di Claudio Cajati
Tu
ancora non l’hai capito, ma nella vita rimarrai sempre solo. E se pure l’avessi
capito, forse non te ne importerebbe. A te va bene così.
Tu
non lo immagini, chiuso nel tuo mondo coriandolo, ma io ho già deciso.
Lasciarti.
E
non perché abbia un altro. Non sono donna capace di tradimenti, io. Ti lascerò
perché tu isolandoti mi hai isolata. Hai reso anche me sola, ma non per una
scelta. Solo come una conseguenza del tuo errore, del tuo egoismo, delle tue
fissazioni.
Stupida
io che non l’ho capito quando ti ho conosciuto. Stupida, dovevo capirlo subito
che non dovevo fidanzarmi con te. E tanto meno sposarti. Non saremmo mai stati
insieme, non saremmo mai stati una coppia. E non lo siamo stati. Tu non puoi
fare coppia. O meglio puoi fare coppia solo con te stesso.
Tua
madre, brava donna, ci tiene certamente per te, ma provò subito una grande
simpatia per me: sapeva, donna lungimirante, che sarei stata la tua vittima. E
cercò di farmelo capire, con garbo, con allusioni, appena tu ti allontanavi.
Che era meglio se rinunciavo a te: mettendomi con te mi sarebbe toccata una
vita di inferno. Una vita in cui sarei stata più sola di quando ero nubile.
Ma
io, presuntuosa, pensavo che avrei saputo cambiarti!
(Solo
con mio padre mi ero sentita spalleggiata, protetta, amata... lui però era
morto giovane. Troppo giovane. Un’esperienza che ho scoperto unica,
irripetibile.)
Per
te la vita è stata sempre un tirarti indietro. Indietro dentro di te, dentro il
tuo guscio.
Quando
il tuo trasporto erotico, che mai fu intenso, si affievolì anche di più, io
pensai subito – credo l’avrebbe pensato ogni donna, ogni moglie – che avessi
una storia con un’altra.
Venni
al tuo studio, in un momento che stavi in tribunale. E mi misi a chiacchierare,
con fare apparentemente distratto, con i giovani avvocati tuoi collaboratori.
Feci capire, cercando la loro complicità magari improbabile, che sospettavo un
tuo tradimento.
Loro
subito si precipitarono a negare. Lo fecero con un certo imbarazzo, che non mi
sembrò di poter attribuire solo alla delicatezza dell’argomento e alla loro
condizione di subalterni. Ne dedussi che sì l’amante effettivamente non dovevi
avercela, ma qualche scopatina sveltina magari te la facevi – anche se mai
avevi mostrato una potente libido – con questa o quella troietta che poteva
capitarti a tiro nei tuoi giri di avvocato.
E
questo del resto sarebbe stato consono alla tua mentalità: toccata e fuga.
Contatto e distacco. Senza rischio di coinvolgimenti affettivi. Subito di nuovo
solo, di nuovo avvolto nel tuo splendido isolamento. Di nuovo protetto e
tranquillo nel tuo guscio.
Con
il tuo lavoro, in questi tempi di crisi, hai pochi clienti, guadagni poco. Così
ho deciso di portare un mio contributo economico. E ho trovato un lavoro come
dama di compagnia di una vecchia vedova benestante.
Io
e lei ci facciamo compagnia. Con lei non mi sento mai sola. Lei sa essere
materna, premurosa, si interessa veramente alla mia vita, alla mia salute. Quel
che non sai fare tu.
Spesso
le parlo di te, del fatto che sei chiuso, introverso, distante. E lei mi dice
che dovrò decidermi a lasciarti.
Tu
intanto hai sancito più nettamente il tuo distacco. Non mi parli mai del tuo
lavoro, non ti interessa che ti parli del mio. Siamo senza figli, io non posso
averne, e anche questo ci separa.
La
sera, anzi la notte, vieni a raggiungermi a letto sempre più tardi. Quando
oramai il mio sonno si è fatto leggero e, non so nemmeno io perché, ti aspetto
sveglia. Quasi fossi la sposa desiderata che aspetta fiduciosa il suo focoso
amato.
Lo
so che cosa sei restato tanto a lungo a fare. Non a vedere i video porno al
computer, come fanno tanti mariti prossimi all’impotenza, alla pedofilia,
all’erotomania compulsiva. No, tu hai superato da tempo quella fase, la fase
dell’uomo porco.
E
ti sei scoperto una passione per l’astronomia. Con i risparmi lentamente messi
da parte (a quante cose hai rinunciato pur di riuscirvi) ti sei comprato un
cannocchiale. Pardon, un telescopio. Ci tieni a precisare con orgoglio che si
tratta di un telescopio riflettore, e non rifrattore. Per osservare e
fotografare le stelle, anzi proprio le nebulose e le galassie. Passione stramba
che ti porta ancora più lontano.
Ora
finalmente ho le idee chiare. Una sera di queste, mentre tu stai a contemplare
le tue stelle, le tue nebulose, le tue galassie, io scivolerò giù dal letto,
silenziosamente. Mi vestirò per bene per affrontare l’umido della notte. Farò
un primo bagaglio provvisorio e con un taxi me lo porterò a casa di mia madre
che da tempo mi attende. Darò senza rimpianti un’ultima occhiata alla casa che
mi ha vista sola e infelice. E dopo infilerò la porta. Uscirò.
Uscirò
dalla porta. Ma soprattutto uscirò dalla tua vita.
Non
so cosa penserai quando, ritirandoti finalmente in camera da letto dopo la
scorpacciata astronomica, troverai il letto vuoto. Non so se ti precipiterai,
perplesso e ansioso, a cercarmi per tutta la casa. Forse no.
Ma
a un certo punto dovrai pur renderti conto, e capire.
Verrai,
lo so, a cercarmi da mia madre. Per convincermi o forzarmi a ritornare con te.
Perché a te piace stare da solo se io ti sto accanto.
Ma
non mi convincerai. E tanto meno potrai forzarmi.
Ebbene,
dovrai restare solo da solo. Quaggiù sulla Terra, o lassù fra le stelle, solo.