"Ma lo sa che Lei è stupido? S'informi, s'informi"
"Da
grande sostenitrice di questa tecnologia, sono tendenzialmente d'accordo con il
suo articolo, professore. Trovo le ragioni di chi vi si oppone spesso banali.
Per il
costo, Lei ha fatto il paragone con il Kindle ma esistono dispositivi che
costano anche meno, 50€ ad esempio, che potrebbero benissimo corrispondere al
prezzo di cinque libri. La maggior parte delle persone, poi, risponde che la
lettura non è solo un'esperienza limitata alle parole ma anche sensoriale:
sentono il bisogno di toccare le pagine di carta, di avvertirne l'odore. Questo
almeno è stato il punto principale di molte discussioni che ho avuto
sull'argomento (con le stesse persone che poi si lamentano di chi non ha una
'coscienza ecologica'). A mio parere si è troppo attaccati ad un'idea romantica
dell'atto stesso di leggere, quando razionalmente il Kindle offre talmente
tanti benefici da far sembrare questa argomentazione ridicola. Che poi vogliamo
parlare della bellezza del design di questi oggetti? Leggerissimi e comodissimi,
ti svincolano dal peso di un mattone di milleduecento pagine, e solo per questo
andrebbero amati alla follia.
Insomma,
per me rappresentano il futuro e un salto in avanti per la società.
Quello
sul quale nutro ancora dei dubbi, è il concetto di aprire la possibilità a
Tutti di pubblicare quel loro racconto segreto. Internet è pieno di siti e
forum di scrittori amatoriali dove pubblicare gratuitamente (e di leggere gratuitamente).
Frequentando molti di questi siti, ti accorgi subito di due cose fondamenti:
una è il problema di trovare qualcosa di decente, tra millemila account di
'scrittori', spesso quindicenni arroganti; il secondo - peggiore - è la
quantità imbarazzante di storie scritte senza conoscere l'uso delle regole più
basilari della grammatica, della punteggiatura e delle regole della scrittura
(struttura, trama, caratterizzazione dei personaggi risultano quasi sempre
assenti). Ho trovato anche autori di una certa valenza, piacevoli da leggere,
ma sinceramente non so se comprerei un loro racconto. Sento piuttosto di apprezzarli
per quei momenti di pausa che mi concedo leggendo quelle loro storie senza
pretese, lasciando che nella mia testa restino separati da quegli altri momenti
in cui apro un libro pubblicato da una casa editrice. Proprio in questi giorni,
Amazon ha cerato una nuova sessione per il Kindle (Kindle Worlds, mi pare si
chiami) dove apriranno il mercato degli e-book anche alle 'fanfinction', storie
scritte perlopiù da adolescenti sulle loro serie preferite.
Certo,
mi è capitato di trovare una o due persone capaci di distinguersi e che
supporterei se dovessero lanciarsi a pubblicare un loro romanzo a pagamento. Ma
veramente due in quattro, cinque anni.
Ora, mi
chiedo, l'idea di permettere a tutto il mondo di vendere il proprio libro, non
creerà un mercato vastissimo nel quale il lettore finirà per perdersi? Come
trovare un autore degno in questo caos? Il passaparola, per quanto efficace,
basterà?
Inoltre,
le casi editrici, spogliate del lato più commerciale, non hanno il compito
prima di tutto di aiutare un autore a completare la propria opera (il curatore
editoriale, di bozze)? Discutendone i temi, i passaggi, la forma, in un iter
che dovrebbe far crescere la figura stessa dello scrittore... Mi viene in mente
la figura di Maxwell Perkins (scoperta da pochi giorni, ammetto) e il suo rapporto
con Fitzgerald ma anche e soprattutto Wolfe.
Lasciare
tutta questa folla di aspiranti scrittori a piede libero, non ci darà più
Sfumature di grigio e meno Gatsby?
Non
saprei, su questo ho ancora molte perplessità, ma mi piacerebbe sapere meglio
Lei cosa ne pensa a riguardo, perché trovo che nell'articolo sia un punto
trattato più sommariamente.
