Gezi Park
di Giacomo Ricci
Non mi piace inseguire le notizie,
la contemporaneità.
Ma, a volte, la “cronaca” ha molto
da insegnare.
E allora metto assieme due o tre
notizie che mi turbano e ci riguardano anche se lontane.
La prima: la “rivolta” in Turchia,
per gli alberi di Gezi Park. Rivolta che comincia con gli alberi e finisce
dritta dritta, contro il governo turco e il suo leader Erdogan che sembra fare
gli interessi di una speculazione edilizia sprezzante e dilagante.
Quali che siano le cause alla
base, del resto abbastanza evidenti, altrettanto evidente la sciaguratezza
assoluta di un’economia che si fondi sul ciclo perverso casa-speculazione
finanziaria-lievitazione dei prezzi/mutui. Gli esiti letali di politiche
economico-finanziarie di questo tipo sono sotto gli occhi di tutti con i
fallimenti clamorosi di Spagna, USA e Italia.
La seconda: la “rivolta” in
Brasile, “patria del calcio”, contro un calcio da pura speculazione, fatto di
immensi guadagni di società e calciatori ultramilionari, di prezzi da capogiro.
Penso, per esempio, al costo di un
Cavani. Sessantarè milioni di euro. Lo diciamo in vecchie lire? Centoventisei
miliardi di lire. Cero, così fa molta impressione. Quanti asili nido, quanti
stipendi di ricercatori sul cancro, quante borse di studio per giovani cervelli,
quante possibilità di lavoro nel campo della ricerca scientifica, quanti
suicidi in meno rappresenta una tale cifra? Ecco così suona nel suo significato
paradossale e, aggiungo, insopportabile, incivile, inenarrabile.
Allora devo fermarmi. Dobbiamo
fermarci, perché ci rendiamo conto che c’è qualcosa che non va.
Quello che mi colpisce è quello
che questa logica dissennata sottintende. E lo dico come mi viene, senza
mediazioni: la folle depravazione, distorta, sfacciata, strafottente della
speculazione finanziaria che sotto queste notizie si cela. Sia si tratti della
speculazione edilizia più folle, sia del mercato calcistico e delle sue
vertiginose irrazionalità.
Due paradossi, due vistosi
fenomeni di questo dominio becero del mondo, fatto di multinazionali, di
speculazione selvaggia, di dominio atomizzato e imperialistico del mondo che,
gioco forza, provocherà il suo
annullamento.
Ecco che i ragazzi turchi del Gezi
Park e quelli delle favelas brasiliane che circondano gli stadi dove si giocano
le partite della FIFA Confederations Cup mi sembrano una risposta di chi non
sta più a questo gioco al massacro.
Inutile dire io da che parte mi
senta.
Certo non potrei mai essere dalla
parte di chi, per tirare quattro calci a un pallone, ostenta una Ferrari come fosse
una Lambretta o profferisce parole offensive alla memoria di un giudice che ci
onora tutti.
Sono con i ragazzi, per strada, ad
urlare anch’io il nostro diritto alla Terra, il diritto degli alberi a vivere,
il diritto di ogni creatura di questo pianeta a vivere in pace, il diritto al
calcio come gioco di bambini e di cortile e a manifestare il mio profondo
DISPREZZO intellettuale nei confronti di chi non ha capito come stare a questo
mondo, condividendolo in pace con tutti i viventi, alberi, animali, gatti,
formiche, api, cespugli, fiori e umani.
Io non lo vedrò. Ma forse i più
giovani organizzeranno un mondo più libero, più giusto, meno crudele, meno
imbecille.
Perché una cosa è certa: il
tardocapitalismo della nostra epoca è veramente imbecille.
Vorrebbe sconfiggere la paura
della morte con una vita sicura basata
sul possesso del denaro e delle ricchezze. Ma, per farlo, distrugge il pianeta,
correndo a gambe levate verso la morte, senza rendersene conto.
Che imbecilli!