di Maurizio Zenga
Ho
letto con interesse il tuo scritto sul grande pino di Furore e ho trovato
incredibile la somiglianza delle tue riflessioni con quanto poco fa discutevo,
a tavola, con un mio giovane amico. Per questo ti scrivo di getto.
Il
ragazzo è tornato da poco da Zanzibar,
dove ha trascorso gli ultimi tre mesi in cerca di una nuova esistenza (vedi la
tua citazione Henry David Thoreau) e mi
ha spiegato in modo accorato cosa lo attrae di quella terra e lo spinga decidere
di lasciare il suo paese, i suoi affetti, i suoi amici, il suo lavoro di
geometra, senza alcun rimpianto.
Tra
meno di un mese infatti ripartirà per
Zanzibar e credo che non lo rivedrò
molto presto.
Ha comprato un pezzo di terra e ci sta costruendo sopra una
casa che, mi ha raccontato divertito (avendo conosciuto le procedure
burocratiche normalmente richieste nel nostro paese), ha progettato su un
foglio di quaderno da mostrare al capo
villaggio, la cui approvazione preventiva è stata necessaria per iniziare i lavori.
La
casa, di cui ho visto le foto delle prime fasi costruttive, è semplice e si
compone di uno spazio unico, piccolo, essenziale, un bagno e un cucinino
all'esterno, sul patio. Niente acqua corrente, solo una cisterna sul tetto,
niente luce elettrica o solo per alcune ore se
hai un pannello solare, niente gas ma solo una bombola.
tipica casa di Zanzibar
La
parte del sottotetto, la cui struttura resta la cosa più interessante
tecnicamente, serve sostanzialmente per guardare dall'alto il mare e
l'orizzonte. Ha una funzione "spirituale"...
La casa in costruzione
Lui
è contento.
Sua
madre un po' meno.
La
teoria di fondo che sostiene la sua scelta è che qui non c'è più nulla che
somigli vagamente ad un rapporto umano con la natura e con l'ambiente, che
"apra il cuore" (come lui dice per descrivere la sua sensazione nel
vivere laggiù) ma solo interessi economici, tasse e balzelli soffocanti, una
burocrazia asfissiante, una tensione che
si taglia con il coltello, ecc.
Alle
mie obiezioni sulla sua condizione di privilegio (essendo occidentale e bianco
lì gode del vantaggio di pagare un decimo ciò che gli serve per vivere e di
poter fare la vita del turista con pochi euro) che gli deriva dalla fortuna di
avere una casa di proprietà in Italia,
da cui può ricavare un affitto utile a coprire tutte le sue spese in Africa,
risponde che lui vorrebbe essere come loro e che se loro sono ridotti a vivere
in condizioni di povertà e di mancanza totale di risorse (nell'isola quasi
nessuno lavora, nel senso che ha una occupazione ) è soprattutto colpa "nostra". Noi
non possiamo capire... Siamo occidentali.
Dunque è come se anche da lui avesse ascoltato la frase:
Dunque è come se anche da lui avesse ascoltato la frase:
"Andai nei boschi
perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo
della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di
morte che non ero vissuto".
Adatta
anche la tua citazione da Heidegger sull'abitare dell'uomo.
Ritrovo
tutte queste riflessioni perfettamente coerenti con il discorso che ho appena
sentito dal mio giovane interlocutore (giovane mica tanto però perchè ne ha
già 34... e dovrebbe forse pensare a darsi una prospettiva meno precaria e
anche forse meno spirituale e più concreta) però c'è qualcosa che non mi convince.
La
casa di Centena è concettualmente vicina alla casa "essenziale" del
giovane geometra del Nord Est emigrato (temporaneamente?) a Zanzibar, le sue
motivazioni sono simili a quelle che tu estrai dalle citazioni letterarie di
grandissimi autori ma c'è qualcosa che mi sfugge, il senso di quell'altra vita
di cui tu parli, una soluzione diversa, una scelta di campo per un nuovo
dialogo con la natura che tuttavia non mi convince. Che la scelta
"filosofica" di andare laggiù sia davvero quella giusta per
condannare questa società moderna e le sue nefandezze?