Ho rintracciato on-line e tradotto uno dei saggi più importanti sulla letteratura gialla scritto da Raymond Chandler, uno dei maestri del noir americano degli anni Cinquanta. Mi sembra che valga la pena rileggerlo. Ci sono moltissimi spunti di grande attualità per comprendere le strategie delle case editrici, la vera funzione dei critici letterari e dei premi e la governance del mercato.
G.R.
Raymond Chandler
La semplice arte del delitto
The Simple
Art of Murder (1950)
di
Raymond Chandler
Il destino della fiction in
qualsiasi sua forma è sempre quello di avere un
aspetto realistico. Romanzi di vecchia data, che ora ci appaiono in uno stile
artificioso e ridondanti al limite del grottesco, non erano percepiti in questo
modo dai loro lettori originari.
Scrittori come Fielding e Smollet possono
apparire realistici a noi lettori moderni perché si occupavano di personaggi
disinibiti, la maggior parte dei quali era più avanti
della polizia. Ma lo stile di Jane Austen, che descriveva persone inibite sullo
sfondo di un perbenismo campagnolo, sembra abbastanza realistico sotto il profilo
psicologico. Essi posseggono in gran
parte l’ipocrisia sociale ed emotiva
che è in circolazione al giorno d’oggi.
Basta aggiungervi una buona dose di presunzione
intellettuale ed ecco l’atmosfera tipica
contemporanea tra il serio e il faceto che si respira nei gruppi di discussione
di piccoli club.
Questi
sono i tipi che determinano un best-seller, promosso da uno snobismo di moda,
accompagnato con furbizia dalle foche ammaestrate della critica e curato da
gruppi di opinione potenti, il cui bussiness è la vendita dei libri, anche se
pretendono di fare tutto in nome della cultura. Basta che siate un po’ in
ritardo coi vostri pagamenti per scoprire di quale razza di idealisti si tratti.
[1]
[1]
La detective-story per tutta una serie di motivi
può raramente essere promossa
sul piano etico. Di solito vi si tratta di omicidio e quindi manca qualsiasi
elemento di elevazione morale. L’omicidio,
che è una frustrazione dell’individuo e, dunque, tale anche nel testo, può
possedere, e di fatto lo ha, una forte implicazione di tipo
sociologico. Ma se n’è fatto uso troppo al lungo
per fare notizia.
Se il romanzo giallo è
completamente realistico (e lo è molto
di rado) è scritto con un certo
distacco, altrimenti nessuno, se non un psicopatico, si metterebbe a scriverlo
o a leggerlo.
Il romanzo basato sul delitto possiede anche un
modo molto sciatto di badare al proprio bussiness, risolvere i suoi problemi e
rispondere alle domande che pone. Non vi è proprio
nulla su cui discutere se non sul fatto se sia abbastanza ben scritto per
essere una discreta opera di narrativa. Ma in ogni caso le persone che lo
acquistano anche in mezzo milione di copie non saprebbero rispondere. La messa
a fuoco della sua qualità di scrittura è
abbastanza difficile anche per chi è addetto
ai lavori, che non vi prestano troppa
attenzione e si limitano soltanto alle questioni proprie della prevendita.
Il romanzo poliziesco (forse avrei fatto meglio
a definirlo in questo modo, dal momento che la formula inglese domina ancora il
commercio) deve acquisire il suo pubblico attraverso un lento processo di
distillazione.
Da che cosa questo sia determinato e perché
sia perseguito con tanto accanimento sono motivazioni per uno studio
per menti molto più pazienti della mia. Né
d’altro canto voglio sostenere
che si tratti di una forma vitale e significativa di arte. Non esistono forme
vitali e significative di arte, c’è solo
l’arte e anche ben poco di
questa in giro. La crescita della popolazione non ha aumentato in alcun modo la
quantità di copie ma solo la perizia
con cui esse possono essere prodotte e confezionate.
Eppure una detective-story, nella sua forma
tradizionale, è difficile da scrivere bene.
Buoni esempi artigianali ben fatti sono più rari
dei buoni romanzieri seri. Si tratta
piuttosto di articoli di seconda categoria che sopravvivono nella narrativa di
largo consumo veloce e un gran numero di prodotti che non avrebbero mai dovuto
veder la luce semplicemente si rifiutano di morire. Sono durevoli allo stesso
modo delle statue dozzinali dei parchi pubblici. Si tratta di un fenomeno molto
fastidioso per le persone dotate di buon senso. Non fa piacere che importanti e
acute opere narrative prodotte qualche anno addietro siano relegate
in uno scaffale speciale di biblioteca,
contrassegnato come “Best-sellers di una volta”, dove solo un cliente miope si sofferma e poi scappa via, mentre
tante vecchie signore fanno la ressa allo scaffale del Mistery per afferrare
qualche libro della stessa annata con un titolo del tipo Il caso del triplo assassinio dell’Orchidea o L’ispettore Pinchbottle alla
riscossa [Mi sembra assai chiaro il riferimento al Poirot di Agatha
Christie].
