logo

logo
ebook di ArchigraficA

mercoledì 26 giugno 2013

"Ma lo sa che lei è stupido? S'informi, s'informi"


"Ma lo sa che Lei è stupido? S'informi, s'informi"




"Da grande sostenitrice di questa tecnologia, sono tendenzialmente d'accordo con il suo articolo, professore. Trovo le ragioni di chi vi si oppone spesso banali.
Per il costo, Lei ha fatto il paragone con il Kindle ma esistono dispositivi che costano anche meno, 50€ ad esempio, che potrebbero benissimo corrispondere al prezzo di cinque libri. La maggior parte delle persone, poi, risponde che la lettura non è solo un'esperienza limitata alle parole ma anche sensoriale: sentono il bisogno di toccare le pagine di carta, di avvertirne l'odore. Questo almeno è stato il punto principale di molte discussioni che ho avuto sull'argomento (con le stesse persone che poi si lamentano di chi non ha una 'coscienza ecologica'). A mio parere si è troppo attaccati ad un'idea romantica dell'atto stesso di leggere, quando razionalmente il Kindle offre talmente tanti benefici da far sembrare questa argomentazione ridicola. Che poi vogliamo parlare della bellezza del design di questi oggetti? Leggerissimi e comodissimi, ti svincolano dal peso di un mattone di milleduecento pagine, e solo per questo andrebbero amati alla follia.
Insomma, per me rappresentano il futuro e un salto in avanti per la società. 
Quello sul quale nutro ancora dei dubbi, è il concetto di aprire la possibilità a Tutti di pubblicare quel loro racconto segreto. Internet è pieno di siti e forum di scrittori amatoriali dove pubblicare gratuitamente (e di leggere gratuitamente). Frequentando molti di questi siti, ti accorgi subito di due cose fondamenti: una è il problema di trovare qualcosa di decente, tra millemila account di 'scrittori', spesso quindicenni arroganti; il secondo - peggiore - è la quantità imbarazzante di storie scritte senza conoscere l'uso delle regole più basilari della grammatica, della punteggiatura e delle regole della scrittura (struttura, trama, caratterizzazione dei personaggi risultano quasi sempre assenti). Ho trovato anche autori di una certa valenza, piacevoli da leggere, ma sinceramente non so se comprerei un loro racconto. Sento piuttosto di apprezzarli per quei momenti di pausa che mi concedo leggendo quelle loro storie senza pretese, lasciando che nella mia testa restino separati da quegli altri momenti in cui apro un libro pubblicato da una casa editrice. Proprio in questi giorni, Amazon ha cerato una nuova sessione per il Kindle (Kindle Worlds, mi pare si chiami) dove apriranno il mercato degli e-book anche alle 'fanfinction', storie scritte perlopiù da adolescenti sulle loro serie preferite.
Certo, mi è capitato di trovare una o due persone capaci di distinguersi e che supporterei se dovessero lanciarsi a pubblicare un loro romanzo a pagamento. Ma veramente due in quattro, cinque anni. 
Ora, mi chiedo, l'idea di permettere a tutto il mondo di vendere il proprio libro, non creerà un mercato vastissimo nel quale il lettore finirà per perdersi? Come trovare un autore degno in questo caos? Il passaparola, per quanto efficace, basterà?
Inoltre, le casi editrici, spogliate del lato più commerciale, non hanno il compito prima di tutto di aiutare un autore a completare la propria opera (il curatore editoriale, di bozze)? Discutendone i temi, i passaggi, la forma, in un iter che dovrebbe far crescere la figura stessa dello scrittore... Mi viene in mente la figura di Maxwell Perkins (scoperta da pochi giorni, ammetto) e il suo rapporto con Fitzgerald ma anche e soprattutto Wolfe.
Lasciare tutta questa folla di aspiranti scrittori a piede libero, non ci darà più Sfumature di grigio e meno Gatsby?
Non saprei, su questo ho ancora molte perplessità, ma mi piacerebbe sapere meglio Lei cosa ne pensa a riguardo, perché trovo che nell'articolo sia un punto trattato più sommariamente.

