Carlo III di Borbone, Re di Napoli
di Giacomo Ricci
Alla fine del TG 3 delle 19.00
di ieri andò in onda un servizio su
Achille Lauro e la rapina edilizia della città di Napoli che con lui
sindaco si ebbe.
Faccenda nota, magistralmente raccontata dal film di Rosi Le mani sulla città e che, ogni tanto, viene rispolverata con il dovuto folklore, i riferimenti alla plebe napoletana
di tutti i tempi, la rapina della città, lo scempio paesaggistico, la
cosiddetta “muraglia di via Aniello Falcone” e così via.
Roba nota e, direi, vecchia
abbastanza per entrare nella storia comune delle disgrazie subite da questa
città.
Ma la cosa che ci fece
letteralmente saltare sulla sedia, a me e mia moglie, fu un’affermazione
gettata lì, con grande disinvoltura, dal commentatore del servizio in onda. Il comportamento di
Lauro, disse proprio così, non era stato diverso da quello dei Borbone, sul piano della rapina del
territorio e del malgoverno.
Eccolo lì, di nuovo, fare la sua
apparizione lo svarione, a dir poco, d’interpretazione storica. Che poi, a
voler essere corretti, di svarione non si tratta e nemmeno di una battuta
estemporanea.
No, nient'affatto. A voler essere rigorosi si tratta di un vero e proprio “falso” storico, anzi, diciamola così com’è, di una vera e propria menzogna.
No, nient'affatto. A voler essere rigorosi si tratta di un vero e proprio “falso” storico, anzi, diciamola così com’è, di una vera e propria menzogna.
Una menzogna che, anche se
probabilmente il malaccorto commentatore di RAI3 non se n'è reso pienamente
conto, circola ad arte, assieme ad altre, per dare corpo a un vecchio principio
bellico.
Che è, papale papale: quando si sconfigge un
popolo e la sua forma politica bisogna che la distruzione sia radicale, fisica, assoluta, perpetrando un vero e proprio genocidio, sul piano morale e su quello della storia.
Il Parco della Reggia di Caserta
“La guerra è la guerra”, dice un
vecchio adagio. Ma noi, nel commentare la storia a posteriori sembriamo sempre
dimenticarcene.
Se si sconfigge un popolo sul
piano militare si deve proseguire, fino in fondo. Non basta che il suo esercito
sia distrutto, che le città siano state messe al sacco e che la popolazione
“nemica” sia umiliata non solo nei suoi guerrieri e nel suo esercito ma anche, e soprattutto, nelle
sue donne e nei suoi bambini.
Bisogna infierire sui vinti. Bisogna ucciderne quanti più possibile, umiliarli, azzerarne la coscienza, distruggerli. E se non si può per tutta la popolazione, allora bisogna cancellarne la memoria. Questo l'imperativo, questa la necessità.
Lo dicevano i romani: «Vae victis!».
«Guai
ai vinti!»
Che poi non si tratta soltanto di
un “beffardo accanimento” dei vincitori sui vinti, come a torto si ritiene. Si
tratta sempre, c’è poco da fare, di un vero e proprio progetto di annullamento. Perché la sconfitta non si trasformi in
un boomerang, in un feroce insegnamento a quelli che sopravvivono per prendersi
la rivincita, è necessario distruggere fino in fondo popolo, memoria e storia.
Riempire la storia futura di una quantità sufficiente di menzogne: i nemici? Sporchi, pidocchiosi, malvagi, affamatori, inetti, imbelli, senzadio, arroganti, incapaci e chi più ne ha più ne metta.
Riempire la storia futura di una quantità sufficiente di menzogne: i nemici? Sporchi, pidocchiosi, malvagi, affamatori, inetti, imbelli, senzadio, arroganti, incapaci e chi più ne ha più ne metta.
Dunque «Guai ai vinti».
Così si dà fondo a tutta la libido
turpe che se ne sta nel fondo dell’animo
dei vincitori, che si trasformi in
fenomeno concreto, in un vero e proprio atto di sottomissione totale dei vinti,
ma soprattutto di un vero e proprio
progetto di annullamento dell’alterità, del nemico.
Ché si sa, il nemico è da
distruggere in toto, e dunque, nella sua cultura, nella sua stessa antropologia.
Il progetto di annullamento è
sempre presente dopo una guerra. Non c’è politica che tenga, non c'è mediazione possibile. Ciò che si deve
distruggere e la storia dell’altro,
del vinto. A qualsiasi costo.
Ecco che allora lo svarione preso
dal cronista del TG3 appartiene a qualcosa
di più grande che lui stesso, nella sua ristrettezza storica e totale disinformazione
(vera? falsa?) contribuisce a perpetrare.
Ma noi abbiamo il dovere, a centocinquant'anni di distanza, di chiederci come siano andate veramente le cose.
Ma diciamolo con chiarezza.
Ma diciamolo con chiarezza.