Non fa piacere che “i libri veramente importanti” si ricoprano
di polvere sul bancone delle ristampe mentre La morte veste in giallo è
presente in tutte le edicole del paese in cinquanta o centomila copie.
E non è lì
solo per dire “ciao”.
A dire la verità non
mi piaccio molto nemmeno io stesso. Nei miei momenti meno tormentati scrivo
troppi romanzi gialli, e tutta questa immortalità si
riduce solo a un fatto di concorrenza. Anche Einstein non sarebbe potuto andare
molto lontano se si fossero pubblicati 300 trattati di fisica superiore all’anno e diverse migliaia di altri fossero stati, in un modo o nell’altro, in circolazione e tutti avessero letto troppo.
Hemingway dice da qualche parte che un valente scrittore è
in competizione solo con i morti. Un valente scrittore di
detective-story (ce ne deve essere
qualcuno dopo tutto) è in concorrenza non soltanto
con tutti i morti insepolti ma anche con tutte le schiere dei viventi. Perché
una delle peculiarità di questo tipo di scrittura è che
non passano mai di moda. Anche se le
caratteristiche di un buon protagonista sono un po’
fuori fase e un buon ispettore in grigio possa arrivare in un calesse
piuttosto che in una berlina veloce con la sirena a tutto spiano. Egli quando
arriva fa le stesse cose, gira con orari in mano, con pezzi di carta per
appunti, calpestando prati fioriti sotto la finestra di una biblioteca.
Ho, comunque, in materia un interesse meno
sordido. Mi sembra che la produzione di racconti polizieschi su una scala così
grande, da parte di scrittori che si accontentano di una misera
ricompensa e che manifestano un bisogno di gratificazione critica praticamente
nullo, non sarebbe consentita a tutti, senza talento.
In questo senso il sopracciglio sollevato di un
critico e il mercato scadente dell’editore
sembrano perfettamente logici. Una
storia poliziesca di valore medio probabilmente non è
di peggiore qualità di
un corrispondente romanzo di valor medio. Ma un romanzo mediocre non si vede in
giro perché nessuno lo pubblica. Al
contrario di quanto accade con una storia poliziesca di scarso valore. Non solo
la si pubblica ma è venduta anche in piccole
quantità nelle piccole librerie e
viene letta. Vi sono anche delle persone ottimiste che l’acquistano
ad un prezzo medio di due collari perché il
testo appare nuovo, fresco e vi è la
foto di un cadavere in copertina. E La cosa strana è
che questo prodotto invece di essere definito mediocre, stupido, fuori
da qualsiasi contatto con la realtà,
meccanico, di fatto non è molto diverso da quelli che
vengono ritenuti dei veri e propri capolavori d’arte.
Si muove un po’ più
lentamente, il dialogo è un
po’ più
spento, il cartoncino sul quale vengono disegnati i personaggi è
sottile come un’ombra, e l’intreccio un po’ più
evidente, ma si tratta alla fine dello stesso tipo di libro.
Considerando che un buon romanzo non è
affatto la stessa cosa che un pessimo romanzo. Si tratta insomma di
due cose completamente diverse. Ma una buona detective-story e un romanzo
poliziesco brutto sono praticamente la stessa cosa. La differenza è
ben poca cosa. Ci sono dei motivi per questo, ci sono sempre.
Suppongo che il dilemma principale del romanzo
tradizionale o classico o deduttivo, o di deduzione logica, sia che l’approccio alla perfezione richieda una tale combinazione di qualità
che non si ritrovano nella stessa mente. Colui che costruisce a sangue freddo una
trama non riesce poi a dare spessore ai suoi personaggi, a produrre dei
dialoghi taglienti e un tal senso di osservazione dei particolari e loro
uso. Colui che segue la logica mostra l’atmosfera triste di un tavolo da disegno. L’investigatore scientifico ha un bel laboratorio nuovo, tirato a
lucido, ma, con dispiacere, non riesco a ricordarne il volto.
