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ebook di ArchigraficA

sabato 3 maggio 2014

Primo maggio

Stamattina, primo maggio, ero nel parcheggio vicino casa mia. 
Sapete che vivo in Costiera. Ma non sapete la bellezza del parcheggio. S'affaccia verso il mare e la linea d'orizzonte. 
L'infinito si apre ai vostri occhi. La stessa prospettiva che vedo da casa mia e dal mio studio.
Nel parcheggio c'erano un certo numero di macchine.
Di solito, nei giorni feriali, il parcheggio è vuoto. Ci sono solo la mia auto e quella di mia moglie. Due caccavelle per età e per condizioni di carrozzeria.
Oggi c'erano macchinette niente male. Una cabriolet wolkswagen, una punto ultimo grido, una cinquecento nera ultimo modello, una smart fiammante, una mercedes. Insomma macchine “giovanili” per un pubblico giovane.
E poi lo vedo. Sta preparando l'auto per andarsene. Giovane, sui trentadue, capello nero corvino, liscio, pettinato per bene con onda ribelle sulla fronte con fila quasi in mezzo, camicia di seta, collo aperto e viso riposato, sbarbato alla perfezione, occhiali che fanno tanto intellettuale, maglioncino di cachemire (autentico si vede da lontano, lo riconosco pure io che sono un broccolo in specialità di abbigliamento), pantalone leggermente largo, senza piega, di panno, che dentro ti senti come se stessi ancora sotto coperte morbide (anche queste di cachemire).
Ma la scarpa ah, la scarpa! Una Vuitton, a dir poco. Solida, morbida, affusolata, elegante. Il design di un’auto di lusso. Una perfezione. Se pure avete i piedi storti, lì calzati, si addirizzano, quasi per magia. Insomma, il giovanotto ha addosso, a dir poco, intorno ai milleduecento euro di abbigliamento. E poi viene lei. A guardarla in faccia non è chissà che di nbellezza. Ma l’apparato che indossa è davvero straordinario.
Il prototipo dei turisti in Costiera di questi tempi.
Pronti a tuffarsi nel mondo, un mondo da bere, disegnato apposta per loro due.
Guardo il male splendido azzurro, infinito.
«Oggi è festa. E' il primo maggio» penso.
Un attimo in silenzio attraversa la mia testa mortificata e vecchia.
I due sono montati sull’auto. Lui l’avvia. Il motore docile si accende e fruscia silenzioso. Come un calabrone che leggero se ne va di fiore in fiore. Fa retromarcia, gira il volante e mette la prima. Poi si avvia sulla salita. Verso la statale.
Mi pèassano davanti.
Sono riposati, felici, soddisfatti.
Hanno bevuto la loro aria di costiera. Il loro diritto su questa terra.
Mentre se ne vanno, non so come e perché, più forte di me e della mia educazione mi corre per testa un chitemmuorto.
Un chitemmuorto stracciato a forza dall’anima inquieta. Che scorre per la pelle come una punta infuocata. Che striscia fuori dai denti che si sono stretti per impedire che un urlo venisse fuori dal mio petto.
Poi, mi dico, sono invidioso. Sono vecchio. Non ho le loro possibilità economiche.
Ci penso.
No, mi dico. Non è questo.
E' perché oggi è il primo di maggio.
Festa del lavoro. E dei lavoratori.
Ma festa è sbagliato come termine.
Il primo maggio, mi ricordo, ha un significato tragico. L'ho saputo fin da piccolo. Me lo ha raccontato la gente di partito. Quelli che da giovane frequentavo. Quelli come Giovanna Daffini con cui ho avuto l'onore di cantare. In coro. Tutti sul palcoscenico a urlare con quanto fiato avevamo in gola:
«O padrone non lo fare
siamo in pochi a ricordare
ma è per farla scomparire
la maledetta proprietà»
E ricordo che il primo di maggio del 1867 ci fu una manifestazione per celebrare l'introduzione della giornata lavorativa di otto ore. A Chicago venne organizzata una manifestazione per ricordare una manifestazione operaia repressa nel sangue. I poliziotti di Chicago avevano sparato contro gli operai in piazza, causando quattro morti. E poi spararono sulla folla. Da qui si ebbe una repressione feroce che finì con la condanna a morte di otto anarchici. Sei furono impiccati e due graziati all’ergastolo.
Il primo di maggio si è sempre scesi in piazza per ricordare il sacrificio di quelli che hanno combatutto per il lavoro e per i diritti civili. E soprattutto quelli che sono morti.
Ma oggi, che il lavoro giovanile in Italia (dati istat) è al 50%, cioè su due un giovane non lavora, la festa del lavoro assume un significato ancora più drammatico.
Ora capite il mio chitemmuorto.
Quello che ho visto stamattina, ma come tanti che frequentano la costiera in questi periodi, apparteneva all'altra metà dei giovani italiani, quelli che lavorano.
La filosofia che regna in questo nostro mondo contemporaneo è quella del totale disincanto, della morte di tutte le religioni, di tutte le ideologie, di tutte le idee.
Tutto è morto. Questa vita è l’unica che abbiamo.
Questo quello che tutti pensiamo.
Non ce ne sono altre.
Allora si salvi chi può. Chi può l’afferri a sorsate piene, alla faccia di tutti gli altri. Anzi ne gode. E così mi do da fare per il mio maglioncino di cachemire, la mia ragazza con gioielli, le mie scarpe da trecento euro, il mio pantalone di panno. Tutto diventa più gustoso e esclusivo se l'altra metà dei giovani non se la può permettere. Diventa, come si dice, «esclusivo», un bene di lusso che esclude gli altri. Tutti gli altri.
Siamo un po’ come il re che permetteva ai pezzenti di vedere come lui mangiava.
E la povera gente ne aveva il privilegio, facendo la “sputazzella” come si diceva, facendosi venire l’acquolina in bocca. Ma alla fine contenta perché il re s’era mostrato.
E io, lancio il mio chitemmuorto convinto. Alla faccia di un partito che non fa più il suo dovere, che non è più dalla parte dei lavoratori, e idealmente mi metto a cantare di nuovo sottobraccio a Giovanna Daffini da un lato e al suo carissimo marito Carpo, dall'altro.
Dai Giovanna attacca con la tua chitarra popolare e squillante. Dai Carpo fai sentire il tuo gentile violino quando s'incazza e cantiamo tutti in coro:
«Compagni avanti il gran partito
noi siamo dei lavoratori,
rosso in petto un fiore c'è fiorito
e una fede c'è nata in cuor.
Noi non siam più nell'officina,
dentro i campi di terra e mar,
nè plebe sempre all'opra china
senza ideali in cui lottar.
Su lottiam l'ideale nostra fede sarà
l'internazionale futura umanità…»
Altro che globalizzazione. Noi siamo internazionalisti perchè non abbiamo più nulla da perdere ma un mondo da guadagnare.
Chitemmuorto!