di Giacomo Ricci
Per
rintracciare il senso degli scritti di Raffaele La Capria raccolti in Esercizi superficiali. Nuotando in
superficie, bisogna, secondo me,
cominciare dalla fine. Quando lo scrittore napoletano afferma che Dio,
il dio che ognuno di noi ricerca con una certa disperazione per tutta la vita, “non
risponde perché sta combattendo” da
qualche altra parte.
Per capire il perché di
questa domanda va osservato che, a introdurre il libro, è la frase di Hugo Von Hofmannsthal, “La
profondità va nascosta. Dove? Nella superficie”.
Frase a effetto, questa. A suo modo
scenografica e drammatica. Come a dire, anch’essa di superficie e di profondità.
Allude a tutta una letteratura e un modo di vedere la vita che parte dallo stesso
Von Hofmannsthal ma che ha, tra i suoi più grandi interpreti, uno scrittore che qui
cito molto volentieri per una serie di affinità che, mutatis
mutandis, mi sembra di rintracciare proprio in La Capria, autore di questo
libro fatto di frammenti letterari.
Sto pensando a Robert Walser autore di Der Spaziergang (La passeggiata)
mirabile sintesi di un principio universale che, evitando di tuffarsi nelle
profondità, e limitandosi a circolare in
superficie, a questa profondità
allude come non mai, con un metodo leggero di lettura che rende ancor più l’indagine
di superficie adatta a cogliere la profondità del pensiero.
Proprio come la metafora autobiografica che
La Capria propone, ritornando al mare, quel segno indelebile della sua memoria personale sempre presente
nei suoi scritti. Starsene in superficie senza scendere al di sotto del pelo
dell’acqua
del mare, nuotando il crowl, stile
segnato dai ritmi discordanti dei piedi che battono veloci e le braccia più
lente e scandite con il respiro. Così si dà armonia al corpo che diviene capace di percorrere grandi distanze senza nessuna fatica.
Crowl, precisa La Capria, significa “strisciare”,
muoversi in maniera aderente alla superficie. Stile libero del nuoto che
diventa metafora della scrittura sciolta, indipendente, aperta, svincolata da
qualsiasi legame, una definizione e una maniera di scrivere che, confessa l’autore,
“ancora
continuo a cercare”.
Uno stile libero che qui si appoggia, in
maniera apparentemente episodica e asistematica, a frammenti di scrittura.
Perché scrivere per frammenti o, meglio, per
racconti? Perché il racconto sembra, oggi, promettere più del romanzo? La Capria chiama in causa
Borges.
In un’intervista, Borges disse che “i
romanzi sono organismi troppo grossi, gonfi di cose troppo pesanti e troppo
inutili. La forma letteraria perfetta può essere soltanto il racconto che permette di
concentrarsi direttamente sull’ essenziale…”.
Così La Capria organizza il suo testo, per
racconti, anzi, come ho detto, per
frammenti. Ma si tratta di frammenti che si inseguono nel tentativo di
riconnettere le idee disperse in ognuno di essi, in una ricomposizione più
essenziale, più centrata di un’unità iniziale che forse da qualche parte si è
perduta.
E qui vengo a quello che dicevo all’inizio.
Comincio dalla fine. Perché è
alla fine che le domande, o forse la domanda, che La Capria insegue cercando
risposte, appare nella sua essenzialità. Ed è domanda che ognuno di noi, prima o poi, si
pone nella vita, quando ne analizza l’insulsaggine, la violenza, l’assurda
crudeltà.
Perché in
tutti i frammenti che si inseguono, premendo verso la fine, le domande,
le osservazioni, le idee di La Capria fissano una serie di espressioni sospese,
un insieme di stupori, di meraviglie di fronte all’inconcludenza
dell’esistente,
i suoi raggiri, le sue perfidie, le sue malvagità, la sua idiozia.
Idiota è, per esempio, aver trasformato, negli ultimi
anni, il dialogo e il confronto politico in battibecco “animalesco”.
Perfidia è quella che attraversa i media e le loro altalenanti verità per
cui in un giorno “siamo nella catastrofe totale, e ancora il
giorno dopo le cose si stanno aggiustando ma è ancora troppo presto per dirlo”.
Idioti sono i discorsi politici di ogni sera,
perduti in “ragnatele autoreferenziali dove si dicono
cose interessati solo per gli addetti ai lavori” lasciando al telespettatore di media
intelligenza quello che sempre più appare come “vaniloquio”.