Il tizio che riesce a scrivere una prosa vivida
e smagliante non ci tiene ad impegnarsi nel lavoro di costruzione di un alibi
inoppugnabile. Colui che si occupa di conoscenze astruse vive in un’aura fatata e lontana dal mondo. Se insomma si sa tutto quello che c’è
da sapere sulle ceramiche e i
bassorilievi egiziani, non si sa nulla della polizia. Se si sa che il platino
non fonderà a circa 2800 gradi F, ma che
si scioglie a vista docchio se collocato accanto a una baretta di piombo, non
si sa come gli uomini nel ventesimo secolo usano fare all’amore. E se si conosce abbastanza bene l’elegante
passeggiata della Riviera prima della guerra per supportare la storia di un
ocale che ci appartiene, non si sa che un paio di capsule di barbital non sono
non soltanto in grado di uccidere un uomo, ma neanche metterlo a dormire.
Ogni scrittore di detective-story commette degli
errori, e nessuno saprà mai quanto. Conan Doyle ha
commesso degli errori che mettono in crisi completamente alcune sue storie, ma
era un pioniere, e Sherlock Holmes, alla fine è un’invenzione con poche decine di righe di dialogo indimenticabili.
E’ il
principale creatore di quella che Howard Haycraft (nel suo libro Murder for
Pleasure) chiama l’età
dell’oro della narrativa poliziesca.
Questa realtà non è
lontana. Per Haycraft essa ha
inizio dpo la prima guerra mondiale e durea circa fino al 1930. Di fatto ci siamo ancora dentro. I due terzi
o i tre quarti di tutti i romanzi polizieschi pubblicati ancora aderiscono alle
formule che i pionieri hanno creato, perfezionato, tirato a lucido e venduto al
mondo intero come problemi di logica deduzione.
Queste parole sono dure, ma non ci devono
spaventare. Si tratta solo di parole.
Doiamo uno sguardo, ora, ad una delle storie
della letteratura, un capolavoro riconosciuto dell’arte di ingannare il lettore senza ricorrere a trucchi o bari. Il suo titolo è
The Mistery House, scritto da A.A. Milne, ed è
stato indicato da Alexander Woolcott (un uomo facile all’enfasi) “uno dei tre migliori
racconti di mistero di tutti i tempi”. Parole di questa portata non si pronunciano
con leggerezza. Il libro è stato pubblicato nel 1922,
ma è abbastanza fuori dal tempo,
potrebbe essere stato pubblicato anche nel luglio del 1939 o, con alcune lievi
modifiche, nella scorsa settimana.
Vantava tredici edizioni e sembra che sia stato in stampa, della sua veste originale,
per circa sedici anni. Si tratta di un libro gradevole, leggero, divertente in
stile Punch, scritto con una scorrevolezza che trae in inganno perché non è
così semplice come sembra.
Vi si tratta della presentazione di Mark Ablett
ai suoi amici di suo fratello Robert. Ma si tratta di una beffa.
Mark è proprietario
della Casa Rossa, una tipica casa di campagna inglese. Ha anche un segretario che lo incoraggia e lo aiuta in questa
rappresentazione, perché sta per ucciderlo. Nessuno
dei vicini della Casa Rossa ha mai visto Robert che è
stato per quindici anni assente, in Australia, conosciuto come un poco
di buono. Si parla di una lettera di Robert che però
non è mai mostrata. In questa egli
annuncia il suo arrivo e Mark dice che non sarà un
incontro piacevole.
Un pomeriggio un tipo che si dice essere Robert
arriva, si presenta ad un paio di
servitori, viene fatto entrare nello studio. Mark, secondo quanto poi viene
testimoniato nell’inchiesta, entra nella
stanza dopo di lui.
Robert poi viene trovato disteso sul pavimento,
morto, con un proiettile conficcato nel volto e Mark sembra essere svanito nel
nulla. Arriva la polizia, sospetta che
Mark sia l’assassino, rimuove il corpo
e procede con l’indagine e, poi, con l’inchiesta.
Milne si rende conto di aver creato un enigma
molto difficile e cerca, come meglio può, di
venirne a capo. Nel momento che il segretario sta per uccidere Mark, una volta
che si è fatto passare per Robert,
deve continuare con la sua finzione e ingannare la polizia. D’altro
canto, visto che tutti i vicini della Casa Rossa conoscono molto bene Mark, si
rende necessario un travestimento. L’ottiene
radendo la barba di Marco, rendendo le mani più ruvide
(un testimone afferma che “non
sono le mani curate di un gentiluomo”) e
l’uso di una voce burbera e
modi grezzi. Ma tutto questo non è sufficiente.
