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sabato 27 dicembre 2014
hashtag (??)
Mi viene in mente che non amo molto FB. Ma che è strumento del quale non si può fare a meno. E che odio, con tutte le mie forze, Twitter. Non ne ho mai voluto fare uso. Non so perchè. Per un fatto istintivo, oscuro. Una paura, insomma.
La ragione? Perchè tende a assimilare il discorso fonologico (quello costruito trascrivendo con segni i suoni contenuti nelle parole, cioè il nostro) in iconico-simbolico, cioè fatto di simbolini funzionali che rappresentano le cose nominate.
Se vi leggete qualsiasi trattatello di linguistica scoprite che le possibilità combinatorie del primo basate su un certo numero di segni sono praticamente infinite. Quelle del secondo, per quanto i segni tendano ad aumentare in maniera incontrollabile, sono praticamente quasi nulle, al di là della pura agnizione. Che vuol dire nominare le cose solo per il loro uso.
Una riflessione banale ci fa capire che, nati in questo modo, i vari linguaggi dell'uomo si sono trasformati. Da agnitivi-funzionali in espressivo-riflessivi.
Da nominare le cose concrete in inventare i concetti astratti.
Come dire da: «capra», «latte», «mazza», in «sentimento», «Amore», «idea», «Bellezza».
Bene. Un hashtag fa il contrario. Trasforma un'idea astratta in un simbolo.
Cioè tenta di trasformare il linguaggio fonetico in un linguaggio strettamente funzionale. E questo, per me, significa attentare alla libertà di pensiero degli uomini. C'è chi sostiene che la libertà degli uomini, la vera libertà, il pensiero, la formulazione dei concetti astratti sia l'essenza della loro umanità. La fonte della vita intellettuale, del pensiero. Bene. Che cosa fanno gli hashtag (o come cazzo si chiamano) se non trasformare una parola in un'icona? Io scrivo «aria» e questa parola fonica (musicale) apre un universo di significati (ma soprattutto di allusioni, associazioni involontarie, fantasticherie) nella mente di chi legge. Scrivo #aria e immediatamente FB, twitter, Instagram e tutti gli altri social, la trasformano in icona, in un simbolo che non significa più un cazzo, che soprattutto non apre nella mente di chi legge nessuna associazione, nessuna fuga (in senso musicale, Bach per intenderci). Ma nemmeno in un simbolo matematico, che una sua logica ce l'ha e come. E' un cartellino, un'etichetta, un cazzariello che mi svuota (ci svuota) della potenza eversiva del linguaggio. Meditate, gente, meditate. E' la più grande fregatura ordita ai danni dell'homo sapiens sapiens da tempi immemori.
Siamo fottuti e ancora non lo sappiamo.
Che ne direste di cambiare le regole? E tornare alla dialettica, al discorso, alle argomentazioni, alla poesia che, come dicevano Rilke, Heidegger e altri, rappresenta la ricerca del luogo del significato? Ne è la continua rifondazione? Contro la pura agnizione? Lottare per la riconquista del significato, per il senso, il luogo dove la parola giace. Quella terra nascosta e profonda dove le parole incontrano i sentimenti e la ragione e fanno dell'uomo la splendida creatura pensante, artista, poeta, filosofo, inventore che è? Alla faccia di tutti i linguaggi piattamente funzionali?
Non ci leggete una profonda rivoluzione politica in tutto ciò?
Una lettura di Una teoria della prosa di Victor Sklowskij farebbe molto bene a tutti, visto il punto in cui siamo.