Incomprensibile è ascoltare, come si sente
sempre più spesso, la frase “mi
vergogno di essere italiano”. A questa affermazione La Capria si ribella
perchè ci
legge il rifiuto sconsiderato dei meriti e delle altezze raggiunte da questo
popolo e dalle sue sofferenze. Ci si vergogna di “Michelangelo? Di Caravaggio? Di Dante e
Petrarca, dell’Ariosto e di Leopardi? Di Galileo, di Vico,
di Machiavelli?”.
E ancora:
“fa parte della creazione che ogni essere
vivente per continuare a vivere debba uccidere un altro essere vivente, e
mangiarlo, masticarlo, ridurlo in poltiglia in un bolo disgustoso, ingerirlo ed
espellerlo come elemento? Chi ha inventato tutto questo? E come mai tutto
questo ‘si tiene’ e non collassa? Non sprofonda nelle tenebre
e nel gelo?”.
La risposta è complessa è ha un qualche fondamento metafisico. Come
ogni poeta, come ogni uomo che di fronte al mondo e ai suoi fenomeni
contradditori, meschini e immensi, La Capria guarda il cielo e le stelle. Gli
suggeriscono l’idea dell’infinito, come Dio che si dice “Eterno,
Infinito, senza tempo e incollocabile nel tempo”.
E come fai a concepire l’infinito?
Lo fai rapportando alle nostre dimensioni un
concetto che, per sua natura, noi finiti e limitati, non possiamo capire. Come
Dio. E come fai a non credere in Dio?
Ne cancelli la presenza perché non
la capisci?
“E
questo è impossibile, perché la
sua creazione è sotto gli occhi di tutti. Ecco, è
questa favola che mi sto raccontando, la favola in cui credo e che mi sostiene”.
“Mi
sostiene” si dice La Capria ma la chiama "favola" e, un
attimo dopo, è assalito dal dubbio che questo Dio di cui
parliamo, quando siamo al cospetto delle stelle e dell’infinito, sia fatto troppo a nostra somiglianza. Ha i nostri stessi difetti, ha creato la
gazzella ma anche lo scorpione, l’Amore ma anche l’Orrore.
Perché è
inutile negarlo, ci sono. Sono sotto i
nostri occhi.
E allora ne dobbiamo dedurre che è un
Dio “distratto”? Un
Dio che se ne fugge? Che si sottrasse a
suo figlio che gli chiedeva “Padre, perché mi hai abbandonato?”.
E poi non ci risponde mai.
Forse perché “sta combattendo”, come ricordavo all’inizio.
E’
occupato altrove. A far crescere una pianta, o le idee di un uomo o un piccolo
fiore di campo.
E il pensiero corre avanti, impantanandosi
nelle contraddizioni e nei dubbi che ognuno di noi si porta e che La Capria ha
il coraggio di confessare e scrivere con un candore che solo la grande saggezza
(o la grande disperazione) di un vecchio, di noi vecchi spinge a fare.
Ma la domanda rimane. La domanda è
essenziale, capitale, spinta da tutti i frammenti di scrittura che precedono
che pretendono un chiarimento, una risposta, un finale.
Vorrei la risposta a questa domanda”
dice La Capria “la sofferenza e il dolore sono inutili?”.
Cioè si muore, si soffre, per caso, per un
accidente, per sbaglio, per troppo pensiero, perché gli
orizzonti si chiudono, per una malattia. E tutto questo è
inutile? Non serve?
“Non
saranno registrati in alcun libro?” Non c’è luogo dove ne rimarrà
memoria? Cioè, non hanno senso? Si soffre senza un
significato, un utile, un fine?
Domanda senza risposta, quella di La Capria.
Tanto essenziale da rimanersene sospesa così come è successo fin dall’inizio
dei tempi, del tempo dell’uomo.
Una domanda che non ha risposta perché deve rimanere avvolta nel
mistero.
“Questa
ipotesi mi fa capire meglio che ciò che è ignoto tale deve rimanere, perché è il
Mistero che ci dà la forza di sopportarla e di sentirne tutta
la meraviglia: il Mistero di essere al mondo”.
E sono le cose semplici a ricongiungerci con
ciò che
non comprendiamo. A farcelo accettare. Come Clementina, bassottina “con
due occhi dalla pupilla mobile ed espressiva” o il canto dei grilli nelle notti d’estate.
“Cri
cri cri”.
Allora a me sembra di vederlo bene Dio. La
Capria me lo suggerisce. Non si sottrae alla nostra vista. E' tutto qui. Nel
canto dei grilli, negli occhi del nostro cane.
Nella purezza dei sentimenti che queste vite semplici suscitano dentro di noi.