Georges Simenon
Un'intervista di Simenon su Youtube
di Giacomo Ricci
Ho
visto, tempo fa, su Youtube (click per vederla) un’intervista a Simenon che, con l’immancabile
pipa, spiega alcune caratteristiche del suo essere scrittore.
Innanzitutto
accenna alla sua storia. Una lunga gavetta nella quale si è fatto le ossa
scrivendo romanzi «popolari», di vario genere, rosa, per ragazzi, di avventura,
un po’ osé.
E poi
sottolinea, con una certa enfasi, che il mestiere dello scrittore è quello di
un artigiano, non di un artista.
Insiste
sul suo lavoro di «lima», di aggiustaggio e di messa a punto continuo. E poi le
sue matite, il suo «buco», lo studio dove passa la maggior parte del suo tempo, la sua
calligrafia minuziosa e ordinata, microscopica, le bozze e i manoscritti, che
poi sono rilegati in volume e la sua fase di battitura a macchina, fatta essenzialmente di
pomeriggio.
Quello
che emerge è, dunque, un lavoro metodico.
E poi
afferma candidamente che non ama parlare con gli scrittori di letteratura. Non
avrebbe da dirsi molto.
E’, per
lui, più importante parlare con il sindaco del paese nel quale vive, con gli
operai. Perché da loro ha da imparare. Dai letterati nulla.
Un
quadro complessivo di una persona tranquilla, che svolge il suo lavoro lontano
dal clamore, metodico, attento, con le sue manie, che dedica alla scrittura lo
stesso tempo e lo stesso impegno che un impiegato in un ufficio del catasto
dedica alle sue carte, alle sue pratiche.
Sconvolgente?
Per me
no. Perché credo che questo sia il lavoro di uno scrittore prolifico. Piano,
quieto, mansueto. Anche Stephen King rimanda
di sé, in On writing, un’immagine molto simile.
Sono gli
scrittori contemporanei italiani che mi lasciano perplesso, che girano con frenesia in varie città per
presentazioni, che frequentano salotti, che sembrano essere delle star in
continua fuga.
E’ per
questo che i loro libri sono, quasi sempre, illeggibili, sbagliati, densi di
stupidaggini e gag mal riuscite. Ed è per questo che non riesco a leggerli. Con
estrema franchezza.
Simenon,
con il suo «mestiere» raggiunto con tanta applicazione e costanza, è molte
spanne sopra. Ed è un vero piacere leggerlo.
E so che
quando lo leggo mi trovo in buona compagnia. Tra gli altri lo amava Sciascia. E
lo ama Camilleri. Montalbano è un
tributo dedicato al maestro. Ed ha la stessa umanità di Maigret.
E trovo
che ci facciano tantissima compagnia. Che ci aiutino a sopportare la vita e le sue inutili angosce. Che è, poi, uno degli scopi più alti
della letteratura, della narrativa: staccarci dal mondo, concederci alla fantasia, al racconto come percorso entro di noi e nei nostri desideri, allentando le
spire di una realtà che facciamo di tutto per rendere sempre più insopportabile.