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ebook di ArchigraficA

martedì 15 ottobre 2013

Fine del mondo e dintorni





di Giacomo Ricci


Immaginate che, dalla sera alla mattina, non si sa perché, si esauriscano tutti i combustibili della terra. Petrolio, gas, carbone, tutto finito. Che succederebbe?
Mauro Corona lo racconta ne La fine del mondo storto,  un suo breve racconto-favola allucinato al punto giusto, dal tono profetico  del 2010.
La sua è, a parere mio, una bella intuizione narrativa.
La fine dei combustibili dalla sera alla mattina, porta il mondo moderno al disastro e alla morte, com’è facile immaginarsi.
Tutto accade d’inverno.
Freddo, mancanza di cibo, vanificazione e cessazione forzata di qualsiasi sistema produttivo e di ogni attività, sovrabbondanza di cose inutili, terra inquinata, portano, in poche ore, alla fine del mondo moderno, dei suoi sistemi di governo, allo sterminio della popolazione su scala mondiale e a un drastico, radicale, inusitato ridimensionamento dei sistemi di vita che ritornano indietro, a tempi primitivi antichi e feroci.
L’uomo si trova di fronte alla terra e non sa come fare per sopravvivere.
Nel frattempo, diventate inutili le ricchezze e il potere, tutti si ritrovano uguali di fronte alla morte e alla perdita di qualsiasi difesa.
Il freddo è intenso e assoluto, devastante. Le case non servono più a proteggere. Non c’è luce, non c’è energia. Un modo gelido, brutale, oscuro, notturno, abissale, da incubo.
Si brucia tutto per superare il freddo, prima la legna, poi le porte, gli infissi, l’arredo, i quadri fino alla roba nei musei, Caravaggio, Michelangelo, Raffaello, tutto da ardere per non morire.
E chi se ne fotte dell’arte, chi la capisce di fronte alla morte? Spazzatura, plastiche, opere artistiche, statue di santi, croci, libri, intere biblioteche, tutto a rogo. Non c’è alternativa alla morte per gelo.
Una speranza sono i vecchi montanari, isolati sulle vette che non hanno dimenticato come si fa a sopravvivere con niente, sfruttando quello che dà la natura.
Gli uomini hanno dimenticato tutto e devono imparare.
Si scoprono le vecchie tecniche di sopravvivenza. Si è tutti uguali davanti alla morte e ai morsi del gelo.
Si supera l’inverno, lentissimamente, mangiando  tutto il commestibile, topi, insetti, scarafaggi e, alla fine,  anche i cadaveri.
Una sorta di anarchia forzata governa gli uomini. Non ci sono capi. Tutti collaborano tra loro non per il piacere di farlo ma perché altrimenti è morte certa.
E ci si avvia lentissimamente verso la primavera, la semina, il sole, il tepore.
Con l’estate, con il raccolto, torna negli uomini qualche sicurezza. La speranza compare di nuovo.
Ed ecco, allontanata la disperazione, ben presto tornano anche gli antichi vizi, l’accaparramento, la sete di potere e il dominio dell’uomo sull’uomo. E la storia si ripete uguale a se stessa.
«A questo punto è inulte tirarla lunga» conclude Corona «E’ già chiaro quel che succederà. Un po’ alla volta, tutto tornerà come prima, prima della morte bianca e nera. E sarà il principio di un’altra fine. Finché l’uomo non sparirà dal pianeta, farà di tutto, e ce la metterà tutta, per farsi male e per star male. Poi si estinguerà. Ma sarà colpa sua. L’uomo è l’unico essere vivente ad auto estinguersi per imbecillità».
C’è da credere che le cose si svolgerebbero, nell’ipotesi di un improvviso esaurimento di tutto il  combustibile del mondo, proprio come dice Corona. E credo che abbia anche ragione quando afferma che, con il risorgere della sicurezza, tornerebbero i conflitti e il “piacere” perverso dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, del dominio, dell’umiliazione dell’altro.
Per chi crede in Dio, quale che sia,  il Dio dei cristiani, dei buddisti o dei maomettani,  questo mondo così fatto è senza dubbio un’assurdità logica. Come può Dio, nella sua perfezione, aver generato un simile pasticcio, una tale bruttura? Che gli passava per testa quando creò Adamo? Lui perfetto ha generato questo imbecille, spoglio, nudo di fronte alla terra, così arrogante e idiota? Un coglione, dice Corona. Un perfetto imbecille, arrogante proprio perché tale.
Tanto imbecille che pure Dio, nella sua infinita pazienza, perde le staffe.
Riporto il brano perché è singolare:

