di Claudio Cajati
Tu
sei arrivato nella mia vita come una benedizione. Quando oramai mi ero stufata
dei giovani. Ne avevo avuti parecchi di compagni di vent’anni o poco più.
Un
disastro, tutti quanti. Infantili, teatrali, presuntuosi, sbruffoni, esagitati,
invadenti, inetti e sempre esagerati. E soprattutto, a letto? Non ti dico.
Non
ce n’era uno che non credesse di essere un grande amatore. E se invece magari
non ci credeva, recitava la parte di quello che se ne mostra sicuro e pensa di
convincere la partner, anche se i fatti clamorosamente lo smentiscono.
Questi
giovincelli da strapazzo rischiavano veramente di farmi un danno psicologico,
oltre a non riuscire a soddisfarmi. Erano arrivati a esasperarmi fino al punto
che provavo per loro disprezzo. E questo disprezzo si poteva estendere
facilmente a tutti i maschi, anche a tutti quelli che non avevo conosciuto.
Nelle
chiacchierate gustose con le amiche del cuore i miei maldestri amanti era
oggetto, fra risatine e silenzi pensosi, di spietato sarcasmo e sconsolata
delusione.
Rischiavo
di generalizzare e decidere di farla finita con tutti i maschi. Mi sarei
soddisfatta da sola, o avrei provato addirittura il sesso con le donne?
Non
mettevo in conto di poter andare a letto con un uomo maturo. Uno che poteva
essere mio padre quanto a età. Quest’idea mi ripugnava. Sono stata educata con
dei principi, io.
Invece,
quando ti sei fatto avanti tu – alla cassa del supermercato con quanta grazia
mi hai ceduto il posto nella fila – nel tuo sorriso ho letto qualcosa in più
della signorilità, quella che si usava un tempo e che per te è sempre attuale.
Nel tuo sorriso ho letto il desiderio di un maschio sano, timido eppure
deliziosamente sfrontato.
Quando
ti sei offerto di aiutarmi a sistemare la voluminosa spesa nel bagagliaio, con
quanta naturalezza l’hai fatto. Ho sentito che dovevo accettare.
Che
importava se non eri bello come qualcuno di quei giovincelli insipidi con cui
me l’ero fatta fino ad allora? Il tuo fascino era che ti mostravi subito, al
primo sguardo, un vero uomo.
Ho
sentito che dovevo accettare la tua cavalleria. E che così stavo accettando
qualcosa di più. Qualcosa di più che anch’io volevo.
Tu
hai detto che eri venuto senza auto (forse era un’astuta bugia, chissà). Così,
se ti potevo dare un passaggio con la mia auto fino a casa tua... ma io avevo
già intuito cosa mi avresti detto davanti al portone: di aiutarti a portare la
tua spesa sopra, come se tu non fossi l’uomo maturo ancora vigoroso che
chiaramente eri.
E
poi, entrati in casa, per disobbligarti ed essere ospitale, mi avresti offerto
un drink, piuttosto alcolico.
Il
seguito, che tutti e due oramai desideravamo, era scontato. Non c’era bisogno
di parole. Determinazione seduttiva, la tua, la più ambita da una donna: quella
senza volgarità, senza incontrollate goffaggini, senza alcuna arrogante avance.
Tu
che hai avuto tante donne nella tua vita – e non riesco a esserne gelosa – non
hai quella fame erotica esagitata e scomposta dietro i gesti maldestri dei
ragazzotti che ho dovuto fronteggiare.
Per
te sono come uno strumento musicale che tu sai suonare con mani sapienti,
misurate, rispettose, intriganti.
Perfino
il membro più terribile e volgare sai manovrarlo con delicata gustosa fantasia.
Me lo strofini sulle labbra, ed è una carezza gentile. Fingi di volermelo
infilare nelle narici e ve lo appoggi come un animaletto curioso, graziosamente
impertinente. Me lo passi sulle palpebre pudicamente chiuse, ed è quasi un
massaggio ben accetto. Poi me lo strofini con abile lentezza nelle orecchie, e
mi fai un solletico eccitante che al tempo stesso mi muove al riso.
Tu
conosci i tempi opportuni, le pause della giusta durata al momento giusto. Non
è la continuità dell’assalto sessuale quel che veramente vuole una donna: una
pausa sapiente, perfino prolungata ad arte, può creare l’attesa spasmodica,
imprevista e imprevedibile, di una nuova imminente invenzione.
Tu
hai fantasia, gusto, esperienza. Anche nei fatti più ovvi, le penetrazioni – in
cui tanto spesso i maschi si rivelano maldestri, volgari, egocentrici – tu
raggiungi un equilibrio virtuosistico. Sai essere delicato e gentile ma al
tempo stesso virile e irruente. Sai prendere tu l’iniziativa di possedermi
eppure lasciarmi la sensazione che sono stata io, al colmo di un’eccitazione
addirittura dolorosa, a chiederti, come una liberazione, di entrarmi dentro.
Non
ti butti mai a capofitto su di me come su una docile preda al servizio delle
tue voglie. Se mi guardi negli occhi o percorri centimetro dopo centimetro la
mia pelle con le tue labbra tiepide, la tua lingua calda, mi dai l’idea che
conosci e rispetti il mio corpo come conosci e rispetti il tuo. E che fai sesso
con me per darmi piacere perfino più che per ricavarne tu stesso.
Possibile
che esista un uomo così? Ebbene esiste: sei tu.
A
volte mi chiedo se tu mi ami anche. Nel senso che l’amore va oltre il solo
accordo sessuale. Non saprei rispondere. Ma forse sì.
E
io? Io ti amo? Di più: io ti adoro. Perché non semplicemente ti desidero. Non
semplicemente godo per la tua abilità a farmi godere. Non semplicemente ti sono
affezionata e in tante cose mi prendo cura di te. Io non posso nemmeno
immaginare di vivere senza di te. Mi sento male al solo pensiero che ti possa
capitare qualcosa di brutto. O che addirittura io possa perderti.
Se
posso, e penso che posso, voglio farti felice. Tu me l’hai fatta conoscere la
felicità. Non più un concetto astratto, non più una parola abusata.
E
allora a volte quasi mi verrebbe da gridarti, mentre mi sollevi leggera fino
all’acme: “Ma così mi fai impazzire”.
La
pazza felicità però non ammette parole. La pazza felicità è muta.