Un testo delizioso, scorrevole, immediato, divertente.
Cajati ripropone la rilettura di uno dei Santi più importanti ma spesso dimenticato. Costretto in un ruolo di perenne subalterno dalla sua stessa storia e dalle condizioni, diciamo così, imposte dal ... cielo.
San Giuseppe ha una trovata di genio. Inventa. Produce.
Una storia che potrebbe servirci, a suo modo, da esempio, in questo periodo di crisi.
Se le condizioni al contorno sono quelle che sono trasformiamo le nostre limitazioni in spunti per la creatività.
Et voilà: ecco a voi la creazione niente male di San Giuseppe: le zeppole!
E dite che non si tratta di una bella creazione ...
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San Giuseppe, cuoco
di Claudio Cajati
Avevo bisogno di un
riscatto perché troppi si erano divertiti alle mie spalle, da troppo tempo. Ero
diventato lo zimbello del paese, e nessuno mi rispettava, né come marito né
come falegname. Mi ero ridotto a stare rintanato nella mia bottega e, quando proprio
non potevo fare a meno di uscire per strada, strisciavo lungo i muri coprendomi
il volto nella speranza di non essere riconosciuto, di risparmiarmi i commenti
sarcastici della gente. Maria era tutta concentrata sulla sua gravidanza e, pur
volendomi bene, non si curava di me. A volte si sentiva stanca ed anche
stressata per l’incredibile responsabilità che era caduta sulle sue fragili
spalle.
Capitò che un
giorno non ce la faceva proprio a mettersi a cucinare, e così ci
pensai io. Ai fornelli me l’ero sempre cavata, dimostrando non solo disciplina
e misura, ma anche una certa inventiva. Niente di eccezionale, comunque, solo
qualche variante riuscita alle solite ricette.
Ma quel giorno mi rivelai
in uno stato di grazia. Dopo aver preparato il pranzo e desinato con
Maria, non potei andare in camera a schiacciare il solito pisolino. Una forza
superiore – non voglio dire di più, e non uso le maiuscole per non prestare il
fianco a nuove malignità – una forza superiore, dunque, mi tirò di nuovo in
cucina. Gli ingredienti erano ordinari: farina, uova, acqua; quelli impiegati
tante volte per preparare pietanze ormai scontate. Ora, invece, sotto le mie
mani freneticamente sicure, sotto i miei occhi stupefatti, si combinavano in
maniera nuova. Ci vollero pochi minuti. Alla fine, dalla padella venne fuori
una ciambella soffice e profumata che senza esitazione spolverai
abbondantemente di zucchero a velo.
Non so come, ma avevo
inventato la zeppola.
Il tempo passava veloce.
Gesù, ormai grande, aveva cominciato a fare, ora qua ora là, i suoi
miracoli. Io li facevo in cucina. Nel senso che perfezionavo man mano
la ricetta della zeppola: non solo il dosaggio degli ingredienti, ma la temperatura
a cui portare l’olio, i tempi della frittura. Ed altri segreti che,
naturalmente, non sto qui a rivelare.
Ormai la fama delle
zeppole di Giuseppe si era sparsa nel paese. Tutti venivano a bussare per
poterne assaggiare almeno una. Gesù moltiplicava i pani e i pesci, con i suoi
potenti mezzi; io dovevo moltiplicare le zeppole, con i miei poveri mezzi.
Avevo il mio da fare, ed anche le mie spese. Per cui decisi di farmi
pagare qualche moneta, un’offerta a piacere. Esclusi, naturalmente,
i fanciulli, i poveri, i tribolati, a cui le donavo con grande gioia.
Dovevo perfino placare i bisticci, se non proprio le risse, che a volte
scoppiavano fra il pubblico in attesa davanti alla mia bancarella
(L’avevo messa su, con la scritta: “Da Giuseppe”, per fronteggiare in
strada la crescente richiesta, ed evitare di trovarmi una folla brulicante
dentro casa.)
“Lasciate che
i fanciulli vengano a me” aveva detto Gesù. Quando qualche prepotente
davanti alla mia bancarella si faceva largo a forza alle spese di qualche
bambino o ragazzo, io proclamavo: “Lasciate che i fanciulli vengano
alle mie zeppole”. E subito, per riflesso di ben altra autorità, a sentire
quella frase tutti mi obbedivano.
Fu così, credo, che
meritai il titolo di santo. Ma, sulla scritta sopra la bancarella, lasciai
semplicemente “Da Giuseppe”. Non era il titolo a fare la differenza, ma il
sapore delle mie zeppole, fatte secondo una ricetta che molti hanno tentato di
imitare. O, addirittura, di migliorare.
L’umanità è fantasiosa
e, ancor più, smaniosa. Molte varianti sono state introdotte a partire
dalla mia invenzione. C’è chi usa il burro e chi la sugna, chi impiega fra
gli ingredienti le patate e chi no, chi ha creato un falso storico aggiungendo
crema pasticcera e amarene, chi ha sostituito le amarene con le
ciliegie, chi sostiene che lo zucchero non deve essere spolverato a velo, chi
crede di fare delle zeppole e fa solo dei bignè. Devo dire che la mia ricetta
originale, nella sua divina semplicità, rimane chiaramente insuperata.
E siccome qui, in
paradiso, non ho più possibilità di tenere la mia cucina e la mia bancarella
(qui non ci sono golosi), ogni 19 marzo mi tocca affacciarmi a guardare sulla
Terra e fare il tifo per chi le zeppole le sa fare come si deve.
Diciamo, quasi buone come le mie.
Lo so, c’è ancora oggi chi
osa continuare a denigrarmi, a farmi oggetto di una facile
irrisione. Ma io non mi scompongo, non raccolgo le provocazioni. Mi
basta consolarmi con tutti i buongustai e i golosi del mondo che, quando si
deliziano con una zeppola doc, pensano con rispetto e riconoscenza a chi la
inventò. Il loro benedetto San Giuseppe cuoco.
Claudio Cajati (Napoli, 1947),
architetto, già ricercatore e docente alla Facoltà di Architettura di Napoli,
animalista egattomane, ha pubblicato due romanzi per ragazzi, Testafina e Pallina
mia blu, i romanzi Le parole del corpo e La
convergenza, la raccolta di racconti In prima persona, e vari
racconti fra cui quelli, intitolati Una monade in condominio,
scritti a 4 mani con Lucilla Actilio. Nel 1992 ha vinto con
“Look definitivi” il Premio Teramo per un racconto inedito (6 milioni di lire).
Per questa collana ha
già pubblicato lo smartphoneconto n.1
Claudio Cajati, Le formiche