di Michéle Oceane
Antonio Vivaldi
Luglio a Venezia. Di sera. Passeggiavo
lungo il canale.
Le porte della «chiesa» erano
aperte.
Era lì che si tenevano i concerti di Vivaldi.
Stavano suonando. Un concerto free.
Americani di San Francisco erano venuti a suonar musica e cantare delle
arie di Vivaldi…
Mi avvicinai. Per curiosità.
Uno sguardo dentro, gettato in fretta. Forse per riconoscere ancora una volta quell’interno,
e ricordare quello che avevo visto l’anno prima, nella chiesa vuota...
Ero da sola. Ebbi come una visione. Fortissima. Un’allucinazione. La mia
sensibilità era acuita da tutto quello che avevo letto su Vivaldi, dal ricordo,
dalle parole, dalla musica.
Avvertii una pena enorme nell’anima. Qualcosa si strinse nel petto e, improvvise
le lacrime rigarono la mia faccia
Ma quella sera di luglio non ero sola. Tanta gente s’affollava davanti
all’ingresso. Tutti tentavano di entrare per ascoltare.
Ho provato ad infilarmi tra la gente per arrivare almeno fino alla soglia.
Ecco. Così potevo scorgere dentro.
Ma quale fu la mia sorpresa! Avevano ricoperto le pareti. Non ricordavo quelle tende rosse, quei grandi
quadri appesi, quei mobili da chiesa, quei mobili da sagrestia.
Strano. Tutto strano.
Quella musica e quelle voci suonavano lontane, senza trasmettere alcuna
emozione.
D’impulso sono andata via. Poi, come una forza sconosciuta e invisibile mi
spingesse, sono tornata indietro.
E proprio in quell’istante la folla si
diradò.
Fu facile per me infilare la punta della mia scarpa sul pavimento interno della
sala.
Come se una nota m’avesse trapassato il petto, infilandosi nel profondo.
Mi sentii diversa. Non ero più la stessa di sempre. Non più la turista che
passeggia e osserva compiaciuta. Un turbamento m’avvolgeva e non capivo…
Ecco. Ho avvertito un peso sulla mia testa. Una massa gravava. E m’è parso
di udire una voce . Parlava lieve alle
mie orecchie.
«Cosa fai qui? Come una mendicante sulla soglia? Entra. Il tuo posto è dentro».
Ho avuto paura. Di me, delle emozioni che laceravano il mio spirito e della mia
immaginazione.
«Basta !» mi è sembrato di dire.
Sono scappata via, il viso bagnato
dalle lacrime.
Ho pianto, pianto con forza, senza
poter smettere.
Rabbia e disprezzo, per me. Vergogna
e tormento.
Senza capire.
Immaginazione? Realtà ? Improvviso disagio mentale? Non saprei dire.
Era una sera, in luglio a Venezia.