Marcella
Bruno"
Informiamoci
di Giacomo Ricci
Inutile
dire che trovo centrato quanto scrive Marcella Bruno in un post lasciato su
Facebook che ho riportato qui sopra. Anche l’osservazione che un’editoria
“democratica” per tutti, dall’adolescente arrogante amante della “fantascienza”
alla casalinga che scrive ricette, è una iattura, un cataclisma, un’invasione
di idiozie che sommerge quanto di buono (poco per la verità) c’è nell’editoria
italiana contemporanea.
Sì,
ammetto di aver girato attorno a questo buco nero dello scrivere contemporaneo,
a questo fenomeno “culturale” tardo capitalistico nel quale siamo sommersi,
scansandolo, come si dice.
Non
so che pensare. Perché da un lato sono atterrito dalla piega che sta prendendo
il fenomeno e dall’altro sono avvinghiato da una sorta di cupio dissolvi
nella quale penso: “Ma sì, che tutto se ne vada a farsi fottere e chi s’è visto
s’è visto”,
E lo
sforzo di reggere tanta stupidità mi avvolge gettandomi nella più cupa
disperazione.
Allora,
mi dico, per capirci qualcosa dovremmo andare alla radice del problema e
chiederci:
“Ma,
cacchio (un cacchio leggero, non volgare, alla Totò, messo lì per
sdrammatizzare), perché tutti, ma proprio tutti oggi vogliono scrivere?”
E già
perché il problema è tutto lì.
Insomma
non ci troviamo solo di fronte a frotte di adolescenti ipnotizzati da videogames
cinici e violenti, da serie TV di “fantascienza-horror” che non se ne può
più, o da un’eterna atmosfera splatter propria delle cantine luride di
macelleria di quartiere sub-sub-popolare, interamente mutuata dal
famigerato Saw – l’enigmista.
E per
inciso, proprio per farsi un'idea della "qualità" del prodotto dico
che si tratta di un film costruito scritto e diretto da James Wan in appena 18
giorni!
E,
devo dire, che si vede, per la sciattezza e l’orrore (stilistico, estetico)
strascinato, alla lettera, sotto i piedi. Questo sì prodotto di cassetta
per spettatori adolescenti in preda a turbe del basso ventre, localizzate tra
retto e uretra, mescolate a una visione del sesso e della paura a metà strada
tra depravazione e cretinaggine.
Credo
di ricordare che l'anima albergava zone più alte del nostro organismo,
raccogliendosi nel basso ventre piuttosto i rifiuti maleodoranti del corpo.
Ma i
“prodotti letterari” adolescenziali del filone fanta-horror-sado-maso sono ben
individuabili e, direi, in qualche maniera innocui. I loro padri, purtroppo
bisogna dire non privi di una qualche genialità, che sembra totalmente difettare
ai loro epigoni-discendenti, sono, manco a dirlo, Stephen King e Phil Dick.
Ma di
poesia nel lavoro di costoro, bisogna dirlo a gran voce, nulla. Quella che
invece c'era a bizzeffe nel loro padre spirituale Edgar Poe. Di tutt'altra
pasta, altra sostanza e sofferenza reale, come ben intuì il buon
Baudelaire.
Storie
complesse, quelle di questi due autori nostri contemporanei, che, per molti
versi ammiro e trovo, come ho detto, in qualche modo geniali.
Un’analisi
completa del loro significato nella società contemporanea (in particolare
quella made in USA e soprattutto nei suburbi degradati e lontani da ogni forma
di civiltà e meno che mai cultura) esula dagli scopi di questa nota e ci
porterebbe troppo lontano.
Mi
limito a dire che per comprendere a fondo la fortuna editoriale di
autori come questi sarebbe necessario comprendere orizzonti, frustrazioni,
confini, paranoie e destini della gran parte della popolazione televisiva degli
ultimi cinquant’anni, le titillazioni che subisce da parte del mercato che
vende prodotti e li impone, l’orizzonte di senso (si fa per dire) nel quale
vengono sbattuti fin dalla più tenera età dalle multinazionali preoccupate
soprattutto a forgiare un soggetto di consumatore obbediente, disponibile,
aperto e soprattutto totalmente acritico.
No,
il danno del self-made-writers nati su web e dintorni sarebbe minimo.
“Lasciali
crescere” mi verrebbe da dire. Chi è bravo si farà, gli altri a fare i
ragionieri, gli sfasolati o i commessi di banca.
