di Vincenzo Perrone
La grande magnolia nel cortile di Palazzo Gravina
sede della Facoltà di Architettura di Napoli
Lo scrivente incontra Ferdinando Chiaromonte
(1902 – 1985).
Perrone: «Salve Professore, è un piacere
rincontrarla. Come sta?»
Chiaromonte: «Evitate di darmi del lei. L’uso del
lei è stato proibito da Achille Starace (Segretario del P.N.F.) perché ritenuto
di origine spagnola, estraneo alla cultura nazionale, nonché residuo del
servilismo italiano verso gli invasori stranieri ed espressione di snobismo
borghese. Diamoci del voi. Come sto? Meglio di quanto potrei stare tra voi,
ammesso che avessi campato 109 anni. Sono, infatti, nato a Napoli nel 1902.»
P.: «Non vi manca Napoli?»
C.: «Non tanto. L’ambiente nel quale abbiamo
trascorso la nostra esistenza, non è formato tanto dalle pietre quanto dalle
persone. Per me le pietre hanno una grande importanza; ma le persone contano di
più. Le persone che hanno popolato lo scenario della mia vita non ci sono
più e questa città la sento, oramai, un po’ estranea.»
P.: «Come vi è parsa la Facoltà di Architettura?»
C.: «Confesso che non ho resistito alla
tentazione di ritornare a Palazzo Gravina ed, in particolare, all’ultimo piano,
dove c’era il mio studio professionale. La magnolia, nel cortile, è cresciuta
moltissimo (da che era un alberello striminzito) e mi ha fatto capire che gli
anni sono passati, inesorabilmente. Mi ha impressionato l’assenza di vita. Il
palazzo è vuoto e mi ha dato l’impressione di una congrega del cimitero. E lo
è.»
P.: «Un cimitero?»
C.: «Un cimitero delle coscienze.»
P.: «E dell’attuale corpo docente cosa ne
pensate?»
C.: «Non mi pronuncio. Tutte le spedizioni
all’interno dell’uomo finiscono sempre in chiacchiere inutili e superficiali.
Comunque, si vede ad occhio nudo che dal 1935 al 1955 (un ventennio) il corpo
docente era suis viribus pollens.»
P.: «Professore, evitiamo citazioni latine, che,
oramai, pochi comprendono. Cosa vuol dire suis viribus pollens?»
C.: «Possente di sua propria forza.»
P.: «Come vedete la situazione attuale degli
Architetti?»
C.: «Male. Innanzitutto sono troppi. Nel 1938
eravamo 79 architetti in Campania, 6 in Abruzzo, 3 in Calabria e nessuno in
Basilicata. In totale 88 architetti in quello che, dopo il secondo conflitto
mondiale, sarà l'Ordine degli Architetti della Campania, Abruzzo, Molise,
Basilicata e Calabria, di cui io sono stato Presidente dal 1949 al 1951 e dal
1953 fino al 1962.»
P.: «E prima della guerra?»
C.: «Prima della guerra, benché gli Ordini furono
istituiti con il Regio Decreto 23 ottobre 1925 n. 2537, noi riuscimmo a non
farli sorgere. Ghino Venturi, Vincenzo Fasolo e Alberto Calza Bini fondarono il
Sindacato Fascista Architetti ed io ebbi l’onore di esserne il Segretario, per
la Campania.»
P.: «L’Ordine di Napoli quando nacque?»
C.: «Nel 1944. Fu un’iniziativa di Roberto Pane.
Chiese un’autorizzazione al Governo Militare Alleato, per indire un’assemblea
degli Architetti, che si tenne il 31 gennaio 1944. Il prossimo 31 gennaio
potrete spegnere la torta con 68 candeline; ma io vedo poco da festeggiare.»
P.: «Perché dite che gli Architetti sono troppi?»
C.: «Ma è ovvio! Ho appena detto che noi eravamo,
nel 1938, 88 in tutta l’Italia meridionale e già Calza Bini aveva il suo bel
daffare per accontentare tutti, elargendo incarichi professionali a dritta e a
manca. Oggi ci sono 8800 Architetti solo a Napoli e Provincia: uno ogni 340
abitanti. Serve un dentista ogni 5000 abitanti. Se ognuno di noi, invece di
avere 32 denti, ne avesse 500 (come gli squali) ci vorrebbe un dentista
ogni 30 abitanti. E’ Matematica. E se, invece dei denti avessimo i becchi, non
servirebbero i dentisti, ma … i beccai.»
