di Umberto Di Porzio
Nella metà degli anni
cinquanta la mia famiglia aveva dovuto lasciare la casa di Napoli per problemi
finanziari. Ci trasferimmo a Licola, a poche decine di chilometri a nord della
città, in una casa sulla spiaggia che veniva insieme ad un ristorante estivo
gestito dai miei genitori. D’inverno, mia sorella ed io, e nel seguito anche il
mio fratellino, eravamo condotti a scuola a Napoli da un autista che, a rischio
delle nostre vite, ci accompagnava correndo a tutto gas lungo la pericolosa Via
Domiziana, per venirci a riprendere all’uscita e riaccompagnarci a casa, come
dei deportati.
Per cinque anni qui noi trascorremmo
i nostri pomeriggi e serate, isolati, facendo lunghe passeggiate sulla spiaggia
o pedalando in bici per decine e decine di chilometri. In primavera andavamo
nella bellissima pineta a cogliere ciclamini.
Fu un’eccellente formazione
culturale. In quegli anni lessi tutti i classici russi e ascoltai tutta la
musica classica esistente in casa. Divenni un ragazzino colto e musicofilo.
In quel luogo di mare, allora ancora bello, d'inverno
vivevamo solo noi, io, mia sorella, il fratellino più piccolo che ogni tanto si
perdeva sulla spiaggia e noi a cercarlo col cuore in gola, la mamma, mio padre
che vedevamo poco, e l'interminabile bellissima spiaggia di sabbia fina che
giungeva a sud di un promontorio, un tempo sede della più antica civiltà della
zona, venuta da lontano, dalla Grecia tra il X e l’VIII secolo AC.
Era una delle mie frequenti passeggiate solitarie.
Sul piccolo promontorio che scalavo a piedi, c'erano le
rovine degli antichi templi e una grotta, un antro, dalle pareti scavate a
forma di parallelepipedo, dove, secondo un'antica leggenda, risiedeva una
sacerdotessa, una sibilla, vecchissima, divenuta ormai solo voce per aver chiesto
ad Apollo l’immortalità, dimenticando di chiedere anche di conservarle la
giovinezza.
Ella leggeva l’oracolo nelle foglie ed era poi in grado di
predire il futuro ma in termini del tutto incomprensibili ai suoi ascoltatori.
Le foglie di leccio o di alloro venivano presto disperse dal vento, quindi i
responsi erano soggetti all'interpretazione individuale, ed alla personalità
del questuante, come le conseguenti decisioni che da essi traevano coloro che,
spesso venuti da lontano, interrogavano l’oracolo.
Tremante entravo nel luogo sacro, una terrazza di tufo e i
pochi resti del tempio di Apollo, una scalinata monumentale che
raccorda alla via sacra che conduce al tempio
di Giove. Qui si era rifugiato Dedalo, dopo la caduta del figlio che era
volato troppo vicino al sole e aveva così fuso le ali di cera, costruite dal
padre per sfuggire al re Minosse a Creta.
Ricordo il rumore della risacca del mare, che mi porta
alla mente quella dell'oceano, vissuto anni dopo in un altro continente. Il
suono del mare e dell'oceano fanno parte di me. Se porto una conchiglia o la
mia mano all'orecchio sento lo stesso suono e rievoco le stesse sensazioni ed
emozioni. Il nome Cuma, in greco
significa appunto “onda", anche per la forma della penisola sulla quale è
ubicata l’acropoli.
Il mare, la sabbia, le stelle, le sere passate con i miei giovanissimi
coetanei stesi sulla spiaggia, a scrutare il cielo sperando di vedere una
stella “cadente” e riuscire a esprimere il desiderio prima che essa scomparisse
all'orizzonte. Un attimo. Un'eccitazione sorprendente e un rapido pensiero,
prima che il cammino visibile di un meteorite entrato nell'atmosfera, una
meteora, scomparisse, per unire due anime che la vedessero allo stesso momento
e pensassero l'una all'altra.
Ed ecco ritorna il
ricordo angoscioso di quel piccolo aereo da turismo che sorvolò quasi ad
altezza d’uomo la spiaggia popolata da rari bagnanti. Il rumore dell’urto della
ruota del biplano contro la testa di un’adolescente, il corpo a terra, le urla
degli altri bagnanti, la testa bionda della ragazza fracassata, l’odore acre di
una morte assurda e l’incredulità disegnata sui volti dei presenti.
Il cadavere sulla
spiaggia fino a notte, coperto da un panno scuro, la polizia dovunque, l’aereo
abbandonato sulla sabbia dove aveva atterrato a malapena rischiando invece di
finire in mare.
“Aveva perso il controllo per un guasto
tecnico”.
La spiegazione
stupida e banale, che non significava nulla, era bastata a calmare gli animi
degli atterriti spettatori. Affidare a un “guasto tecnico” una morte così
assurda li tranquillizzava, era quasi diventata un problema meccanico
e così non li riguardava più da vicino.
Io invece era
rimasto impietrito per ore, finché mia sorella non mi aveva riportato a casa.
Lì la mamma mi aspettava e con poche dolci parole e un tenero abbraccio riuscì
a sciogliere la mia infinita tristezza. Avevo dodici anni e avevo assistito alla
morte improvvisa di una ragazza piena di vita. Un attimo prima correva felice sulla battigia, poi l’assurdo
incidente. Poi era giunta l’ambulanza e aveva portato via il corpo inanimato.
La notte la mamma
mi lasciò dormire con lei.
L’indomani,
nonostante il caldo estivo, non volli uscire sulla spiaggia, o guardare fuori
l’uscio di casa.
Infantile illusione
Una lunga spiaggia deserta
percorreva solitario il fanciullo
e scalando il piccolo monte
furtivo all’antico sito accedeva
Tra i templi di Zeus e d’Apollo
nell’antro oscuro dimora di dea
che al vento affidava i presagi
coraggioso entrava tremando
Uscito alla luce splendente
nel bel giorno di primavera
immerso tra gli asfodeli
fantasticava di terre lontane
Dall’alto colle la baia scrutava
incantato dal mare tranquillo
la melodia dell’onde ascoltava
distante come la vita futura
Dodici anni aveva e sognava
la dea che su foglie di leccio
gli predice un destino radioso
dalla vita comune discosto
Ma il grecale soffiando impetuoso
le foglie gli strappa di mano
non saprà più che cosa l’aspetta
in quel mondo sognato e lontano
Non conosce ancora le pene
nè il piacer dell’amore profano
se l’attendano gioie e onori
o una vita di assenze e dolori
Disceso giù alla riva le dune
scandaglia
prende in pugno granelli di sabbia
illudendosi che tanti saranno
i suoi anni i suoi mesi i suoi giorni
felici
Ma il ragazzo ignora il suo fato
ché l’umana società ancor nega
i diritti di uguali a chi una
vita diversa viver vorrà.