di Maurizio Zenga
Chiedo scusa agli amici di FB se approfitto di un momento di
calma, in queste vacanze frenetiche d’agosto, per improvvisare alcune brevi
considerazioni su quello che vedo ogni giorno stando sdraiato sul mio lettino
sotto l’ombrellone.
Una massa informe di persone di varia estrazione, in
maggioranza famiglie con bambini urlanti, si muove quotidianamente dalla città
al mare e viceversa sopportando code infinite di auto, sotto il sole, per
godere di poche ore di svago sulla spiaggia.
Donne deformate dalla cellulite e
dal grasso debordante che indossano minuscoli costumi che mostrano volutamente
chiappe mostruose e tatuaggi con improbabili simboli esoterici o mitologici di
cui, quasi certamente, non conoscono nemmeno il significato, uomini con panze
dalla circonferenza smisurata che, dopo aver trangugiato panini dalla
dimensione spropositata e dal contenuto misterioso, si abbioccano sui lettini
mostrando posture imbarazzanti, bambini perennemente in lacrime che svegliano i
panzuti che si incazzano e li apostrofano in modo poco educativo (“…se provi a
piagne, te gonfio…”) per poi tornare all’abbiocco e poi al risveglio forzato
con l’ennesimo venditore di qualcosa…
“cocco rinfrescante”…
”granitaaaaaaa…”
“biscotti di Castellammareeeee…”
“ciambelllleeee…”
“nocciolineeeee”…
E poi
anelli, braccialetti, ninnoli di varia natura forma e dimensione, tamburi e
borse, occhiali, aquiloni, palloni e salvagenti, vestiti e costumi e ogni sorta
di oggetto vendibile grazie al richiamo delle voci diverse che a ciascuno di
questi ambulanti professionali o occasionali fa riferimento.
Ormai, immerso
nella lettura del giornale, continuamente interrotta da questi richiami, li
riconosco uno per uno.
C’è quello col fischietto e quello che agita la scatola
con le perline, l’indiano che ripete all’infinito una sorta di nenia
incomprensibile, quello che ti si avvicina e urla all’improvviso
“vuoi?”
quello che batte il tamburo, quello che recita la solita rima del
“cocco
rinfrescante, delizia del bagnante”
quello che ti si piazza sotto l’ombrellone
col tavolino per i tatuaggi e ti offre la sua vasta gamma di disegni ma che in
realtà ti chiede un bicchiere d’acqua, quello con l’ombrello espositore di
gioielli, quello col carretto, quello con la cesta, quello con le borse e gli
zaini sulle spalle che al tuo primo cenno del capo (una gentilezza che si
accompagna ad un sorriso di cortesia), prima ancora che tu possa dire
“no…grazie”, ti ha già svuotato sui piedi la sua vasta gamma di oggetti
prodotti in chissà quale paese lontano.
La lettura e il riposo, a questo punto,
diventano una finzione, un’illusione, una chimera e lo sguardo si perde su
questo panorama indefinito di mare limpido (sarà vero?) e varia, derelitta,
umanità, mescolandosi alle notizie di una campagna pubblicitaria per
“l’agibilità politica” del tipetto che ha distrutto in venti anni questo Paese,
una volta meraviglioso, per curare i sui loschi interessi e che poco si è
curato di questa gente che ha invece, deliberatamente, ridotto in questo stato
penoso di incultura e abiezione.
Una volta il tatuaggio distingueva il
“galeotto” dalla persona per bene e l’atteggiamento disinibito e provocante
della donna anziana in tanga che esibiva spudoratamente le proprie forme
flaccide al pubblico, distingueva una battona dalla madre di famiglia…
Oggi non
è più così e la massa che il tipetto dalla testa catramata ha formato
principalmente con il suo modello cultural-televisivo oggi si presenta così…
Brutta, sporca e cattiva ma soprattutto molto confusa…
Buone vacanze a tutti.