“Colpa vostra” risponde Dio nelle coscienze dei rimasti vivi. “Vi avevo dato tutto, terra, acqua, foreste, animali, pesci, aria buona. Ma volevate di più. Ogni giorno di più. Avete distrutto ogni metro di terra, rovinato la natura, avvelenato l’aria, inquinato l’acqua, impestato il mondo di oggetti inutili quando a vivere bastava così poco. E vi sarebbe avanzato tempo per godervi l’esistenza che è assai breve. Vi ho dato vita corta apposta. Avevo capito che sareste diventati coglioni. Del resto, cominciarono Adamo ed Eva a essere coglioni, e voi siete di quella pasta. Concedendovi esistenza breve, speravo che la usaste al meglio, proprio perché corta e tribolata. Invece niente. Avete fatto di tutto per farvi male e rovinare quel po’ che vi ho dato. Averlo saputo, era meglio lasciare la Terra senza di voi, solo con animali, pesci e uccelli. E mari, boschi e pianure. Mi avete fatto pentire di avervi creato, ma siccome tutto torna adesso pagate dazio. Siete stati spavaldi e arroganti. I due vizi peggiori che si possano mettere insieme. Poveri diavoli, mi fate pena. Ora vado via per non vedervi, mi date fastidio. Se penso che la gran parte dei signori che hanno distrutto il mondo erano quelli che venivano a messa ogni domenica e a ricevere la comunione, mi vien da prenderli a calci in culo. Ma non posso, ormai sono morti, estinti, finiti all’inferno. Ne resta però qualcuno a pagare il fio e a capire quanto sono stati imbecilli. Quando creperanno, all’inferno anche loro.”

