di Maurizio Zenga
"Saglie saglie
Cu' sta sporta chiena d'aglie
Si nun saglie e scinne
Tutta sta rrobba nunn'a vinne
Sole, sole d'oro
'a mattina me daje forza
Mentre attuorno tutto more
Quanti vote 'mmiezo 'e mmane
Mmiezo ' e mmane aggio guardato
Quanti cose aggio perduto
Quanti cose aggio truvato
Sole, sole...
Saglie saglie
Cu' sta sporta chiena d'aglie
Si nun saglie e scinne
Tutta sta rrobba nunn'a vinne"
Cu' sta sporta chiena d'aglie
Si nun saglie e scinne
Tutta sta rrobba nunn'a vinne
Sole, sole d'oro
'a mattina me daje forza
Mentre attuorno tutto more
Quanti vote 'mmiezo 'e mmane
Mmiezo ' e mmane aggio guardato
Quanti cose aggio perduto
Quanti cose aggio truvato
Sole, sole...
Saglie saglie
Cu' sta sporta chiena d'aglie
Si nun saglie e scinne
Tutta sta rrobba nunn'a vinne"
( Pino Daniele )
Caro Giacomo,
aderisco
dopo qualche giorno alla tua bella
proposta di definire dieci luoghi di Napoli per un racconto breve della mia
città. Mi gira per la testa un'idea che vorrei cercare di spiegare in poche
righe e qualche foto rappresentativa. L'idea che Napoli possa essere, come nei
miei ricordi giovanili (tra gli anni 70 e 80) una metafora dell'esistenza,
fatta di salite e discese.
Salivo
negli anni '70 via Pietro Castellino, che dal Vomero portava ai Camaldoli, per
andare a scuola presso il vecchio (già allora fatiscente) Istituto Giovanni
Porzio, dove sono nate e poi consolidate nel tempo le mie amicizie più profonde
e i primi approcci con quell'umanità adolescente che ho poi ritrovato con
nostalgia nei libri meravigliosi di Raffaele La Capria.
Il Castel Sant'Elmo e la certosa di San Martino
Scendevo
invece qualche anno dopo “giù Napoli”
dal Vomero, dove abitavo vicino Piazza medaglie d'Oro negli anni '80, a volte
compiendo strani percorsi pedonali,
ispirati più dalla curiosità che dalla necessità di trovare la strada più
breve. Salivo ‘ncoppa San Martino e
poi scendevo per Calata San Francesco,
che ho amato moltissimo per il godimento fisico che mi dava la discesa (un
sollievo dopo la salita) e insieme la visione del panorama impagabile che accompagnava i miei pensieri mattutini.
Calata San Francesco
Vedere
il mare dalla collina e avere la sensazione di poterlo raggiungere a piedi, non
solo con lo sguardo è una sensazione che oggi mi manca moltissimo e che
accresce la nostalgia di quegli attimi di pura e indescrivibile felicità.
Scendevo
a volte per via Aniello Falcone che, dal Vomero, offre una diversa visuale del
panorama del Golfo e che ha sempre rappresentato per me (e credo anche per te che
lì hai vissuto anni cruciali) una zona speciale, piena di significato. In
quella strada, sui suoi marciapiedi, nelle case che i miei amici a volte aprivano
alle feste improvvisate o alle prove musicali, alle discussioni politiche, ho cominciato a fare i conti con
la musica, i miei compagni di strada, l'arte, le prime esperienze amorose. Via
Aniello Falcone è una strada che definirei di sola discesa, le salite che mi ha
offerto sono state tutte “spirituali”...
Panorama del golfo da via Aniello Falcone
Scendevo
da via Mezzocannone e poi da Monteoliveto per entrare stanco ma appagato nel
cortile di Palazzo Gravina e “salivo”
tutte le rampe di scale per raggiungere il terrazzo, luogo incantato in quegli
anni (stavolta cruciali per me) di “indiani metropolitani” e di utopie
irrealizzabili e irrealizzate ma anche per il sole battente al quale esponevo
il mio corpo e i miei libri, inutilmente aperti sul sedile di pietra.