Può esserci paragone
storicamente accettabile tra i Borbone e Lauro? Tra Carlo III, primo vero Re che il Regno di Napoli abbia avuto dopo secoli di dominazioni esterne e il buon
Achille, imprenditore self-made-man dell'immediato secondo dopoguerra?
Io, se dovessi, esibirmi in
azzardati paralleli storici mi sentirei
di paragonare Lauro, meglio e in maniera curiosamente affine, a un nostro contemporaneo cittadino della nostra Italia contemporanea, molto discusso, ancora sulla breccia da un po’ di tempo. Stessa età, più
o meno (circa ottant’anni) stessi vizi (accanimento di prestazioni su giovani
donzelle, nonostante il loro essere vegliardi), moglie e fidanzata ufficial-ufficiosa in
contemporanea, grandi guadagni e fortune colossali accumulate, patron di
squadre di calcio (il Milan e il Napoli rispettivamente), napoletanitudine come "aura" culturale (?), autentica
per il primo, acquisita per il secondo per scelta e vocazione/formazione musical-cultural-crocieristica.
Ma allora chiediamoci: quale
sarebbe il rapporto tra l’edilizia
realizzata nel periodo laurino e quella
promossa dal primo Borbone?
Nessuno, ovviamente, come ognuno
dotato di cervello e di un minimo di informazione può notare.
Faccio un rapido elenco?
Faccio un rapido elenco?
Per Lauro valgano:
La cosiddetta “muraglia cinese” situata
in Via Aniello Falcone, una delle strade panoramiche più felici e belle di
Napoli, orribile schiera di palazzacci di speculazione in un posto dallo
straordinario valore ambientale, paesaggistico e naturalistico.
La cosiddetta "Muraglia cinese" a Via A. Falcone
Il cosiddetto Rione Lauro a
Fuorigrotta, un lager a dir poco, un orrore edilizio spaventoso.
La palazzata a piazza Mercato che
grida ancora vendetta davanti a Dio e gli uomini, in disprezzo del luogo
storicamente più rilevante della Napoli del passato e delle passate
dominazioni.
Palazzata a Piazza mercato. In fondo lo storico campanile del Carmine
Il palazzaccio a Piazza Cavour che
sostituì due splendide palazzine neoclassiche e così via.
E per il Borbone? Allora per Carlo III, il cosiddetto
“buon Re” elenchiamo:
La Reggia di Capodimonte e il
parco.
La Reggia di Capodimonte
La Reggia di Caserta e il parco.
(ricordo per inciso il lavoro fatto dall’architetto per alimentare la cascata,
spostando il letto di un fiume e convogliandone le acque in maniera da
ingegnere dell’Ottocento. Solo un Eiffel ci avrebbe pensato e ne avrebbe avuto
lo spessore. Ma siamo a metà del Settecento, un secolo prima. Questo per sottolinearne
il carattere innovativo).
L'ercole farnese
La Reggia di Portici.
La Reggia di Portici
La Villa Comunale.
E mi fermo qui ricordando che uno
degli architetti da lui chiamati per le imprese di cui sopra fu nientedimeno
che Luigi Vanvitelli, autore tra l’altro delle opere di ingegneria cui prima
facevo cenno.
Ricordo ancora la “speculazione”
dell’Ospedale dei Poveri e per i suoi successori la colonia di San Leucio.
L'Ospedale dei Poveri
Il primo rappresentò una delle più
grandi opere filantropiche concepite all’epoca atteso che non si parlava ancora
di socialismo né tanto meno delle idee illuministe di Fourier che sono più
tarde.
La colonia di San Leucio, è una
delle idee più “rivoluzionarie” mai realizzate, sotto il profilo tecnico,
produttivo e sociale. E metto un particolare accento su quest’ultimo aggettivo.
Si trattava nientedimeno che della costruzione di una colonia di lavoro, indipendente
e autosufficiente, per giovani
diseredati, facendovi costruire la
macchina tessile più avanzata al mondo come tecnologia. Progetto che diede inizio ad un esperimento sociale, urbanistico,
antropologico, produttivo e innovativo di amplissimo respiro, mai più
eguagliato neanche nei regimi cosiddetti “comunisti” contemporanei o appena tramontati.
E a propositi di pugni sullo
stomaco, non arriverei a tanto (sotto il profilo metaforico, s’intende) col commentatore
di RAI 3 per le stupidaggini che ha detto. Mi limiterei a una buona tiratina
d’orecchi, come si usa fare con gli allievi somari, pregandolo di andarsi a
studiare meglio la storia
urbanistico-architettonica di Napoli.
Quando la smetteremo di dire bugie
da bassa propaganda postbellica? Quando impareremo a mantenere il rispetto
dovuto a organizzazioni politiche che nulla hanno da invidiare ad altre e che,
nella buona come nella cattiva sorte, sono la nostra memoria (grande) di popoli
del Sud?
Per terminare, il monarchico Lauro era un fautore della monarchia
sabauda. Non mi pare che fosse in qualche modo legato a quella dei Borbone.