E
pace.
Il
fatto, invece, è che tutti, ma proprio tutti scrivono. E non da quando
imperversa il digitale. DA molto prima.
Fa
parte della strategia delle major editoriali. L'uomo della strada che ambisce
al suo momento di celebrità e, dal mestiere nel quale si è in qualche modo
distinto agli occhi del grande pubblico, trasmigra, per il tempo di una pubblicazione,
al mondo della scrittura e della grande vetrina editoriale. Così uomini di
banca e di potere, politici, soubrette, mignotte famose, grandi e sfaccimmi
faccendieri, delinquenti pentiti e altro di colpo diventano scrittori.
Un
esempio per tutti che, a parere mio, ha veramente del paradossale?
Edinson
Cavani che, tra un calcio e un altro, ha trovato il tempo di scrivere un suo
“libro”, una sua autobiografia. Quello che ho nel cuore, si
intitola e glielo ha pubblicato, manco a dirlo, la Mondadori.
“Oh
cacchio, perdincibacco”, direbbe Totò, “Cavani scrive la sua autobiografia. E
dove siamo arrivati?”.
A
scriverla, ovviamente non è stato lui ma si tratta di operazione editoriale
organizzata dalla Mondadori, con ghostwriter scelti apposta per
l’occasione. Operazione fatta con tutte le “cazzimme” necessarie allo scopo,
diretta verso (stavo dicendo “contro”) un pubblico di bocca buona, pronto a
bersi la spiritualità, l’amore per Gesucristo, un non meglio definito legame
tra la furia di fare gol e l’Ispirazione del Signore e così via.
Aspetto
questo nel quale c’entra anche la particolare posa “ascetica” (si fa ovviamente
per dire) che caratterizza il nostro buon Matador quando entra in campo con
entrambe le mani alzate a metà e gli indici tesi a indicare il cielo, atteggiamento
che mi fa pensare ai fujenti della Madonna dell’Arco, ai veneratori di
marunnelle di plastica che lacrimano sangue o comunque non ben identificati
liquidi rossastri, sostenitori degli Ufo, marzianofili, posseduti
non-si-sa-da-chi e stupidaggini popolari discorrendo.
Per
carità, ognuno può fare tutte le operazioni commerciali che vuole, ci
mancherebbe. Come ognuno è libero di credere a quello che vuole, dalla Madonna
che appare (o come dice De Crescenzo in uno dei suoi geniali pezzi, il
contrario, apparire alla Madonna), agli UFO, agli spiriti, gli gnomi, o
munaciello e la Bella 'Mbriana. Ognuno creda pure alle sue stupidità.
Ma,
come dire, tra questo assieme di operazioni di “mercato” e la cultura ce ne
passa. O no? Questo lo comprendiamo?
Sto
pensando ai libri di Nietzsche (Aurora e La gaia scienza) che
videro, nella loro prima edizione, solo un paio di copie vendute in tutta
Vienna.
Tiro
fuori quest’esempio limite, e nemmeno tanto, per dire che il
ragionamento di Marcella Bruno, se corretto è però in qualche modo da mettere
meglio a fuoco.
Nel
senso che le operazioni commerciali messe in piedi dalle case editrici sono
tante e tante che prendersela con gli scrittori adolescenti che accocchiano
errori su errori e pubblicano in proprio, gratis sul web fa sorridere. Al
più fanno tenerezza.
Sono
aperte, dichiarate, ingenue.
Non
sono queste pubblicazioni che mettono in forse l’equilibrio, già fragile, della
cultura e della letteratura contemporanee.
L’esempio
di Nietzsche l’ho fatto apposta. Ma ne potrei citare a iosa, a bizzeffe. Vi
immaginate quante copie si siano vendute del Tractatus logico-philosophicus
di Ludwig Wittgenstein?
Lo
avevo sottobraccio a piazza Amedeo, tanti anni fa. Incontrai un tizio che mi
venne presentato da un amico. La combinazione! Era il traduttore in italiano
del Tractatus.
"Oddio",
mi disse. "Non mi dica che se lo sta leggendo. Sa, io l'ho tradotto, ed è
una palla!".