Marcella Bruno"




Informiamoci

di Giacomo Ricci

Inutile dire che trovo centrato quanto scrive Marcella Bruno in un post lasciato su Facebook che ho riportato qui sopra. Anche l’osservazione che un’editoria “democratica” per tutti, dall’adolescente arrogante amante della “fantascienza” alla casalinga che scrive ricette, è una iattura, un cataclisma, un’invasione di idiozie che sommerge quanto di buono (poco per la verità) c’è nell’editoria italiana contemporanea.
Sì, ammetto di aver girato attorno a questo buco nero dello scrivere contemporaneo, a questo fenomeno “culturale” tardo capitalistico nel quale siamo sommersi, scansandolo, come si dice.
Non so che pensare. Perché da un lato sono atterrito dalla piega che sta prendendo il fenomeno e dall’altro sono avvinghiato da una sorta di cupio dissolvi nella quale penso: “Ma sì, che tutto se ne vada a farsi fottere e chi s’è visto s’è visto”,
E lo sforzo di reggere tanta stupidità mi avvolge gettandomi nella più cupa disperazione.
Allora, mi dico, per capirci qualcosa dovremmo andare alla radice del problema e chiederci:
“Ma, cacchio (un cacchio leggero, non volgare, alla Totò, messo lì per sdrammatizzare), perché tutti, ma proprio tutti oggi vogliono scrivere?”
E già perché il problema è tutto lì.
Insomma non ci troviamo solo di fronte a frotte di adolescenti ipnotizzati da videogames cinici e violenti, da serie TV di “fantascienza-horror” che non se ne può più,  o da un’eterna atmosfera splatter propria delle cantine luride di macelleria di quartiere sub-sub-popolare,  interamente mutuata dal famigerato Saw – l’enigmista
E per inciso, proprio per farsi un'idea della "qualità" del prodotto dico che si tratta di un film costruito scritto e diretto da James Wan in appena 18 giorni! 
E, devo dire, che si vede, per la sciattezza e l’orrore (stilistico, estetico) strascinato, alla lettera,  sotto i piedi. Questo sì prodotto di cassetta per spettatori adolescenti in preda a turbe del basso ventre, localizzate tra retto e uretra, mescolate a una visione del sesso e della paura a metà strada tra depravazione e cretinaggine.
Credo di ricordare che l'anima albergava zone più alte del nostro organismo, raccogliendosi nel basso ventre piuttosto i rifiuti maleodoranti del corpo. 
Ma i “prodotti letterari” adolescenziali del filone fanta-horror-sado-maso sono ben individuabili e, direi, in qualche maniera innocui. I loro padri, purtroppo bisogna dire non privi di una qualche genialità, che sembra totalmente difettare ai loro epigoni-discendenti, sono, manco a dirlo, Stephen King e Phil Dick.
Ma di poesia nel lavoro di costoro, bisogna dirlo a gran voce, nulla. Quella che invece c'era a bizzeffe nel loro padre spirituale Edgar Poe. Di tutt'altra pasta, altra sostanza e sofferenza reale, come ben intuì il buon Baudelaire. 
Storie complesse, quelle di questi due autori nostri contemporanei, che, per molti versi ammiro e trovo, come ho detto, in qualche modo geniali. 
Un’analisi completa del loro significato nella società contemporanea (in particolare quella made in USA e soprattutto nei suburbi degradati e lontani da ogni forma di civiltà e meno che mai cultura) esula dagli scopi di questa nota e ci porterebbe troppo lontano. 
Mi limito a dire che per comprendere a fondo  la fortuna  editoriale di autori come questi sarebbe necessario comprendere orizzonti, frustrazioni, confini, paranoie e destini della gran parte della popolazione televisiva degli ultimi cinquant’anni, le titillazioni che subisce da parte del mercato che vende prodotti e li impone, l’orizzonte di senso (si fa per dire) nel quale vengono sbattuti fin dalla più tenera età dalle multinazionali preoccupate soprattutto a forgiare un soggetto di consumatore obbediente, disponibile, aperto e soprattutto totalmente acritico.  