E’ un Padreterno umano e incazzato.  E non gli possiamo dare torto.
Ma ora, la domanda stupida che mi pongo e che vi pongo: “Ma perché l’uomo è così cretino? Avvelena la terra  e non pensa ai propri figli. Pensate alla Terra dei Fuochi, al disastro campano, Altro che Campania felix! Una vista così corta, così miope, per il guadagno immediato? E i sistemi di produzione? Fatti a breve respiro, senza pensare a quello che sarà. Un mercato che si satura – e ben presto lo fa – significa che tutta la produzione messa in piedi se ne va a farsi fottere.  E il consumismo come sistema per dare vita alla produzione, al lavoro e alla gente che di questo vive? Una spirale idiota e miope. E gli ipermercati? E il cibo infetto da additivi chimici e schifezze inenarrabili?
E poi tutta la questione della crisi? Ci dicono balle, una dietro l'altra per confonderci le idee. 
Ma la storia è chiara. 
Tutto è cominciato dalla bolla immobiliare negli States e poi da noi. Case che hanno sempre più aumentato il loro valore e prestito a gogò a tutti. Così i derivati davano false visioni d’interesse.
Ma quando i debitori non  pagano più tutto crolla. Il fallimento della Lehman brothers; è da qui, tutto il disastro nel quale ci troviamo. E le case, che dovrebbero scendere di costo, fuori dalla bolla immobiliare, ma non possono perché il patrimonio nominale delle banche è costituito dal valore delle case che sequestrerebbero in caso di non pagamento e se succedesse questo tutto se ne andrebbe a carte quarantotto. Il fallimento a catena di tutti gli istituti di credito. E dunque del mondo finaziario e di quello reale. La fame per tutti. Pur essendo la produzione possibile e valida, tutto vanificato dalla finanza e dalle sue astruse e truffaldine complicazioni.
Un assurdo di idiozia bella e buona. Un abisso di rozza stupidità. 
Ed è questo che governa il  mondo. 
Una storia complicata ma semplicissima che se salta finisce per avere, sul mondo contemporaneo, lo stesso effetto dell’esaurimento dei combustibili dalla sera alla mattina di cui parla Corona.
Ma siamo così coglioni da aver creato questo sistema assurdo, inconcepibile, stupido e imbecille che ci seppellirà?
Che assurdità, che stupidaggine.
Come fai a non dare ragione al Dio di Corona che se ne va incazzato per non vedere, che ne ha le palle piene?
«Andate a farvi fottere» ci dice e volta le spalle. 
Avevo creduto di trovar un rimedio al debito, con lavoro in più gratuito da parte di tutti. Lo stanno cominciando a fare ma senza la trovata che era quella di costruire una banca delle ore di lavoro, come promessa di pagherò, e dunque valore, meglio dei derivati delle banche. Più solida, più sicura. Come dire, io pagherò il debito pubblico non con denaro o interessi ma con ore lavoro che ho disponibili da qui a vent’anni. E si sarebbe fuori dal casino, in una strada di soluzione. 
Mi diedero del cretino. Poi, proprio ieri a Report,  scopro che il sistema c’è ed è quello che in tempi non sospetti ha portato la Germania fuori dalle peste. Impegno dei lavoratori a lavorare in più gratis. In particolare nella Wolkwagen per evitare licenziamenti in massa. Tutti  a lavorare di più per la salvezza di tutti. E ci vuole tanto a capirlo?
Siamo ancora in tempo. Altro che tasse in più. Maggiore poduzione di un terzo. Tutti allo stesso costo di prima. E vedi come sei fuori in qualche anno. 
Allora con ore si superproduzione extra, di tutta la popolazione ci incammineremmo verso una possibile soluzione. C'è qualche economista  disposto a fare il calcolo di quanto ci vorrebbe per portare il nostro debito pubblico alla soglia del 60% come obbligo? Qualcuno lo sa fare? Usciremmo dal debito? Forse sì. Allora perché non lo si fa?
Perchè ci beviamo le favole sull'abolizione dell'IMU che poi rientra come tares? 
Ma, come dice Corona – in particolare in Italia – siamo particolarmente stupidi, dei coglioni come dice il Padreterno inacazzato.
In particolare i politici. E non aggiungo altro.
Imbecilli insopportabili.
E allora, in mancanza di strade alternative e di intelligenza aspettiamo anche noi la nostra morte bianca e nera, l’invenro che ci metterà in ginocchio.
E chissà se mai ne usciremo fuori.
E sempre per parlare di idee,  bella questa venuta ad Agostino Bossi che me l’ha comunicata ieri a proposito dei migranti. Che ci vorrebbe, invece di metterli in quei lager che chiamiamo centri di accoglienza, ad affidare  loro l’intera dorsale appenninica in quota (a partire dai 600-700 metri) con tutti i paesini abbandonati e il corredo di terre, per fare sfruttare loro, che hanno più sapienza di noi per venire da condizioni di non opulenza,  come facevano i nostri nonni, quei sistemi di produzione e vita che noi, inetti e supertecnologici, abbiamo completamente dimenticato, non non sappiamo più fare? 
Proprio  come racconta Corona della terra e del ritorno forzato alle sue colture. Faremmo due cose buone: daremmo una mano a dei nostri fratelli sfortunati (perché, alla faccia di chi dice di no, Lega Nord in testa e quel grandissimo stronzo di suo esponente chiatto, obeso con gli occhiali, con la sua cravatta verde e la sua volgarissima, stupida arroganza, che non nomino ma che voi individuate bene)  offrendo loro case, sistemi edilizie  e terre. Ma soprattutto sottrarremmo all’abbandono una parte notevole del nostro territorio, destinata al totale sfacelo. E magari queste risorse si rivolgerebbero subito anche a favore della nostra collettività.
Il ritorno alla terra è una delle soluzioni ai malesseri produttivi dell'Italia. 
Non un ritorno indietro acritico e ciabbattone, ma un ritorno colto, raffinato, attento, avvertito, preparato, intelligente. 
Geniale quest’idea di Agostino. Da condividere subito.
Le soluzioni ci sono ma, come dice il Dio di Corona, noi siamo prima di tutto coglioni e poi il resto.
Ed è allora certo che, come nella Fine del mondo storto, non appena fuori dalla crisi  ci ricadremmo subito.
A padreterno mio che hai fatto! Quando hai creato l’uomo e in particolare l’italiano.  Quel giorno quando ti sei messo al lavoro  non ti dovevi sentire molto bene. E la cosa è andata storta.
Amen.