P.: «Professore, Le .. pardon … Vi piace di
scherzare. Non mi provocate, perché piace scherzare anche a me. E come si è
determinata questa situazione?»
C.: «Secondo me, nel 1969 vi è stato l’inizio
della fine. Fino ad allora si accedeva alla Facoltà di Architettura con una
maturità: classica, scientifica o artistica. Si è voluto aprire a
tutti. Si è passato da un’università di élite a una di massa ed … eccoci
qua. L’Ordine degli Architetti di Napoli è passato da poco più di 1500 iscritti
del 1978 (allorché era Ordine degli Architetti della Campania, Abruzzo, Molise
e Basilicata) a 1681 nel 1984, 1986 nel 1986, 2312 nel 1988 (l’Ordine, adesso,
comprende solo le province di Napoli e Isernia), 2604 nel 1990 (da adesso in
poi solo la provincia di Napoli), 2960 nel 1992, 3451 nel 1994, 4668 nel 1999,
5377 nel 2001 e ben 6992 nel 2005 (di cui 6981 della sezione A e solo 11 della
B). Oggi siamo poco sotto i 9000 e veleggiamo verso i 10.000. Ci fermeremo
quando ci sarà un architetto ogni 5 abitanti? O volessimo fare todos caballeros?
O, meglio, todos arquitectos?»
P.: «E’ solo questa situazione inflattiva che ha
determinato la crisi?»
C.: «I colpi sono stati tre. Conoscete la
leggenda di Hiram Abiff?»
P.: «Certo che la conosco! Ma le domande le
faccio io a Voi o volete farle Voi a me?»
C.: «La leggenda la riassumo io. La Bibbia ci
presenta Hiram Abiff come il massimo Architetto del suo tempo. Egli fu
incaricato dal potente Re Salomone per la costruzione del grande Tempio, la
Casa del Signore. Nessuno meglio di Hiram sapeva lavorare i metalli, egli padroneggiava
i segreti dell’Arte, fine intagliatore di pietre e legno aveva accumulato
grande esperienza nel governare operai e maestranze. Fu ucciso da tre compagni
che si erano appostati, armati di un arnese da lavoro, alle tre porte del
Tempio. Il primo – alla porta di occidente – gli sferrò un colpo alla
gola.
Seppur stordito, il Maestro riuscì a sfuggirgli dirigendosi
immediatamente verso la porta a Meridione, dove fu colpito al cuore.
Quasi
esanime e gravemente ferito, Hiram si trascinò verso l’ultima porta, quella
posta ad Oriente, in cerca di scampo … ma anche là trovò appostato l’ultimo dei
tre che, sbarrandogli la via, lo colpì direttamente alla fronte, e lo
uccise!
L’Architetto va ucciso con tre colpi.»
P.: «Bene! Il primo colpo l’ho capito. Gli altri
due quali sono stati?»
C.: «L’eliminazione dei minimi di tariffa e la
possibilità di creare società di progettazione, i cui soci potranno essere
anche non professionisti che impegnino un capitale.
L’eliminazione dei minimi
di tariffa fa si che un sedicente Architetto (o un Architetto “semicompetente”)
si offra per una prestazione professionale in cambio di un piatto di minestra
calda. Per le società, c’è la prospettiva che un signore pieno di soldi metta
su una S.p.A., in cui lui ha il 99% delle azioni e il restante 1% lo riconosce
ad una “squadretta” di Architetti, da pisciare in mano.»
P.: «Professore, questa volgarità da Voi non me
l’aspettavo.»
C.: «Mi è scappata (la volgarità, non la pipì).»
P.: «E gli Ordini che fanno?»
