Una nota "piccante" di Gregorio Rubino sullo smartphoneconto di Giacomo Ricci, Una visita al museo
Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro, La morte di don Peppe Carafa
di Gregorio Rubino
Per i numerosi crimini impuniti,
Don Peppe Carafa, fratello del Duca di Maddaloni, era certamente fra i nobili
napoletani più invisi nella rivolta di Masaniello (1647). Sfuggito alla ferocia
popolare in Piazza Mercato e riparato precariamente in Santa Maria la Nova, fu
più tardi agguantato e ucciso per strada durante un tentativo di fuga ed il
tragico episodio rimase poi nel celebre quadro di Micco Spadaro, oggi a San
Martino. La notizia della morte violenta del Carafa, suscitò “terrore”, dicono
le cronache e sappiamo che l'anno seguente il “Praepositus generalis” della
Compagnia di Gesù, Vincenzo Carafa, stretto consanguineo del defunto, fondò a
Roma la cosiddetta “Congregazione della Bona Mors”, che ebbe dappertutto
un successo strepitoso. L'ispirazione, che ridava vigore ad un noto trattato
del Bellarmino (De arte bene moriendi, 1620), era di prepararsi alla
morte attraverso l'esercizio delle virtù teologali e morali e merito della
Congregazione fu la codifica e la diffusione di una pratica quotidiana di
esercizi spirituali, ai quali aderì anche Gian Lorenzo Bernini.
A questo punto però dobbiamo
chiederci perché la morte del Carafa sparse il terrore e se esiste un nesso
preciso -come tutto lascia pensare- fra l'episodio napoletano e la fortuna
della Congregazione romana. Teniamo presente che in quei tempi tutta la classe
dirigente europea (diciamo così) aveva i suoi carichi pendenti e che la morte
violenta era un fatto di ordinaria amministrazione. Possiamo pertanto immaginare
che l'uccisione del Carafa fu così repentina, che il poveretto non ebbe il
tempo di pentirsi in articulo mortis, con la conseguente certezza che la
sua anima avrebbe bruciato all'inferno. E dunque ci chiediamo: le modalità
dell'esecuzione furono casuali o invece minacciate come tali e diffuse coram
populo prima e dopo il fatto? Quale maggiore punizione che la morte eterna
dell'anima! Le fonti tacciono pietose su questo particolare, ma se il Carafa
non si comunicò in Santa Maria la Nova, prima di uscire temerariamente per
strada, fu doppiamente imprudente. Perché due erano i fondamentali del tempo:
la fame per i poveri e la paura della dannazione per i ricchi. Nel Seicento non
si scherzava con queste cose, andarsene senza viatico era un rischio che pochi
potevano permettersi e meno che mai Don Peppe ed i suoi simili. E' solo una
ipotesi fantasiosa, ma ci aiuta a capire molte cose.