di Claudio Cajati
Ogni
maschio, come negarlo?, vorrebbe avere come vicina di casa una ragazza giovane,
bella, simpatica, disponibile, invitante, da farci correre le fantasie più
sfrenate.
A me era invece
capitata Flora. Un fiore nato appassito. Mai mi ero veramente interessato di
lei, ma abitavamo in due appartamenti contigui. E così ci era capitato a volte
di affacciarci a due finestre molto vicine. Lei, col suo fare discreto e
timido, raramente si voltava verso di me: così mi era stato possibile studiare
bene il suo profilo. Il volto troppo lungo, la pelle pallidissima, gli occhi stretti
e spenti, il naso aquilino, le labbra sottili e smunte.
A volte mi
domandavo, dolorosamente, quale uomo potesse mai desiderare un giorno di farci
l’amore.
In seguito
ho scoperto che Flora fa la commessa in una profumeria. E’ una buona profumeria
e credo che è per questo che ci vado. Ma ogni volta cerco sempre di farmi
servire dall’altra commessa, Gaia, che è ubertosa, appetitosa, allegra. A Flora
intanto però mi sono affezionato. Provo per lei una dolce compassione.
A volte ci
capita di tornare di pomeriggio dai nostri lavori – la sua profumeria, il mio
studio di rappresentante – alla stessa ora. Vedere davanti a me quella figurina
fragile, quasi piallata, dal passo timido e indeciso e il capo quasi sempre
chino, mi stringe il cuore e, chissà come, vorrei fare qualcosa per lei.
Ma l’altro
giorno è stato diverso, incredibilmente diverso. Flora avanzava spavalda,
rigogliosa. Sembrava un fiore appena sbocciato, in tutta la sua turgida
pienezza.
Non era
truccata più del solito – praticamente non si trucca mai – non aveva messo dei
push up per accrescere i suoi piccoli seni quasi puberali, non aveva indossato
uno di quei jeans che tirano su e conformano piacevolmente i fondischiena.
Era pur
sempre Flora. Dovevo essere un bel po’ masochista: lei mi andava avanti, mi
faceva l’occhiolino e mi piegava l’indice invitandomi a seguirla. E io la
seguivo, obbedivo come un cagnolino, come un cagnolino ingenuo che obbedisce
senza sapere perché. Ci doveva essere in me una curiosità malata, non sostenuta
dal desiderio.
Ha aperto
porta di casa sua con un gesto fluido, suadente, mentre mi sorrideva di un
sorriso torbido e promettente che mai avevo conosciuto. La casa era tutta
profumata. Un profumo che mi spiazzava, mi stordiva, mi sopraffaceva.
“Entra” ha
bisbigliato. E si è avviata verso il salotto di cui subito ha abbassato le
luci, fin quasi a raggiungere il buio. Mentre io imbarazzato non sapevo che
fare, ho intuito che lei si stava lentamente spogliando. C’è stata una lunga
pausa. Ma poi, invece che il suo corpo ossuto, mi hanno raggiunto i suoi
polpastrelli tiepidi che si sono dedicati a percorrere dall’alto tutto il mio
corpo. Una lunga carezza estenuante.
Quindi ho
sentito nell’orecchio il suo fiato caldo e imperioso che mi incitava a
spogliarmi a mia volta. E, siccome stupidamente esitavo, l’ha fatto lei stessa,
toccandomi con sapienza nei punti più erogeni.
Senza
rendermi conto di come fosse avvenuto, mi sono trovato dentro di lei, risucchiato
in una voragine di delizia. Era veramente lei, la magrolina, piallata, dal naso
aquilino e i fianchi scarni, o il buio complice l’aveva trasformata in un’altra
creatura, ben più desiderabile, più erotica, travolgente? Ero forse vittima,
fortunata, di un prodigio?
Flora, o
chi lei era adesso, era insaziabile. Con carezze sapienti, con fiati caldi, con
frasette provocanti, tornava ogni volta all’assalto, faceva ricrescere in me la
libido, mi induceva a penetrarla più e più volte. Quel che non avrei mai
creduto possibile, eppure lei era riuscita a spingermi a tanto.
Ormai ero stremato.
Lei si divertiva a prendermi in giro: “Te l’aspettavi, eh, te l’aspettavi?”. Io
ho avuto appena la forza di mormorare: “No, in verità, devo confessare che non
me l’aspettavo.” E allora lei si divertiva ad infierire: “Ma non è finita qui,
mio caro, non è affatto finita qui: ad altre prodezze sei chiamato… non so se
hai capito che tipo di femmina sono io…” Mi veniva quasi da piagnucolare: “Ma
c’è un limite…” Al che lei ribatteva, torbida: “Ed è quello che stiamo cercando
in te: solo quando lo si raggiunge, lo si conosce.”
C’è voluto
ancora qualche disastroso amplesso per raggiungere il famoso limite.
Quando si
è rialzata e rivestita, nelle luci del soggiorno ho ritrovato quella figura
smilza, priva di forme esuberanti, gli occhi stretti come fessure stanche, il
naso minacciosamente aquilino, le labbra scarnificate e sottilissime, il
fondoschiena timido, i fianchi insufficientemente ampi. Una donna che mai mi
sarebbe venuta voglia di amare.
E davvero
mi è venuto il dubbio che il folle amore con Flora sia stato tutto un sogno. O
un fortunato sortilegio.