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ebook di ArchigraficA

venerdì 19 agosto 2011

Tecniche e vocaboli - uno

di Giacomo Ricci





Una prima idea. Come non bisogna sprofondarsi in un’accorato pseudo monologo che spieghi al mondo la propria “angoscia”, della quale, è certo, nessuno se ne fotte più di tanto (il cosiddetto flusso di coscienza di joyciana memoria), così è disdicevole mettersi a scrivere senza alcuna idea sul perchè lo si stia facendo. O, meglio, se lo si sta facendo soltanto perché suggestionati dal successo del tal scrittore di grido e dal desiderio di diventare famosi e ricavare secchiate di danaro dalla scrittura., mbè è meglio soprassedere e fare altro. Andare a fare una passeggiata, fare giardinaggio, riempire di coccole il proprio gatto oppure prepararsi un buon pranzetto, attività più utili e, soprattutto, innocue.
Perchè bisogna partire dall’idea che la scrittura è un potente mezzo, educativo, o di rottura di palle. 
Dicevo che è importante leggere. Sì. Ma non è cosa che si può fare in mezzo pomeriggio. 
Leggere come crescita lenta, come una pianta che si sviluppa e diventa bellissima. 
Leggere è curare la propria anima. Ammesso che si sappia di averla. 
E quindi la prima cosa da fare, a mio parere, è prendere consapevolezza della propria. 
Dove sta? Che vuole? Di che si nutre? 
Domande nient’affatto peregrine. 
Suggerivo la rilettura e la riflessione sui Promessi sposi. Ad esempio avete mai fatto caso alla sottile ma evidentissima vena ironica di Manzoni? Al suo modo di presentarci Don Abbondio?
A scuola ci hanno rotto le palle con la descrizione iniziale, il lago, il resegone, il paesaggio, la scrittura come pittura, ecc. Poco interessante a parte gli arrovellamenti scolastici del prof di turno, o degli estensori delle note a calce.
A proposito delle note a calce io le abolirei tutte. Non solo non spiegano una mazza, ma distraggono, fanno perdere il filo della narrazione. E sono le note che a me andavano letteralmente in fronte nelle mie letture scolastiche dei Promessi o della Commedia.  E poi, è lo stesso Manzoni che, come se l'avesse saputo, ci mette in guardia contro i libri commentati. Quando nel preambolo parla del manoscritto ritrovato e dell'idea di commentarlo, avendo la precisa sensazione che le note al testo si dispongono come un vero e proprio libro che si affianca al principale,  scrive: " ... Abbiam messo da parte il pensiero [di scrivere un libro di spiegazione al manoscritto originale, nota mia]  per due ragioni che il lettore troverà certamente buone: la prima, che un libro impiegato a giustificarne un altro, anzi lo stile di un altro, potrebbe parere cosa ridicola: la seconda, che di libri basta uno per volta, quando non è d'avanzo". 
Come a dire: affanculo a tutta le generale tendenza italiota dal 1840 in poi che ci ha rotto le palle sui banchi di scuola con le note, le interpretazioni di un branco di pedanti, puntigliosi, meschini "critici", incapaci di scrivere come Manzoni, e che si sono messi a commentarlo, facendosi grandi sulle sue spalle. Grande il nostro Alessandro, non c'è che dire. E come se avesse già chiaro in mente la sorte alla quale il suo bel romanzo era destinato. 
Lui magari voleva che lo leggessimo proprio come leggeremmo Blade Runner di Phil Dick. Di getto, come un giallo. E si da da fare a costruire una suspense. Vi immaginate Do androids dream of electric sheep? commentato con note  che spiegano il senso delle metafore o s'interrogano sui conflitti di coscienza che si mescolano nella testa degli androidi ribelli o le visioni della città del futuro e così via? Cestineremmo il libro subito. 

Interessante invece, a parere mio soffermarsi su Don Abbondio. 
Come ve lo figurate fisicamente? Se doveste fare un film a chi ne affidereste la parte?
Chi sarebbe capace di interpretare bene i suoi tratti, di vigliacco, codardo?
Quali aggettivi usa Manzoni per metterlo a fuoco? Quanti ne usa?
O piuttosto non descrive alcuni suoi moti interiori, il suo stato d'animo con altri mezzi, rifuggendo dagli aggettivi?
Quante metafore e quante figure retoriche ci sono nella sua presentazione al lettore?
E Perpetua? Che ha passato i quaranta e dice di non aver trovato partito mentre tutte le amiche dicono che nessuno se l'è sentita di imbarcarsela? Quale la migliore attrice per questo ruolo? Che ne dite di una Pupella Maggio?
E il dialogo tra i due?
E il sonno del curato?
E le riflessioni sul risveglio e l’amarezza che si prova quando si ha una brutta gatta da pelare nella giornata?
E la strategia scaltra e cialtrona che usa con Renzo? E l’uso furbesco del latino che il povero contadino non capisce?
E un vero pezzetto di merda in nostro Don Abbondio, non c'è che dire. Servile e codardo, diventa spavaldo con chi non è alla sua altezza. Approfitta del suo vantaggio senza alcun pudore.  
Nessuno mi leva da testa una certa somiglianza con il Fantozzi più codardo e cialtrone che ha inventato Paolo Villaggio. Verme nella vita ma  despota e dittatore tra le quattro mura di casa con quelle due anime perse della moglie e della figlia. 
Io credo che un attore straordinario nella parte di Don Abbondio sarebbe proprio Paolo Villaggio. 
Bravo Manzoni a descrivere, con pochi tratti, la vigliaccheria e la furbizia frodaiola di chi ha paura e non vuole mai affrontare la realtà e il pericolo. 
Quali parole sono, secondo voi, le più indicate nella caratterizzazione di questi sentimenti dell’animo di Don Abbondio?
Fatene un elenco. 
Sapete trovare dei sinonimi?
Consideratelo un esercizio. Non si quanto utile. Potrebbe servire per mettervi in presa diretta con il testo. Questo dipende solo da voi e da come lo fate.