martedì 8 ottobre 2013

Alle prese con la badante






di Claudio Cajati


Giulia, ora che sono morto anch’io, ti posso spiegare tutto per bene. E giustificarmi per quello che ho fatto dopo che mi hai lasciato. Che poi lo devo dire: una grossa responsabilità, anzi la maggiore, per tutto quello che mi è successo, ce l’hai proprio tu. Ma come?, voi donne siete più longeve di noi uomini, e tu mi vai a morire a soli sessant’anni! Mi hai lasciato solo, io che non so cucinare, non so sbrigarmela con i lavori di casa, e pure a fare la spesa me la cavo male.
L’unica figlia femmina che abbiamo ormai era sposata e doveva badare alla sua nuova famiglia, alla sua casa: non mi avrebbe potuto aiutare. Insomma, ho dovuto trovarmi una badante.
Tutti i nostri figli si sono subito preoccupati. Ma per loro, non per me. Si sono preoccupati che quella mi si appiccicasse addosso, che fosse una capace di abbindolarmi, di farsi lasciare un’eredità o addirittura di farsi sposare. Prima di tutto hanno pensato che quindi non doveva essere giovane, non doveva essere carina. Naturalmente me l’hanno voluta scegliere loro. E me l’hanno scelta sui cinquanta, grassottella, bassotta, piuttosto bruttina, polacca cattolicissima.
Marzena si chiamava, ma si faceva chiamare, con una punta vezzosa, Maggie. Era molto efficiente, scrupolosa, attenta. Non rompeva piatti o bicchieri, puliva a fondo, sapeva sempre quello che doveva fare, non c’era bisogno che glielo suggerissi o ricordassi io.
Con me era rispettosa ma affettuosa. Aveva slanci di solidarietà e dolcezza nei miei confronti che, scusa se te lo dico, tu non avevi mai, o quasi mai. Quando mi doveva aiutare ad alzarmi o a calarmi in poltrona, o quando doveva aiutarmi a lavarmi la schiena nella vasca da bagno, lo faceva senza ambigue malizie. E confesso che la cosa, che pure era segno di correttezza, mi dispiaceva un poco: le sue mani tonde morbide tiepide che mi scorrevano sulla pelle mi davano l’idea di un brivido diverso che avrei potuto provare se…
Il tempo è passato veloce, in una consuetudine monotona. Ma poi le cose sono cambiate fra noi. Ormai era quasi un anno che Maggie viveva con me. Adesso c’era grande familiarità e confidenza fra noi. Ma una familiarità che ha smesso all’improvviso di essere fraterna: in lei è emersa, prepotente, la femmina. E che femmina!
È stata una deliziosa sorpresa, la prima volta. Maggie mi ha preparato un caffè, è venuta verso di me che ero in poltrona e all’improvviso è inciampata – o ha fatto finta di inciampare – tanto da rovesciarmi il contenuto della tazzina sui pantaloni. Anzi proprio sulla patta. Allora si è precipitata a prendere uno strofinaccio, l’ha bagnato abbondantemente ed è corsa per togliermi la macchia: premeva con lo strofinaccio bagnato sulla patta, ma soprattutto strofinava sul mio uccello, impazzito di piacere. In poco tempo sono arrivato bagnandomi tutto. Allora lei con la massima disinvoltura mi ha slacciato i pantaloni, me li ha tirati via, e mi ha pulito l’uccello leccandolo a lungo con la stessa meticolosa cura con cui usava fare le pulizie. (Ho pensato: Ecco, la sua fissazione per la pulizia, però…)
Un giorno, poi, che stava lavando il pavimento vicino al divano su cui leggevo il giornale, lei è scivolata – o ha fatto finta di scivolare – e in un istante mi è caduta in braccia. Il suo tondo e massiccio fondoschiena proprio sul mio uccello, che ha cominciato a gonfiarsi. Lei allora ha fatto come per tentare di rialzarsi, mentre mi guardava fra mortificata e allusiva. Ma non riusciva a rialzarsi – o faceva finta di non riuscirci – e con movimenti scomposti non faceva altro che strofinare il suo culo sul mio uccello ormai tutto in erezione. Ha continuato così, a lungo, a lungo. E io non ho potuto fare a meno, anche questa volta, di arrivare. Lei ha ripetuto il rito del lavaggio, questa volta ficcandoselo tutto quanto in bocca, fino in fondo alla bocca.
Da allora abbiamo cominciato a fare sesso in tutte le maniere. Come due giovani amanti impazziti di desiderio. Soprattutto lei, anche quando io ero stanco, voleva fare sempre comunque l’amore. E lo sapeva fare benissimo, come una consumata professionista (tu ci mettevi tutta la tua buona volontà, ma non c’è proprio paragone con quello che mi faceva provare Maggie). Eppure io, nonostante i miei sessantacinque anni, mi dicevo che era anche merito mio: lei faceva così perché ero ancora un uomo virile e desiderabile. Mi piaceva pensare che lei volesse fare tanto sesso con me perché le piacevo, anzi le piacevo assai.
Un giorno che a letto mi stava titillando teneramente i coglioni con la sua sapiente lingua, mi ha guardato fisso negli occhi e graziosamente, timida eppure risoluta, ha chiesto con il suo italiano approssimativo: “Vuoi tu me sposare?”. Io ho pensato a te, ma soprattutto ai nostri figli che si erano tanto raccomandati di non fare una sciocchezza del genere. Dovevo educatamente dire no. Ho detto, d’un fiato, sì.
Ci siamo sposati in municipio in gran segreto, assolutamente di nascosto dai nostri figli. Non sia mai l’avessero saputo – loro ignoravano pure che io e Maggie facevamo sesso –  sarebbe stata una tragedia.
Dopo la cerimonia Maggie era raggiante. Mi ha fatto l’occhiolino e mi ha assicurato: “Adesso te farò essere ancora più felice”. E subito i suoi assalti erotici si sono fatti perfino più frequenti ed eccitanti. Io insistevo a sentirmene lusingato, mi piaceva pensare che ero il maschio gagliardo benché maturo che lei voleva.
Ci ho messo un sacco di tempo a capire la verità: lei voleva semplicemente farmi crepare. Consegnarmi alla felicità definitiva. E, come ora puoi costatare, c’è riuscita. Noi due siamo qui, di nuovo insieme, ma fra i morti. Lei intanto si gode la sua cospicua quota di eredità. E invano i nostri figli stramaledicono lei e me.    