No, il danno del self-made-writers nati su web e dintorni sarebbe minimo.
“Lasciali crescere” mi verrebbe da dire. Chi è bravo si farà, gli altri a fare i ragionieri, gli sfasolati o i commessi di banca. 
E pace.
Il fatto, invece,  è che tutti, ma proprio tutti scrivono. E non da quando imperversa il digitale. DA molto prima. 
Fa parte della strategia delle major editoriali. L'uomo della strada che ambisce al suo momento di celebrità e, dal mestiere nel quale si è in qualche modo distinto agli occhi del grande pubblico, trasmigra, per il tempo di una pubblicazione, al mondo della scrittura e della grande vetrina editoriale. Così uomini di banca e di potere, politici, soubrette, mignotte famose, grandi e sfaccimmi faccendieri, delinquenti pentiti e altro di colpo diventano scrittori.
Un esempio per tutti che, a parere mio, ha veramente del paradossale?
Edinson Cavani che, tra un calcio e un altro, ha trovato il tempo di scrivere un suo “libro”, una sua autobiografia.  Quello che ho nel cuore, si intitola e glielo ha pubblicato, manco a dirlo, la Mondadori.
“Oh cacchio, perdincibacco”, direbbe Totò, “Cavani scrive la sua autobiografia. E dove siamo arrivati?”.
A scriverla, ovviamente non è stato lui ma si tratta di operazione editoriale organizzata dalla Mondadori, con ghostwriter scelti apposta  per l’occasione. Operazione fatta con tutte le “cazzimme” necessarie allo scopo, diretta verso (stavo dicendo “contro”) un pubblico di bocca buona, pronto a bersi la spiritualità, l’amore per Gesucristo, un non meglio definito legame tra la furia di fare gol e l’Ispirazione del Signore e così via.  
Aspetto questo nel quale c’entra anche la particolare posa “ascetica” (si fa ovviamente per dire) che caratterizza il nostro buon Matador quando entra in campo con entrambe le mani alzate a metà e gli indici tesi a indicare il cielo, atteggiamento che mi fa pensare ai fujenti della Madonna dell’Arco, ai veneratori di marunnelle di plastica che lacrimano sangue o comunque non ben identificati liquidi rossastri, sostenitori degli Ufo, marzianofili, posseduti non-si-sa-da-chi  e stupidaggini popolari discorrendo.
Per carità, ognuno può fare tutte le operazioni commerciali che vuole, ci mancherebbe. Come ognuno è libero di credere a quello che vuole, dalla Madonna che appare (o come dice De Crescenzo in uno dei suoi geniali pezzi, il contrario, apparire alla Madonna), agli UFO, agli spiriti, gli gnomi, o munaciello e la Bella 'Mbriana. Ognuno creda pure alle sue stupidità. 
Ma, come dire, tra questo assieme di operazioni di “mercato” e la cultura ce ne passa. O no? Questo lo comprendiamo?
Sto pensando ai libri di Nietzsche (Aurora e La gaia scienza) che videro, nella loro prima edizione, solo un paio di copie vendute in tutta Vienna.
Tiro fuori quest’esempio limite,  e nemmeno tanto,  per dire che il ragionamento di Marcella Bruno, se corretto è però in qualche modo da mettere meglio a fuoco.
Nel senso che le operazioni commerciali messe in piedi dalle case editrici sono tante e tante che prendersela con gli scrittori adolescenti che accocchiano errori su errori e pubblicano in proprio, gratis sul web fa sorridere.  Al più fanno tenerezza.
Sono aperte, dichiarate, ingenue.
Non sono queste pubblicazioni che mettono in forse l’equilibrio, già fragile, della cultura e della letteratura contemporanee.
L’esempio di Nietzsche l’ho fatto apposta. Ma ne potrei citare a iosa, a bizzeffe. Vi immaginate quante copie si siano vendute del Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein? 
Lo avevo sottobraccio a piazza Amedeo, tanti anni fa. Incontrai un tizio che mi venne presentato da un amico. La combinazione! Era il traduttore in italiano del Tractatus.
"Oddio", mi disse. "Non mi dica che se lo sta leggendo. Sa, io l'ho tradotto, ed è una palla!".