"E
ho detto tutto" come dice Peppino a Totò chiudendo qualsiasi possibilità
di dialogo.
E
allora, vengo al dunque.
Io
credo che il campo della letteratura e degli scrittori bravi e del loro
pubblico di lettori attenti e colti, sia stato e sia sempre molto, ma molto
limitato. In termini percentuali forse l’1, il 2% di tutto il pubblicato.
Esagero? Va bene. Allora il 5%, ma non di più.
Il
resto è più o meno roba amorfa, paccottiglia, spazzatura nel senso più stretto
del termine, roba destinata al macero e ai cassonetti di raccolta per la carta
da riciclare. Roba che non cambierà il corso della storia, i gusti letterari
né, meno che mai, le sorti della cultura e del pensiero della civiltà cui, per
il momento, ancora apparteniamo.
Vi
fate il conto di tutte le riviste periodiche che contengono per il 90% solo
pubblicità e, per il resto, tolto l'indice, quattro stroppole di editoriale,
uno o due articoli illeggibili, abboffati di megafotografie e di tette e culie
la solita indossatrice che guarda il mare sotto la palma di turno?
Che
fine fanno?
Spazzatura,
munnezza, paccotti da macero.
E
vengo al nodo di tutto questo. Se, per legge, tutto questo materiale in sovrabbondanza
numerica ma assolutamente vuoto sotto il profilo della portata culturale
venisse rigorosamente costretto nelle maglie del digitale? Niente carta, divieto
totale.
Basta
con la carta. Che invece destineremmo al disegno, all'opera d'arte, all'acquerello,
alla scrittura a mano con penna stilografica, da amanuense in un ritornato
bisogno di miniature e grafia da puro medioevo.
Assatece
perdere o' tiempo comme ce pare. O no?
Quanta
carta si risparmierebbe, quanti prodotti nocivi non verrebbero immessi
nell’ambiente (ricordo, per inciso, che tutte le riviste a colori vengono
stampate su carta fortemente inquinante, che non si può bruciare perché
rilascia diossina e altre schifezze), quanti alberi salvati, quanta benzina e
gasolio in meno, quanti metri cubi di magazzino non servirebbero più?
E non
fatemi più la palla dei posti di lavoro che si perdono.
Le
maestranze, gli impiegati imparassero a fare gli ebook, a ricercare ereader
migliori a colori ecc. Parliamo tanto di mobilità e poi?
Quanti
di voi sanno che cos’è il linguaggio XML, quali i software per produrlo o
convertire formati, che differenza c’è tra un pdf e un epub? Quale è più
conveniente per la stampa e quale per un uso strettamente digitale?
Ad
esempio sapete convertire un epub in un mobi. Sapete che c'è chi sa sproteggere
da social DRM e recuperare il testo originario?
E
quanti esperti di queste cose ci sono in una casa editrice?
E
quanti nelle nostre università e nei nostri servizi di biblioteca? E come
funziona un OCR?
Ho
parlato troppo difficile? Non avete capito? Brutto segno. Significa che siete
fuori da quello che accade e che riguarderà il mondo della lettura e
delle pubblicazioni da qui a poco.
Per
ora, viste le pressioni di chi ha interesse in campo (e potrebbe mai darsi
qualcosa di diverso in Italia?) la pensata dell'ex-ministro Profumo
sull'obbligo delle pubblicazioni scolastiche digitali (che mi sembra una delle
cose più intelligenti proposta negli ultimi vent'anni dai nostri politici) non
avrà seguito. Tutto rimandato con scuse risibili e interessi molto tangibili ed
evidenti.
Ai
tempi di Gutenberg si parlava di torchi, torchi a stella, caratteri mobili,
composizione e più avanti, dall'avvento della fotografia, di cliché,
menabò ecc. Oggi i termini sono mutati. Sono quelli che ho prima elencato.
Prima
di rifiutare aggiorniamoci, comprendiamo, analizziamo, studiamo. Non fa male.
Anzi.
Quanto
ai nostalgici del libro di carta, fatto di "profumo" (?),
"tatto" (??), "piacere di sfogliare le pagine" (???), copertine,
sovracopertine, dedica a mano, non posso che concludere alla Totò:
“O
cacchio, ma i signori sono stupidi? S’informino, s’informino…”.