di Claudio Cajati
Questo che scrivo non lo
faccio per giustificarmi. Estrema tardiva giustificazione prima dell’addio.
Non ho bisogno di
giustificarmi. Né di farmi perdonare alcunché.
Sono stata pornostar, e mai
ne ho provato imbarazzo, o addirittura vergogna.
Di esserlo stata, anzi, se
proprio volete sapere, me ne vanto. Non so a quanti uomini, certamente
moltissimi, ho donato bellezza, sensualità, eccitazione, avventura,
trasgressione. Tutto quello che molto difficilmente potevano aspettarsi dalle
loro donne.
Ho fatto del bene, quindi.
Disinteressata benefattrice dei maschi. E non credo di esagerare se dico che ne
sono orgogliosa. La mia pornografia schietta, limpida.
Ho scritto: sono stata pornostar; avrei voluto poter
scrivere: sono pornostar. Ma la
malattia, improvvisa e implacabile, ha vinto. E sono qui a comporre questa
specie di coraggioso testamento. Per chi vorrà sapere e capire chi ero. E
almeno uno, lo so, ci sarà.
Ho capito subito – gli altri invece ce
ne hanno messo di tempo – che scegliendo di essere pornostar rimanevo donna.
Donna a tutto tondo. Semplice e grandiosa perché donna, come tutte le altre.
Come tutte le altre che magari a voce bassa dicevano però cose terribili su di
me.
E, come donna, ho cercato quello che
tutte noi vogliamo e meritiamo: il piacere e l’amore. Non il piacere senza
l’amore; non l’amore senza il piacere.
Ma non sono riuscita a trovarli in un
solo uomo. Ho avuto bisogno di due. In uno, Alessandro, ho trovato il piacere.
In un altro, Romano, ho trovato l’amore.
Alessandro ha quasi trent’anni. Mio
partner storico sul set porno, maestro di eros e prestazioni sessuali, già lo
sentivo intimo, non uno che recitava, quando giravamo le scene assieme. E così
un giorno, come una cosa naturale e addirittura ovvia, siamo diventati amanti nella
vita. Tutti e due capaci di straordinarie finezze, tutti e due impegnati e
concentrati a soddisfare l’altro. E lui, Alessandro, è grandioso, sa come
condurmi per mano in paradiso.
Romano ha già compiuto sessant’anni.
Professore di storia dell’arte, può offrirmi una blanda libido, prestazioni
quasi maldestre. Ma cosa importa? Lui sa darmi tenerezza, premure, attenzione,
coccole; mi sorregge e mi protegge, mi ascolta e mi consiglia. Senza quasi
bisogno del sesso – quello me l’assicura Alessandro – lui è l’amore.
I due naturalmente sanno l’uno
dell’altro – non avrei sopportato di lasciarli all’oscuro – e accettano questo
singolare triangolo. Cosciente e soddisfatto ognuno del proprio ruolo.
Alessandro non mi ama e non gli importa che Romano sa darmi l’amore. Romano non
si sente mortificato dal fatto che è Alessandro a darmi il piacere, il piacere
estremo: lui, Romano, mi può dare un sesso ingenuo e deficitario, come quello –
oso dire – incestuoso di un padre che vuole veramente bene alla figlia e non
infierisce sessualmente – non saprebbe – su di lei. Ognuno di loro due è
parziale e unilaterale, ma io, compresa fra di loro, sono completa, sono donna,
unisco il piacere all’amore e l’amore al piacere e, posso dirlo, sono felice.
Anzi, ero felice.
Non me l’aspettavo, devo dirlo, non me
l’aspettavo proprio. Con i miei trenta anni, con i miei successi
cinematografici, le interviste vip, il favore del pubblico maschile in delirio
per il mio corpo e i miei amplessi, ebbene io mi sentivo vittoriosa,
trionfante. Anzi invincibile.
Ma ho dovuto scoprire, all’improvviso,
che il corpo mio non è solo quello che ha fatto impazzire di desiderio i
maschi. Si è rivelato un mistero insidioso, spietato. Un traditore.
Ero andata a farmi il solito checkup,
una routine periodica dettata dalla professionalità, che io ho sempre
rispettato, senza saltare mai la scadenza di un controllo. La nostra, pur con
tutte le cautele, è una vita a rischio, lo sappiamo.
Non avvertivo nessun malessere, nessun
dolore. Mi sentivo benissimo, ecco, come al solito. Quando ho visto la faccia
imbarazzata della signorina del laboratorio analisi che si apprestava a cercare
di dirmi qualcosa mentre mi consegnava i referti, ho capito subito che c’era
qualcosa che non andava.
Ma non immaginavo quanto fosse grave.
Il pancreas. L’avevo sentito nominare qualche volta, non è che sono così
ignorante. Però confesso che non sapevo nemmeno bene cosa fosse, e cosa ci
facesse nel corpo.
Adesso venivo a sapere – mi veniva
detto con cautela, lentamente, con eufemismi medici – ma insomma, per dirla
papale papale, si trattava di un tumore. Un tumore al pancreas. Da poter
curare, comunque, si cercava di rassicurarmi.
Ad Alessandro e a Romano non ho detto
niente. Non avvertivo ancora nessun male: mi era facile tacere. Fingere. Perché
turbarli? Mi sarei curata, sarei guarita, e tutto sarebbe filato di nuovo
liscio. Come prima.
Così pensavo, all’inizio. Poi ho
scoperto – i medici hanno lasciato che poco alla volta lo scoprissi – che ero
spacciata. Che il male era andato molto avanti e che proprio la mia giovane età
era la mia nemica. La mia giovane età con la vitalità delle cellule mi
condannava. Poco ci mancava, sarei stata una malata terminale, insomma.
Per parecchi giorni il mio corpo ha
combattuto. Vista da fuori potevo sembrare addirittura sana. A un certo punto
però ho cominciato a stare male.
Allora non ho potuto nascondere tutto
ad Alessandro e a Romano. Ho detto loro una bugia che sembrasse verosimile: che
mi stavo curando e che i medici mi avevano garantito che sarei guarita. Non ho
capito se loro hanno potuto crederci o invece hanno capito che li ingannavo ma
non hanno trovato il coraggio di dirmelo...
Alessandro non mi ama, lo so da
sempre. Sono sicura che, appena sarò morta, o perfino prima, saprà trovarsi
un’altra collega con cui rinnovare le sue gesta erotiche anche fuori del set.
Forse solo qualche volta, distrattamente, mi penserà, magari. Si ricorderà di
quel che fummo noi due, chissà.
Non mi farò sentire più da lui. Me ne
andrò a casa di Romano. Lui sì che mi ama. Come si ama al tempo stesso una
moglie e una figlia. E, negli ultimi momenti, ne sono sicura, con l’aiuto di
un’infermiera saprà assistermi, proteggermi, onorarmi. Qualcosa di stupendo:
molto di più che consolarmi. Morire fra le sue braccia, le sue ampie braccia
paterne e fraterne, non sarà una cattiva morte.
In fondo nella vita sono stata
fortunata.