Charlie Chaplin
di Giacomo Ricci
Rifletto sulla cultura e il fatto
che i nostri valori, e cioè le cose che per quelli della mia generazione hanno
un fondamentale interesse, siano perlopiù sconosciuti alle generazioni più
giovani.
E se glielo fai notare, non
capiscono di cosa tu stia parlando.
Per esempio Chaplin. Lo ignorano
e, a vederlo, non lo capiscono. Ma che? Il cinema può essere in bianco e nero?
E muto!? Roba preistorica.
Questi, in sintesi, i loro
pensieri.
Ci sono le eccezioni. Per esempio
con mio figlio, l’altro giorno abbiamo aperto una discussione – eravamo sostanzialmente
d’accordo, quindi si trattava di un elogio – su Peter Sellers di Hollywood party. E concordavamo che si
trattasse di un capolavoro.
Ma, in generale, stiamo tornando
indietro. O meglio, è la tecnologia a scagliarci indietro in epoche preistoriche
del linguaggio, facendo credere, però, di stare avanti.
Una situazione paradossale
d’ignoranza generalizzata.
Ma c’è un trucco. Quello di non farla comprendere come tale. E
allora viene il sospetto che si tratti di un’azione subdola di dominio sulle
nuove generazioni. Si tratta di imporre, senza che nessuno lo avverta come
tale, una condizione generalizzata d’indifferenza culturale. Le nuove
generazioni non hanno consapevolezza di aver perduto qualcosa d’importante.
Giochiamo a fare previsioni. Che cosa accadrà nel prossimo futuro?
Nulla. Ma a questa condizione d’intorpidimento
generalizzato si aggiunge una forte crisi economica che scuote, fin dalle
fondamenta, lo status quo.
Insomma c’è il rischio che il
progetto d’ intorpidimento fallisca.
Quali le prospettive? Che cosa
accadrà nel prossimo futuro? Come si ricrea un equilibrio in una situazione che
si sta capovolgendo?
Io azzardo una stupidaggine. Un
progetto positivo.
Che l’Italia del Sud si distacchi
da quella del Nord. Basta con questa falsa unità che è solo colonizzazione. Che
il Sud torni a una sua moneta e a un suo stato nazionale. Che si sanino le
ancestrali ingiustizie del Sud. Basandosi sull’arte, il paesaggio, le grandi
città, l’accoglienza intelligente, l’agricoltura biologica, il rispetto della
natura e dell’ambiente. E che tutto questo mondo straordinario ricreato diventi
merce da vendere con oculata intelligenza a visitatori che non ne possono più
dell’industrializzazione, dell’alienazione del lavoro, dell’inquinamento e dei
sottoprodotti inquinanti come realtà da digerire per forza, con malattie e
degrado ambientale.
Ogni capolavoro, ogni gemma e
cammeo della nostra collezione diventi oggetto prezioso da incorniciare e offrire
allo sguardo dell’attento visitatore.
Che la nostra dieta mediterranea
diventi nuovo Made in Italy autentico da consumare e da vendere. Che le nostre
spiagge tornino pulite e i nostri boschi rigogliosi.
Ci sono gli esempi.
E l’energia? Chiederà qualcuno.
Il solare, l’idroelettrico, l’eolico, le biomasse. E che non si sprechi energia
per auto a combustione. Ma si usino collegamenti elettrici, a batteria, a
acqua, a aria compressa. Tutte sperimentazioni che funzionano.
E’ questa una via obbligata.
Alternative non ce ne sono se non perseverare in un regime del capitalismo
competitivo per accumulare. Ma perché? Per qual fine? Accumulare ricchezze per
poi? Per poi perderle nei passaggi ereditari, nipoti, figli, compari e comari che non se ne
fottono un cazzo.
Un ritorno indietro intelligente,
modesto, aperto. Basato su un'agricoltura intelligente, di prodotti affidabili e certificati, liberi da schifezze, conservanti, coloranti, ogm e altre porcherie. Una tecnologia avanzata per la salute ma inesistente per beni
di consumo come mega automobili, treni superveloci, aeroplani che inquinano e
così via.
Sembrano i buoni propositi di un
cretino che non si confronta con la storia e il progresso. O, forse, che ha capito
che mai parola più nefanda fu coniata che non fosse quella di “progresso”. Una
maschera per nascondere la vera essenza del capitalismo, il “profitto”, a tutti
i costi, spietato, universale, arrogante, il vero imperativo categorico del “moderno”
e del suo significato.