venerdì 4 ottobre 2013

Dopo la rivoluzione, petali e foglie





di Giacomo Ricci

Parte prima

Le cose di cui tutti parlano come l’avvelenamento di aree di enormi proporzioni e la tragedia dei migranti che muoiono in mare m’impediscono di pensare liberamente.
Opprimono la mia mente.
E anche il mio lavoro di scrittore.
Mi sembra ridicolo proseguire nell’inventare un altro giallo, quando la realtà è così nera.
Una domanda mi gira ossessiva per la testa ed è questa:
«Si può ancora pensare a una vita “moderna” senza rifiuti tossici che avvelenino il nostro pianeta?».
Una domanda semplice che viene spontanea osservando i disastri assoluti che ci circondano causati dalla nostra “civiltà”.
La risposta è difficile, forse impossibile, perché presuppone di eliminare in maniera radicale una serie di fattori ingombranti che si sono piazzati nella nostra vita e non sappiamo come fare a eliminare.
Provo qui a farne l’elenco:
1.   La vita intesa prevalentemente (se non solo) come guadagno economico. Ovvero il denaro è l’unica divinità ammessa nel mondo moderno. Assoluta e totalizzante.
2.   La produzione industriale come via prevalente al guadagno.
3.   Non calcolare tutto il resto. Compresi i rifiuti del processo industriale. Taranto, la terra dei fuochi, l’avvelenamento del mare, l’effetto serra e così via.
4.    L’aver legato il guadagno di ognuno (dai più grandi ai più piccoli, dal più grande capitalista al più povero dei migranti) alla produzione industriale. Tutto, ma proprio tutto ne segue tendenzialmente la logica.
5.   L’alterazione degli equilibri chimici raggiunti nei processi naturali nell’intero ciclo evolutivo del pianeta in svariati milioni di anni, in poco meno di cento, centocinquant’anni.
6.   L’abbandono totale della produzione tradizionale artigianale-contadina di tutta la storia dell’uomo (gli ultimi cinquemila-diecimila anni).
7.   La spirale produzione-merce-vendita-guadagno-consumo-produzione, quello che più sinteticamente definiamo Ciclo del Consumo.
8.   L’economia reale = produzione-merce-vendita-consumo
9.   L’economia finanziaria = astrazione dove il guadagno deriva e sovverte l’economia reale. Il grano non è più merce ma prodotto finanziario (?). Il punto interrogativo non è che non comprendiamo l’operazione ma è per sottolinearne l’assurdità logica.
10.               La morale cinica basata sull’intensificazione della vita nervosa. L’intensificazione è dovuta agli stimoli sempre più forti per indurre il bisogno “fisiologico” dei prodotti (un cellulare come protesi indispensabile alla vita: come faresti senza?). Ogni messaggio diventa più forte per distinguersi nel rumore di fondo di tutti. Il bombardamento continuo azzera la capacità emotiva del singolo e lo porta al cinismo e al disincanto.
11.                Il distacco tra denaro e morale.
12.                Il ciclo politica-delinquenza-produzione come sintesi inevitabile del meccanismo di produzione. (La terra dei fuochi). Dunque l’avvelenamento di territori sempre più vasti non è una scelta scellerata ma inevitabile e il connubio di cui sopra l’unico consentito nell’apparato dello stato “moderno” tardocapitalistico. Questo è ora sotto gli occhi di tutti. Saviano lo descrisse a suo tempo in maniera efficace.





