Come scrivere un giallo napoletano, è il titolo di un interessante
manualetto, scritto da Massimo Siviero nel 2003.
A
me interessa parlarne ora per almeno un paio di buoni motivi. Il primo è che
Siviero è anche autore, tra le altre cose, di un recentissimo romanzo dal
titolo Caponapoli. Intrighi e delitti
sotto il Vesuvio (giallo Mondadori n.° 3055, del 2012), giallo che, come
recita il sottotitolo, è esplicitamente opera illuminata dal sole napoletano e
nascosta dall’ombra del vulcano più temuto degli ultimi anni. Ma la circostanza
interessante è che si tratta di libro in formato digitale, un ebook quindi, che
ho acquistato da una mezzora circa, da Amazon.
Già
tutto quello che finora ho detto rappresenta una specie di rivoluzione direi
doppia. Per primo perché si tratta di un genere particolare che potremmo
definire, per l’appunto, “giallo napoletano” che viene ufficialmente ospitato
in una delle collane più prestigiose di letteratura popolare e di genere, il giallo Mondadori, da cui ha preso proprio l'appellativo di "giallo".
Il che
rappresenta un vero e proprio avvenimento epocale, di alto significato. E si
tratta di definizione importante e intrigante che spiega anche il mio incipit,
sul quale tornerò tra poco.
E
poi perché inaugura una procedura che
molti come me vanno predicando da tempo: il ricorso al formato digitale, almeno
per la letteratura più “svelta” ed estiva per così dire, quella destinata cioè
ad accompagnarci dappertutto, in spiaggia, nelle camere d’albergo, al bar, su
una panchina di fronte al mare quando si fa sera. Un ricorso all’uso delle nuove
tecnologie nella letteratura cosiddetta di “consumo” che, poco da fare, appare
immediatamente razionale, efficiente, innovativo.
Non
ultime, poi, le agevolazioni economico-funzionali che un tipo di scelta simile
comporta: a cominciare dal prezzo, 2,90 euro al posto dei soliti 12-17 euro per
un giallo in formato cartaceo. Una differenza nient'affatto di poco conto.
Taccio
di tutto il resto. Cioè del mio lettore Kindle sul quale il libro si è installato
in una manciata di secondi, la leggibilità (per me che sono assolutamente
cecato) dovuta all’e-ink, alla scalabilità dei caratteri e dei font e, non
ultime, le dimensioni fisiche del lettore: 16,5 x 11,5 centimetri, un peso di
circa due etti e un quantitativo di libri attualmente immagazzinati pari a 250 (dal Don Chisciotte, la Recerce di Proust, le Memorie di Adriano della Yourcenar,
alle Avventure di Sherlock Holmes, se
si eccettuano i testi scientifici) con una potenzialità di immagazzinare
perlomeno 1500 testi, e un consumo con una batteria che si ricarica ogni 25-30 giorni con uso intensivo. Lo stesso
quantitativo di libri corrisponde a circa un sesto nella mia libreria cartacea
che occupa circa 100 mq di spazio, con
librerie, polvere, e tarme da combattere e incubo trasloco – anche solo da
stanza a stanza.
Aggiungo
– e qui smetto – che i 1500 libri me li porto appresso e pesano sempre circa
due etti e posso leggerli come voglio e
dove voglio, al sole, alla luce di una lampada, proprio come si trattasse di un
libro cartaceo e, se sono stanco di leggere,
è lo stesso lettore a leggermeli alla velocità e con la voce che più
desidero. Magari quella suadente e calda di una giovane donna. Se non altro rilassante.
E
torno all’inizio. Come scrivere un giallo
napoletano è testo interessante perché, come il titolo stesso suggerisce,
presuppone l’individuazione e l’esistenza
di una letteratura che possa definirsi,
con sufficiente certezza, “gialla” e
“napoletana”.
Alla
ricerca efficace e condivisibile di questa definizione è dunque indirizzato il
lavoro di Siviero che ne traccia la nascita e le caratteristiche salienti.
“Il
giallo napoletano – scrive Siviero – è caratterizzato non soltanto da elementi
geografici. Non vanno trascurate le differenze storiche, antropologiche,
linguistiche, sociali, psicologiche, topografiche e ambientali”.
Ma
si ha di più. Perché un’opera così congegnata, travalicando la cronaca, sempre presente a Napoli in maniera prepotente, sembra funzionare molto bene soprattutto sul
piano generale e delle invarianti strutturali della cultura napoletana che
riesce a individuare e mettere a fuoco.
“In una realtà gotica e solare,
esoterica e folcloristica, fatalista e razionale, il racconto nel segno del
mistero è capace di spiegare”, infatti, le singolari contraddizioni che da sempre
caratterizzano la storia e le vicende locali.
La
nascita del giallo napoletano, prosegue Siviero, è da rintracciarsi soprattutto nel vecchio
romanzo d’appendice.
E
individua il primo autore di un giallo napoletano, fondato cioè sulle
caratteristiche specifiche della città di Napoli e le sue origini
antropologiche, per così dire. L’autore è, secondo Siviero, Francesco
Mastriani, con in suoi La cieca di
Sorrento e, soprattutto, Il mio cadavere.