Palazzo Orsini di Gravina
Uscendo
da Palazzo Gravina, salivo a destra verso Piazza del Gesù (altro luogo della
memoria) di cui ho più volte riprodotto l'obelisco centrale e mi infilavo nel
chiostro di Santa Chiara a scambiare due chiacchiere con quel monaco ricurvo
sulla sua vanga e finalmente leggevo, seduto sulle famose maioliche e all'ombra filtrata del pergolato, nella
pace più totale. Negata da sempre, almeno in quella particolare intensità, a
tutti gli altri luoghi della mia città.
Il Chiostro di Santa Chiara
Salivo
la stradina di San Sebastiano per la solita visita ai negozi di strumenti
musicali e la chiacchierata con qualche amico, mi fermavo a Piazza Bellini. Ora
mitico luogo della cultura
cittadina ma per me approdo obbligato nell'ora di punta per la straordinaria pizza
dell'osteria all'incrocio con San Pietro a Majella e Portalba.
Via San Sebastiano, degli "strumenti musicali"
La
felicità in una pizza, massimo godimento
del palato, tra il luogo dei libri per eccellenza e il Conservatorio del
maestro De Simone, diversa da quella di cui dicevo prima ma pur sempre felicità
raggiunta.
In
via Costantinopoli, passando davanti all'Accademia di Belle Arti e al Liceo, un
luogo per me importante e che resta nella mia memoria. Nell'angolo a sinistra,
poco prima del Museo Archeologico, all'ultimo piano del grande palazzo
ottocentesco a ridosso della Galleria Umberto: lo studio di restauro dei
fratelli Tatafiore e lo studio privato del maestro Guido, il padre. Bisognava salire tutti i
piani del palazzo e poi l'ultimo in alto, il più segreto, il più bello, dove il
maestro si chiudeva circondato dal suo
lavoro creativo e dal silenzio del suo raccoglimento. Se n'è andato con il
terremoto lasciando, in molti di noi ragazzi che frequentavamo la sua casa-studio,
la tristezza di non vederlo e di non sentirlo più al pianoforte o al
contrabbasso nelle indimenticabili serate trascorse tutti insieme.
Guido Tatafiore, Natura morta
Chiunque
può salire oggi fino al Castel
Sant'Elmo, sulla collina di San Martino e vedere qualche sua opera nel
Museo d'Arte contemporanea di recente costruzione. Ma bisogna “salire”, salire
nel punto più “alto” di Napoli, in tutti i sensi.
Spaccanapoli da San Martino
Nel
periodo degli studi ho avuto la fortuna di “scendere” per le strade di Napoli anche
attraverso i livelli sociali in cui la
città è divisa da sempre, dal Vomero (collina residenziale considerata la zona
medioborghese per eccellenza) mi sono trasferito per qualche anno ai Cristallini,
abbascio 'a Sanità, una tra le
zone più popolari, e lì ho capito molte
cose di questa città. Nessuno può capire davvero Napoli se non vede come si
vive ai Cristallini, ai Vergini e che umanità resiste da secoli in quei vicoli
pieni di aggressività, di violenza, di generosità, di passione, di tradizioni, di fede e di
bellezza.
Largo dei Vergini
Tra
le dieci cose da non tralasciare nella visita a Napoli è d'obbligo una “discesa/salita”
all'Inferno/Paradiso della Sanità e una salita con l'ascensore (a ridosso del
Ponte della Sanità, difeso nelle famose quattro Giornate di Napoli da Maddalena
Cerasuolo con le armi) che vi riporterà
alla vita “normale” e al traffico di tutti i giorni,
Il ponte della Sanità con l'ascensore
sulla strada che vi
conduce al Museo di Capodimonte, per vedere cos' è stata l'Arte a
Napoli nei secoli passati (da non perdere Luca Giordano) e per riposarvi
all'ombra degli alberi del parco reale dove finalmente potrete aprire o' paccotto con il panino ‘e saccicce e friarielli che vi sarete
fatti confezionare in una delle tante osterie casalinghe della Sanità.
Un
godimento unico che non può che venire dopo la fatica un percorso in salita,
ovviamente.
La reggia di Capodimonte nel parco