C.: «Come ricorderete, io sono stato sia
Presidente dell’Ordine di Napoli, sia Presidente del C.N.A. Dal 1941 al 1950
Marcello Canino è stato Preside della Facoltà ed io – più o meno in
parallelo – Presidente dell’Ordine. Calza Bini è stato Preside dal 1936 al 1941
e, poi, dal 1950 al 1955. C’era una sinergia tra Ordine e Facoltà ed eravamo
sempre noi: la vecchia guardia del Sindacato Fascista Architetti. Secondo Voi –
caro Perrone – con noi sarebbero passate queste cose? Saremmo andati a Roma,
con il revolver in una tasca dei pantaloni, ad “incrementare” il volume dei
nostri attributi. E sarebbero state la Facoltà e l’Ordine a muoversi insieme. Due
popoli … una guerra. Ricordate cosa diceva Leonardo da Vinci a proposito
dell’arco? “L'arco è una costruzione nata da due debolezze dalla cui unione
risulta una grande forza”. Qui abbiamo due debolezze che … non fanno un cazzo.»
P.: «Professore, nuovamente con le volgarità? Io
vi ho conosciuto in più occasioni (l’incipit del corso di Tecnologia, l’esame
di Stato, un esame di abilitazione all’insegnamento) e non mi siete sembrato
volgare. Mi avete sempre dato l’impressione di un moschettiere, con questi
baffetti e il pizzetto, che si chiama “tirabaci” (e sarei tentato di chiedervi
se veramente i baci li ha tirati).»
C.: «Beh! Ammetterete che non si può gioire
vedendo tutto ciò che si è costruito, ridotto in cenere. Il povero Calza Bini
si fece anche qualche anno nel campo di concentramento inglese di Padula,
perché il Governo militare d'occupazione (l’AMGOT, Allied Military Government
of Occupied Territories) volle rimuovere dai loro incarichi le persone più
coinvolte con il passato regime. … E per quanto riguarda i baci, Vi assicuro
che ne ho tirati, a bizzeffe.»
P.: «E, adesso, cosa ci dice di fare?»
C.: «Manibus date lilia plenis. … Dimenticavo che
il latino non lo masticate e traduco: spargete gigli a piene mani.»
P.: «Che cazzo significa?»
C.: «Adesso il volgare siete Voi e, se ci fossimo
trovati nel famigerato ventennio, avreste pagato cara questa impertinenza. Manibus
date lilia plenis era la scritta che si incideva sulle lapidi mortuarie di
bambini, recisi nella primavera della vita. Eneide libro VI: manibus date lilia
plenis purpureos spargam flores animamque nepotis his saltem accumulem donis,
et fungar inani munere … »
P.: «Basta con questo latino. Non se ne può più!»
C.: «Non vi interessa la traduzione? Gettate
gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e colmi l’anima del nipote
almeno con questi doni e faccia un inutile regalo. Sarei andato avanti, se non
mi aveste interrotto.»
P.: «Non ho capito cosa volete dire.»
C.: «Voglio dire che non c’è più niente da fare.
Voglio dire che i giovani non hanno speranza. Occorre attendere la resurrezione
di Hiram.»
P.: «Possibile? Gli Architetti non si possono
governare?»
C.: «Governare gli Architetti non è impossibile,
… è inutile. E poi questi Architetti dove sono? La signorina che progetta
ristrutturazioni di appartamenti a 12 Euro? Sono venuto a parlare con voi per
farmi quattro risate? Noi ristrutturazioni di appartamenti non ne facevamo.
Progettavamo palazzi, chiese, caserme, stadi, quartieri e città intere (vedi la
bonifica dell’agro Pontino). L’Architetto che si occupa di sostituire pavimenti
e spostare tramezzi è come il chirurgo che si mette a fare il callista ...»
P.: «Basta, Professore. Siete troppo pessimista.»
C.: «Caro Perrone, il pessimista è un ottimista
con esperienza. Ed io di esperienza ne ho da vendere.»
P.: «Credo che sia meglio chiudere qui
quest’intervista, che starà ammorbando chi ci legge. Vorrei solo sapere quando usciremo
da questo tunnel.»
C.: «Nel 2028, primo centenario della marcia su
Roma. Occorre attendere ancora 17 anni.»
P.: «Beato chi lo vede! Potrebbe darsi che per
quella data (mi faccio una grattata …) Vi avrò raggiunto … dall’altra parte.»
C.: «Vi stiamo aspettando con ansia!»
P.: «Aspettate pure! C’è tempo. La magnolia dovrà
superare l’altezza del palazzo (compresa l'antenna della televisione).»