Questa
considerazione non è di poco conto, perché permette di stabilire anche, con
sufficiente certezza, la data di nascita del giallo all’italiana e, per la
precisione, la sua natura napoletana.
“Rimane
il dato storico e oggettivo che consente … di definire la primogenitura
partenopea sulle origini del thriller in Italia” afferma Siviero.
Cosa,
questa, di non secondaria importanza. Il mio cadavere di Mastriani, è giallo
di tipo “psicologico” che presenta non pochi elementi definibili oggi con
l’aggettivo horror.
Come
bene si comprende questo dato stabilisce un inizio, una vera e propria
genealogia per il genere “giallo napoletano”, provvisto di sue specifiche
caratteristiche stilistico-strutturali in cui abbondano elementi “grotteschi e
barocchi”.
Autori
che resero denso di opere e significati questo filone sono Ranieri, il già
citato Mastriani, Matilde Serao (magistrale la sua La mano tagliata) e infine lo stesso Salvatore Di Giacomo.
A
questi, che possono esser definiti i
padri fondatori, per così dire, si aggiungono, in tempi più recenti, scrittori come Attilio Veraldi, Giuseppe Ferrandino, Salvatore Piscicelli, Peppe
Lanzetta, Michele Serio, Luciano Scateni, Antonio Forni, Bruno Coppola, Nicola
Quartano, Vincenzo De Falco, Diana Lama, Gaetano Montefusco, Luigi Massa.
Ma
si può parlare di uno specifico valore del giallo napoletano? E se sì in che cosa consiste questo valore?
“Il
giallo napoletano – scrive Siviero – s’inserisce tra il romanzo sociale, la
commedia e il dramma”.
E
qui ci vuol poco a leggere le
caratteristiche di fondo della cultura napoletana, letteraria e, soprattutto,
teatrale. Viene subito in mente Eduardo e le sue commedie più cupe, come Le voci di dentro, dove il mistero, proprio
di natura gialla, viene a configurarsi in una trama che gira intorno ad un oscuro delitto, sfuggente e inesistente, ma non per questo meno oppressivo e presente nell'animo dei protagonisti della storia che ne sono profondamente turbati anche se del delitto, e soprattutto del presunto morto, non si riescono a rintracciare le prove. Perchè, poi, come presto si scoprirà, il delitto non c'è stato. Ma tutti credono che sia accaduto veramente. E questo permette ai pensieri più reconditi e nefandi di venire alla luce e ognuno sospetta dell'altro, ognuno è pronto alla dannazione pur di scaricare tutto l'odio represso che prova per il suo simile, per il suo compagno di viaggio in questa vita. Ed è la vita che si scopre nel suo orrore banale di ogni giorno.
Il mistero si svela, infatti, con le orribili fattezze-turpitudini del vivere quotidiano e “normale”, dove il delitto, per quanto immondo, blasfemo e contronatura è sempre presente e praticabile, oltre ogni impedimento etico, per “aiutare” l’animo dell’uomo qualunque a sciogliere nodi e contraddizioni che si aggirano negli abissi dell’anima disperata e sola della modernità antica del popolo napoletano.
In ognuno alberga un mostro assetato di sangue, di vendetta e di odio cieco e furiosamente represso.
Il mistero si svela, infatti, con le orribili fattezze-turpitudini del vivere quotidiano e “normale”, dove il delitto, per quanto immondo, blasfemo e contronatura è sempre presente e praticabile, oltre ogni impedimento etico, per “aiutare” l’animo dell’uomo qualunque a sciogliere nodi e contraddizioni che si aggirano negli abissi dell’anima disperata e sola della modernità antica del popolo napoletano.
In ognuno alberga un mostro assetato di sangue, di vendetta e di odio cieco e furiosamente represso.
Napoli,
scrive Siviero, è città di “tufo e di zolfo” e se l’espressione giallo non
fosse esistita, l’avrebbero inventata i napoletani.
E
c’è da dire di più. Il giallo napoletano, per tutto quello che s'è detto, non rappresenta una
letteratura d’evasione come si sarebbe portati a credere, ma “d’invasione”
delle coscienze. E’ un vero e proprio catalizzatore che sbatte il lettore di
fronte alle responsabilità della vita civile e delle sue profonde incongruenze
che, in questa metropoli, non tardano ad assumere fattezze metafisiche e da
incubo.
“Il
thriller calato in una metropoli così densa d’umori, diventa per sua natura un
romanzo diverso, ambientato con colore e calore nei meandri della casbah
neapolitana. Di questa topografia bisogna saper dare un ritratto originale e
veritiero, dal di dentro”.
Interessante
e profonda l’operazione critico-ricostruttiva di Siviero, possiamo dire. Perché
di un genere identifica la genealogia, l’ambientazione culturale
(geo-antropologica) e gli obbiettivi. E che altro ci vuol più per definire non
un genere, ma un’area culturale identificata nelle sue possibilità di progetto
e nel suo statuto culturale di impegno?
Nel
prossimo intervento mi propongo di discutere del giallo Caponapoli.