I poliziotti indagheranno sul corpo, sui suoi abiti e su tutto quello che
troveranno nelle tasche. Quindi nessuna di queste cose deve far sospettare che
si tratti di Mark. Milne si mette in
moto per mettere nascondere il fatto che Mark sia un artista presuntuoso e si
occupa di camuffare la sua biancheria
intima e le calze (dalle quali ha provveduto a togliere le etichette). Se il
lettore si berrà questo trucco (e il record
di vendite ci fa capire che lo fa) Milne si rende conto che si tratta di un
buon trucco.
Ma il racconto nella sua struttura si mostra
come un problema di logica e deduzione. Se non si tratta di questo, il suo
valore si riduce a zero. Non è
data altra eventualità. Se
la situazione è falsa, il racconto non può
essere paragonato nemmeno a una novella leggera, perché
non ha una storia degna di un prodotto di tal genere. Se insomma tutto
il racconto non contiene elementi di verità e
plausibilità, non sta in piedi. Se la
logica è falsata non c’è
nulla da dedurre. Se la struttura è poco
credibile il compito del lettore in qualche modo viene meno. Quindi tutto si
risolve in una frode. Non si tratta di
una frode deliberata, perché Milne
non l’avrebbe scritto se se ne
fosse reso conto. Lui è
semplicemente contro una serie di espedienti realistici che non considera
ancora come tali. Né, a quanto pare, ne tiene
conto il lettore che segue la storia e la prende per come è. Ma il lettore non è
tenuto a conoscere i fatti reali, è lautore
che è l’esperto. Ecco tutto quello che questo autore ignora:
1.Il
coroner ha il diritto di indagine sul corpo che gli viene sottoposto per
identificarlo sotto il profilo legale. Un medico legale, in una grande città, è chiamato ad indagare su un
corpo che non può essere identificato, se l’indagine su questo corpo deve stabilire le causxe della morte
(incendio, disastro, prove che si tratti di un omicidio, ecc.). MOtivi che esistono
in questo caso e non vi è nessuno che possa
identificare il corpo. Un paio di testimoni hanno detto che si tratta di Robert
Ablett. Ma si tratta solo una un’affermazione
presunta, e diventa influente solo se confermata dall’esperienza. L’identificazione è
un presupposto di tutta l’inchiesta. Anche se morto un uomo ha il diritto ad
essere identificato. Il coroner dovrà,
fin quando sia possibile, far rispettare questo diritto. Trascurarlo sarebbe una violazione del suo
dovere.
2. Visto
che Mark Ablett, assente e sospettato di omicidio, non è
in grado di difendersi, e così tutti
i suoi movimenti prima e dopo l’omicidio
(compreso il fatto se abbia con sé i
soldi per poter scappare via) sono di vitale importanza. Eppure tutte queste prove
sono fornite dall’uomo più
vicino all’omicidio (il segretario)
sono prive di qualsiasi conferma. Si sospetta
di Mark in maniera automatica fino al reperimento di una priva vera.
3. La
polizia riscontra, da prove dirette, che
Robert Albett non èp stato riconosciuto da
nessuno. Qualcuno che lo abbia conosciuto in origine ci deve pur essere.
Nessuna di queste persone viene coinvolta nelle indagini. (La storia sarebbe
andata in crisi).
4. La
polizia comprende che nella visita di Robert comporta elementi di minaccia e
che egli sia collegato con l’omicidio.
Eppure non fanno alcun tentativo per indagare su Robert in Australia, se avesse
qualcosa in quel paese, dei soci o quando sia giunto in Inghilterra e se in
compagnia di qualcuno. (Se lo facessero scoprirebbero che Robert è
morto da tre anni).
5. IL
chirurgo della polizia esamina il cadavere con la barba rasata di recente (che
manifesta chiaramente la sua mancanza di esposizione al sole), le mani irruvidite
artificialmente ma, contemporaneamente, il corpo di un uomo abituato a vivere
da ricco nell’agiatezza, da tempo abituato
a vivere in un clima freddo. Robert al contrario è un
individuo che vive in condizioni diverse, per quindici anni in Australia. E’
del tutto improbabile che il chirurgo non si accorga di queste
differenze.
6. Gli
abiti senza nome, con le etichette rimosse. Eppure l’uomo che li indossa ha un’identità
riconosciuta. Il sospetto che non si tratti chi si dice sia è
davvero fortissimo. Nulla di ciò viene
rilevato. E non è nemmena mai accennato come
cosa importantre.
