Gaetanino
di Giacomo Ricci
Il mio gatto mi sale sempre sulle
spalle (come in questo momento). E’ una cosa che gli piace fare assai. Non
avevo mai avuto un gatto così legato a me. Nessuno dei tanti che abbiamo avuto
in tanti anni lo ha fatto.
E’ lui che mi ha scelto come amico
ed è fedelissimo. Come potrebbe essere un cane.
Io l’ho chiamato Gaetanino.
Ricordando il cane di Renato Pozzetto in un film del quale non ricordo più il
nome.
Devo dire di volergli molto bene
anche se il suo attaccamento a volte mi sembra morboso e faccio di tutto per
sfuggirgli.
L’affetto e la vicinanza di una
bestiola sono cose che non si discutono.
Sono affetti reali, incondizionati.
Legami profondi, gratificanti.
Gaetanino è un gatto bellissimo,
soriano con discendenze siamesi abbastanza evidenti, tigrato, grigio perla, con
occhi verdi e sguardo languido.
Una vera bellezza.
La serenità degli animali nei
confronti della vita è un sentire , anzi, meglio, un sentimento che ci fa bene, ci rende meno
aggressivi. Ci fa più maturi e
tolleranti.
Abbiamo molto da imparare da loro perché, nella nostra crescita, nella
nostra definitiva collocazione come specie di homo sapiens sapiens, per il
nostro pensiero calcolatore, abbiamo dimenticato molto della natura e delle
nostre origini.
Dovremmo, noi tutti, fare un gran
passo indietro e riconsiderare quello
che abbiamo abbandonato. Credo che – se il genere umano non cessi prima –
l’unica strada percorribile per noi sarà quella del “ritorno”, alla faccia dei
progressisti della tecnica e del moderno, verso un modello di vita più
equilibrato con la natura e meno aggressivo.
A volte penso che quando si arriva
alla mia età ogni giorno sereno è tempo
guadagnato di cui ringraziare chi ci ha dato la vita.
Io lo so che il nostro modo di
intendere la trascendenza è mitologico, letterario, fantasioso, non reale.
Come i bambini riformuliamo a
nostra immagine quello che non comprendiamo.
Ma, aver capito questo – questa
nostra ingenuità – non nega l’esistenza di una continuità vitale per ognuno di
noi.
Anche se è altro dalla nostra
capacità di immaginare.
Questo non vuol dire che non ci
sia e che noi non siamo uno stato (con
la nostra vita) di un processo più grande del quale facciamo parte che non
comprendiamo ma di cui, in maniera oscura e confusa, intuiamo la presenza.
Tutto qua.
Che poi questo processo sia Dio, il Tutto, l’Universo, che c’importa?
L’importante è che ne facciamo parte, da lì veniamo e lì andiamo.
Tutto qua, per l’appunto.
La cosa complessa e meravigliosa è
la vita come processo intelligente, sofisticato e attento che è alla base e
governa tutte le creature e che agisce al di sopra e al di fuori di esse, ne
determina finalità e azioni.
Alla fine, tutti i comportamenti
delle creature viventi sono motivati dalla conservazione e continuazione
ordinata del processo ai vari livelli.
Ed è un processo che intuiamo segua un progetto, uno scopo e una
finalità. Quindi è un processo intelligente che però noi non comprendiamo. Lo
osserviamo, vediamo che esiste ma perché, come e dove ci sfugge. Solo ora ne
intravvediamo alcuni aspetti marginali. Ma siamo soltanto agli inizi.
Sarebbe interessante ipotizzare
che il genere umano sia innanzitutto capace di sopravvivere alle forti istanze di
autodistruzione che sono in campo e poi sia in grado di comprendere i reali
meccanismi della vita, del processo, cioè, di cui si è parte.
Ma il cammino appare
difficoltosissimo in ogni caso.
Ammesso che, per l’appunto, il
genere umano, nel frattempo, per sua intrinseca stupidaggine, non si
autodistrugga come tutto, al momento attuale, lascia intendere.
Che dovremmo fare nell’immediato?
Rinunciare al consumo sfrenato, ai falsi bisogni, al danaro, alle ricchezze.
Essere poveri di cose e ricchi di
natura. Come tutte le altre bestie che popolano la terra. Usare la tecnica ma
in maniera estremamente parsimoniosa. Riservare le grandi conquiste tecnologiche alla medicina e alla ricerca
scientifica.
Tutto il resto dovrebbe essere vivere
della terra e di letteratura.
Annullare tutto il resto.
Si può immaginare un mondo così
fatto? E' verosimile?
Non lo so. Forse ci saremo costretti. Dopo una spaventosa carestia che annullerà tutte le nostre (false e ridicole) sicurezze.
L'uomo impara soffrendo.
Strana , ma vera equazione della nostra parabola vitale.
E allora immagino case rurali, città piccolissime, poca energia, comunicazione adeguata e spazio per l’arte, concentrando tutti i nostri sforzi intellettuali su una scienza tesa alla conoscenza della vera natura dei processi vitali e negata alla superproduzione, all’accumulazione e al consumo.
Non lo so. Forse ci saremo costretti. Dopo una spaventosa carestia che annullerà tutte le nostre (false e ridicole) sicurezze.
L'uomo impara soffrendo.
Strana , ma vera equazione della nostra parabola vitale.
E allora immagino case rurali, città piccolissime, poca energia, comunicazione adeguata e spazio per l’arte, concentrando tutti i nostri sforzi intellettuali su una scienza tesa alla conoscenza della vera natura dei processi vitali e negata alla superproduzione, all’accumulazione e al consumo.
Perché, poi, alcuni uomini
dovrebbero essere ricchi? Che significa esser “ricchi”? A che serve? Perché
avere tante cose? Non ne bastano poche, ben calibrate?
Oltre a un tetto dove vivere e
cibo adeguato (stile vegetariano decisamente), il resto – se non sia arte e godimento
dello spirito – a che serve?
Rifuggo dalle utopie che sono
(quasi) sempre trappole subdole e infami. Immaginazioni infantili, preludio a ogni forma di barbarie e dittature insulse.
Quindi smetto subito qualsiasi
tentativo di prefigurare il futuro e di
anticiparne l’organizzazione, come esercizio stupido, pericoloso e improbabile.
Vale però il principio di non
legarsi alle “cose” come obbiettivo unico e assoluto. Le “cose” sono un mezzo
per esistere, nient’altro.
Al contrario di quello che noi
oggi crediamo, che le “cose” siano degli obbiettivi da raggiungere, una
qualificazione di status.
La nostra vita è effimera. Le “cose”
non la rendono più stabile e sicura. Sono semplicemente strumenti.
Poi guardo gli occhi di Gaetanino
e mi concilio con il mondo. E non è cosa da poco.
Siamo io, lui, una tazza di caffè
per me, e i suoi adorati bocconcini in un piattino.
E il sole sorge anche oggi.
Lo vedo sbucate a poco alla volta,
dietro la punta dei Monti del Cilento, dalla finestrella della mia cucina
aperta sul giardino.