Parte Seconda

Su queste basi che precedono quale romanzo potrei mai scrivere? La realtà ha superato la peggiore e più virulenta fantasia noir-fantascientifica. Allora il romanzo che vorrei scrivere (che mi piacerebbe tutti scrivessimo) potrebbe essere articolato nei seguenti punti:
A)      In un lontano futuro l’umanità (quello che ne resta)  studia questo periodo storico degli inizi del terzo millennio e le sue interne contraddizioni.
B)      Si ricostruisce la via di fuga  che gli uomini inventarono per mettere fine a questa spirale delinquenziale-depravata del grande capitale.
C)      Il primo atto di ribellione dell’umanità al dominio scellerato del grande capitale fu quello della cosiddetta “Rivolta degli avvelenati”.
D)      Cominciò per caso a AXXXXX. Un uomo aveva perduto di cancro la moglie e i suoi due figli piccolissimi. Anche lui era prossimo alla fine. Aveva raccolto tutte le sue energie residue. Erano al funerale dei suoi cari. Vide, mentre era dietro ai feretri,  un uomo che s’era arricchito sui rifiuti tossici. Fu come un lampo: il dolore si trasformò in odio. Uscì calmo dal corteo. Gli si avvicinò. Tutti guardavano in silenzio. Fece per tendergli la mano. Quello sospettoso tese la sua. Ma gli conveniva accettare quella stretta. Il gesto lo scagionava agli occhi di tutti. Ma rapido l’uomo ritirò la sua mano e  cacciò di tasca il suo coltello per il pane e lo piantò dritto nel cuore del delinquente con tutta la forza che ancora gli rimaneva.
E)      Il coltello entrò senza tante difficoltà. L’altro cadde a terra senza un lamento. Con gli occhi sbarrati dalla meraviglia e dal dolore. I suoi guardiaspalle cacciarono i revolver. Fecero per sparare.
F)      Ma la folla del funerale sorse come un sol uomo. Saltarono in tantissimi addosso ai due. Li afferrarono. Li spogliarono. Li percossero con le scarpe che si tolsero dai piedi, con le borsette, con le cinghie dei pantaloni, a graffi, a morsi, a pizzichi, a pugni, a schiaffoni, torcendo le braccia dietro la schiena fino a spezzarle. La folla su di loro si accalcò come in un formicaio le formiche sulle carcasse di due scarafaggi. Urla, imprecazioni, sangue che schizzava via. Membra volarono intorno. Di loro in pochi minuti non rimase più nulla di connesso. Pezzi sparpagliati in giro. Escrementi, budella sfibrate, muscoli dilaniati, teste spaccate. Fecero la stessa fine dell’eletto Starace durante i moti napoletani del maggio 1585.
G)     Fu il segnale. Da lì la rivolta guadagnò le strade, le piazze della città di AXXXXX. Tutti si diressero verso la casa dei delinquenti riconosciuti e acclarati. Fu in breve una strage.
H)     La rivolta dilagò da AXXXXX a tutti i paesi della provincia, nelle cittadine di BXXXXX, CXXXXX, MXXXXX.
I)        Come una macchia d’olio dalla provincia di CXXXXXX a quella di Napoli a quella di Salerno.
J)       E poi più su, Avellino, Benevento, Isernia, Campobasso, Centro Italia, Italia del Nord e del Sud. La notizia si diffuse in un baleno e semplici e spontanee scoppiarono le rivolte, feroci, implacabili, assolute. In due giorni l’Italia fu rivoltata come un guanto. Incendi, smembramenti, dilaniamenti. Fu fatta piazza pulita. Affanculo tutti gli oppressori.
K)      Furono i giorni dei roghi. Al fuoco tutte le case dei delinquenti, dei politici collusi, degli imprenditori infami.
L)      E dall’Italia la protesta corse per l’Europa, la Russia, l’Asia e poi le Americhe.