7.Un
uomo manca nel posto dove abitualmente risiede. E un corpo all’obitorio gli somiglia maledettamente. E’ impossibile
ammettere che la polizia escluda subito che l’uomo
sparito non sia il cadavere. Niente sarebbe più semplice
da dimostrare. Ed è incredibile che nessuno ci pensi. Tutti gli esponenti della
polizia ci fanno una figura da idioti, mentre un dilettante intraprendente
riesce a imporre una soluzione sfacciatamente falsa. Il detective in questo
caso è un signorotto che si chiama
Antony Gillingham, un bravo ragazzo dallo sguardo vivace che vive in un
appartamento accogliente e arioso in Londra. Non si tratta di uno che ci vuole
guadagnare ma è sempre disponibile se
qualche gendarme locale perde il suo blocco notes. La polizioa londinese sembra
sopportare la sua ingerenza con la solita
compassatezza, ma mi vengono i brivide nel pensare quello che farebbero di lui
i poliziotti dell’Homicide Bureau della mia
città.
Ci
sono anche altri esempi meno plausibili di questo che abbiamo rapidamente
analizzato. In Trent’s last Case (spesso chiamato
“il romanzo poliziesco perfetto”)
bisogna accettare la premessa che un gigante della finanza internazionale
consenta di rintracciare la propria morte in modo da mettere in difficoltà
il suo segretario, e che costui quando interrogato mantenga un
aristocratico silenzio. Forse per il vecchio Eonuano che è
in lui. Io ho conosciuto pochi finanzieri internazionali ma penso che
anche l’autore di questo romanzo ne
abbia conosciuti (se possibile) meno di me.
C’è un racconto di Freeman Wills
Crofts (il più solido costruttore, quando
non si spinge troppo in là con la fantasia) nel quale
un assassino con l’aiuto di un trucco, in una
frazione di secondo, e cn un’azione
molto evasiva, impersona l’uomo
che ha giusto ucciso e così lo
pone in un luogo distante dal posto del delitto. Ve n’è
ancora uno di Dorothy Sayers nel quale un uomo è
ucciso da solo di notte nella sua casa da un peso che cade
meccanicamente che entra in funzione perché egli
accende la radio proprio in quel momento e se ne sta nella stessa posizione di
fronte e piega giusto sotto di esso. Un paio di centimentri a destra o a
sinistra e il tizio avrebbe controllato la pioggia dall’alto. Tutto ciò è volgarmente
detto Avere Dio in grembo; un assassino che ha tanto bisogno dell’aiuto della provvidenza è capitato
nell’affare sbagliato. E poi vi è uno
schema di Agatha Christie e di Hercule Poirot, quell’ingegno belga che parla in una traduzione letterale come un ragazzino
a scuola in francese, in cui, mandato in
giro con le sue “piccole cellule grigie”, mister poirot decide che nessuno atraverso il sonno avrebbe poturo
commettere un omicido da solo, ma che ognuno lo abbia fatto con gli altri
assieme, trasformando l’intero processo in una serie
di operazioni semplici, e poi assemblandole tutte assieme. Come in una
maionese. Questo è il tipop che è
garantito per tenere assieme la mente in un ciclo. Solo un deficiente potrebbe indovinare.
Ci
sono trame molto migliori da parte degli stessi scrittori e di altri della loro
scuola. Ci può essere qualcuna da qualche
parte che potrebbe reggere anche a una critica serrata. Sarebbe divertente da
leggere, anche se sono dovuto tornare alla pagina 47 e rinfrescarmi la memoria
a proposito di quale tempo esatto i, secondo giardiniere abbia versato il tea
rosa-begonia.
Non
c’è nulla di nuovo e niente di
vecchio in queste storie. Quelli che ho
citato sono tutti inglesi solo perchè le
autorità (critiche) (così
si definiscono) sembrano avvertire che gli Inglesi hanno avuto un vantaggio
in questa triste routine, e che gli
Americani (anche l’autore di Philo Vance –
il più asinino personaggio in un
racconto giallo) abbiano fatto soltanto la scuola dei dilettanti.
Questo,
il classico romanzo poliziesco, non ha imparato nulla e dimenticato nulla. E’
la storia che troverete ogni settimana nelle grandi riviste patinate,
illustrate a mano, e pagando la dovuta deferenza verso l’amore virginale e il giusto tipo di beni di lusso. Forse i tempi si
sono velocizzati e i dialoghi più svelti.