"E ho detto tutto" come dice Peppino a Totò chiudendo qualsiasi possibilità di dialogo. 
E allora, vengo al dunque.
Io credo che il campo della letteratura e degli scrittori bravi e del loro pubblico di lettori attenti e colti, sia stato e sia sempre molto, ma molto limitato. In termini percentuali forse l’1, il 2% di tutto il pubblicato.  Esagero? Va bene. Allora il 5%, ma non di più.
Il resto è più o meno roba amorfa, paccottiglia, spazzatura nel senso più stretto del termine, roba destinata al macero e ai cassonetti di raccolta per la carta da riciclare. Roba che non cambierà il corso della storia, i gusti letterari né, meno che mai, le sorti della cultura e del pensiero della civiltà cui, per il momento, ancora apparteniamo.
Vi fate il conto di tutte le riviste periodiche che contengono per il 90% solo pubblicità e, per il resto, tolto l'indice, quattro stroppole di editoriale, uno o due articoli illeggibili, abboffati di megafotografie e di tette e culie la solita indossatrice che guarda il mare sotto la palma di turno?
Che fine fanno? 
Spazzatura,  munnezza, paccotti da macero. 
E vengo al nodo di tutto questo. Se, per legge, tutto questo materiale in sovrabbondanza numerica ma assolutamente vuoto sotto il profilo della portata culturale venisse rigorosamente costretto nelle maglie del digitale? Niente carta, divieto totale.
Basta con la carta. Che invece destineremmo al disegno, all'opera d'arte, all'acquerello, alla scrittura a mano con penna stilografica, da amanuense in un ritornato bisogno di miniature e grafia da puro medioevo.
Assatece perdere o' tiempo comme ce pare. O no? 
Quanta carta si risparmierebbe, quanti prodotti nocivi non verrebbero immessi nell’ambiente (ricordo, per inciso, che tutte le riviste a colori vengono stampate su carta fortemente inquinante, che non si può bruciare perché rilascia diossina e altre schifezze), quanti alberi salvati, quanta benzina e gasolio in meno, quanti metri cubi di magazzino non servirebbero più? 
E non fatemi più la palla dei posti di lavoro che si perdono. 
Le maestranze, gli impiegati imparassero a fare gli ebook, a ricercare ereader migliori a colori ecc. Parliamo tanto di mobilità e poi?
Quanti di voi sanno che cos’è il linguaggio XML, quali i software per produrlo o convertire formati, che differenza c’è tra un pdf e un epub? Quale è più conveniente per la stampa e quale per un uso strettamente digitale?
Ad esempio sapete convertire un epub in un mobi. Sapete che c'è chi sa sproteggere da social DRM e recuperare il testo originario?
E quanti esperti di queste cose ci sono in una casa editrice?
E quanti nelle nostre università e nei nostri servizi di biblioteca? E come funziona un OCR?
Ho parlato troppo difficile? Non avete capito? Brutto segno. Significa che siete fuori da quello che accade e che riguarderà  il mondo della lettura e delle pubblicazioni da qui a poco. 
Per ora, viste le pressioni di chi ha interesse in campo (e potrebbe mai darsi qualcosa di diverso in Italia?) la pensata dell'ex-ministro Profumo sull'obbligo delle pubblicazioni scolastiche digitali (che mi sembra una delle cose più intelligenti proposta negli ultimi vent'anni dai nostri politici) non avrà seguito. Tutto rimandato con scuse risibili e interessi molto tangibili ed evidenti. 
Ai tempi di Gutenberg si parlava di torchi, torchi a stella, caratteri mobili, composizione e più avanti, dall'avvento della fotografia,  di cliché, menabò ecc. Oggi i termini sono mutati. Sono quelli che ho prima elencato.
Prima di rifiutare aggiorniamoci, comprendiamo, analizziamo, studiamo. Non fa male. Anzi. 
Quanto ai nostalgici del libro di carta, fatto di "profumo" (?), "tatto" (??), "piacere di sfogliare le pagine" (???), copertine, sovracopertine, dedica a mano, non posso che concludere alla  Totò:
“O cacchio, ma i signori sono stupidi? S’informino, s’informino…”.