M)    In breve il mondo fu liberato dal capitale.
N)     Il capitalismo fu eliminato come idea con  tutte le sue perversioni morali.
O)     Si ritornò in breve tempo a un’economia agricolo-artigianale.
P)      Si ebbe un enorme sviluppo della cultura. Gli uomini lavoravano e dopo, sereni e felici con i figli, con le mogli, si sedevano accanto al fuoco, al tramonto, e raccontavano le storie dei loro avi, le filosofie degli antichi greci, la loro visione del mondo, il loro modo d’intendere le questioni dell’umanità e dei loro amici animali.
Q)     Si rivitalizzarono tutti i piccoli centri abbandonati, svuotati dall’emigrazione. I piccoli paesi sulle colline vissero di nuovo, le vecchie mura  furono trasformate in luogo di coltivazione per capperi, prezzemolo e finocchietto.
R)      Fu abolita l’intera cultura scolastico-universitaria e i suoi rappresentati corrotti e ignoranti. Si videro rettori in fuga, magnifici ridotti allo stremo, senati accademici dispersi, professori di ogni ordine e grado, quando erano incapaci nel loro mestiere ma solo corrotti e mestieranti, ridotti alla fame. Come era giusto che fosse.
S)       Si rifondarono le università medievali dei clerici vagantes. Monaci che avevano il compito di conservare le grandi biblioteche composte di libri di carta e sviluppare la grande biblioteca universale digitale in tutte le lingue di tutto il genere umano cui ognuno poteva attingere con semplicità e naturalezza. Monaci che insegnavano per passione.
T)      Ci si avviò verso la società “moderna” della fine del Tremila.
U)     Tutte le opere d’arte dei musei vennero spiegate ai bambini che le trovarono belle e, d’altro canto, i fanciulli  le capirono subito senza bisogno di spiegazioni. Di fronte alla Madonna con il cardellino di Raffaello, al Compianto sul Cristo morto di Giotto, al Trionfo della primavera di Botticelli o alla Flagellazione di Caravaggio non c’era bisogno di alcuna spiegazione. La bellezza ha sempre parlato da sola. Fu così che i critici inutili, in cerca di gloria ingiustificata e basata su linguaggi incomprensibili (nemmeno a loro stessi) vennero banditi dalla società civile degli uomini.
V)      Ed è questo senso della cultura e della vita quella che oggi permette all’uomo di sopravviver in pace con tutte le creature della terra
W)    Fine della storia. Fine delle guerre, fine delle controversie. Non ci fu più bisogno del petrolio e gli sceicchi furono costretti ad andare a lavorare. Anche loro. Molti fecero i camerieri. Alcuni gli sguatteri e i lavacessi. Altri, avviliti per la perdita dell'immenso potere accumulato,  diventarono barboni e si diedero all'alcol. 
    Il vento, il sole e l’acqua diedero tutta l’energia di cui l’uomo aveva bisogno. E poi per i lavori di campo c’erano gli asini con la loro grande pazienza e gli occhi buoni.
X)      Ognuno visse in pace con il suo vicino e i suoi simili.
Y)      Ognuno si fece i cazzi suoi.
Z)      Ognuno non volle più accumulare perché l’accumulazione non scongiurava la morte.
Si scoprì che la morte, in quanto fatto naturale, non era la fine ma il riciclo della vita e che ognuno vi ritornava in pace e sotto forma di altre specie viventi.

Io che scrivo ero un tempo un uomo ma ora sono una margherita. Mi giro con il sole e, dopo il tramonto, aspetto, a petali chiusi per la notte, che sbuchi lì in fondo, dietro le montagne per poter  dispiegare felice, alla sua luce e al suo calore tiepido e dolce, le mie foglie.