni modo, adesso, mi trovo sul lungomare di Malmo , e da poco ha smesso di piovere. 
Credevo che camminare sotto la pioggia fosse qualcosa di estremamente terribile e disagevole. 
Invece, è cosi bello ascoltare il rumore della acquazzone battere sulla terra, alzare lo sguardo verso l’alto e sentire le gocce del cielo scivolare sul tuo volto. 
Ogni goccia è come se fosse il battito d’ali di un uccello che vola sul tuo corpo e ti trascina in un oceano di emozioni. 
Non importa se all’orizzonte c’è una bufera, come quella che ho visto fino a qualche istante fa; ciò che conta per davvero, è apprezzarla vivamente, perché dietro ogni intemperia c’è una luce più forte che mai, pronta a splendere in tutto il suo splendore e rendere briosa la vita di tutti i giorni, per volare… volare verso nuovi orizzonti e vivere LA VITA sulle ali della felicità. 
Un giorno volerò anche io verso quegli infiniti orizzonti, così potrò guardarti negli occhi e dirti :

Ti voglio bene nonno.





3° Capitolo: A Napoli

Napoli- 9 maggio 2012- osservatorio astronomico, ore 22.15

Caro Nonno,

Ieri sono ritornato nella mia cara ed amata città, ed ho avuto il piacere di rivedere all’uscita dell’aeroporto Daniele e Luciano, i miei più cari amici con cui ho sempre condiviso momenti speciali, nella gioia ma soprattutto nelle difficoltà. 
Non ti nascondo che una parte di questa mia grande passione per la STATICA è anche per merito loro. 
Quando ero studente universitario e stavo preparando l’esame di Scienza delle Costruzioni con uno dei professori più temuti dell’università, loro sono sempre state le mie cavie a cui cercavo di spiegare la complessità della materia, con parole semplici che analizzassero subito la natura del problema. 
A volte Daniele rinunciava ad ascoltarmi e preferiva andarsi a vedere un film porno, mentre Luciano si addormentava ed iniziava dei soliloqui privi di un senso logico. 
A proposito, lascia che ti dica qualche parola in più riguardo questa materia. 
La scienza delle costruzioni è il continuo della Statica.  
Tutti gli argomenti di cui ti ho parlato fino ad ora, vertono nell’ipotesi di corpo rigido, cioè è come se lo studio dell’equilibrio del corpo, fosse esaminato solo dall’esterno senza conoscere cosa avviene all’interno. 
Con la Scienza delle Costruzioni, quindi, tutto questo fenomeno inizia ad essere approfondito introducendo, prima di tutto, tanti nuovi concetti. 
Deformazione, tensione, materiale isotropo e omogeneamente  distribuito, costante di elasticità lineare, coefficiente di contrazione trasversale, dilatazione lineare, teoria di De Saint- Venant con particolari condizioni di carico agenti sulla trave, principio della costanza della portata… 
Tutti argomenti che secondo la maggior parte degli studenti, sono solo delle immense masturbazioni mentali, fatte da persone che avevano paura di abbassarsi le mutante e decollare in un oasi prestigiosa che avrebbe fatto resuscitare il loro lato animalesco più nascosto.  
La Scienza delle Costruzioni, infatti, storicamente parlando, nasce nella prima metà del 1800 a seguito di importanti progressi tecnologici avvenuti con la seconda rivoluzione industriale, come l’acciaio, la ghisa, l’alluminio, il metallo. 
Si basa principalmente, su un modello matriciale matematico, che cerca di descrivere alcuni fenomeni fisici che avvengono all’interno del corpo, ma  non riescono ad esprimere un senso pragmatico, portando spesso lo studente in uno stato di profonda confusione e apatia. 
Sono sicuro che... #########################################################################################################################################################################################

Purtroppo, qualcosa di strano avviene nel luogo in cui si trova Mario, ed uno stordente rumore, intimorisce  tutte le persone presenti all’osservatorio creando panico e scompiglio.
Cosa sarà successo?


To be continued…




[1] La parte restante viene approfondita nella versione illustrativa.
[2] “Ti amo” in svedese .