di Giacomo Ricci
Di
mattina, quando non ho cose importanti da fare, dedico parte del mio tempo alla
lettura di un giallo che fino a quel momento non ho mai letto.
Stamane
è toccato a Poirot non sbaglia di
Agatha Christie.
C’è una
pagina che vorrei voi leggeste assieme a me. La trovo deliziosa. Ne vale la
pena. Ve la trascrivo:
“«Il
dottor Morley?» chiese Hercule Poirot. Nel suo intimo covava la ridicola
speranza che Morley fosse assente, malato, o che quel giorno non ricevesse. Ma
il ragazzo si trasse in disparte, Hercule entrò, e la porta si richiuse alle
sue spalle. Pesante come il Destino.
«Il
vostro nome, signore, per cortesia?»
Poirot
lo declinò e passò nella sala d'aspetto, una stanza ammobiliata con gusto, ma
che gli parve infinitamente cupa.
C'era
già in attesa un cliente, dal portamento militare, pallido e con i baffi
arroganti. Sbirciò Poirot come se si trattasse di un insetto nocivo. Si sarebbe
detto che rimpiangesse di non aver indosso, non già una rivoltella, ma una
scatola di polvere insetticida. Poirot lo squadrò con disprezzo e pensò che ci
sono delle persone tanto sgradevoli e tanto ridicole che sarebbe un’ottima cosa
sopprimerle fin dalla nascita.
Il
signore s’impossessò del «Times», girò la propria poltrona in modo da non
vedere Poirot e si mise a leggere. Poirot aprì il «Punch».
Il
ragazzo apparve sulla soglia e chiamò il colonnello Arrowbumby. Il signore si
alzò e uscì.
Poirot
stava riflettendo sul grottesco cognome, quando la porta si aprì per lasciare
passare un uomo sulla trentina.
Poirot,
mentre il nuovo venuto prendeva dal tavolo una rivista, l'esaminò di sottecchi.
Non gli riusciva simpatico.
Anzi,
gli parve un tipo pericoloso. “Non mi stupirei affatto” pensò “se si trattasse
di un assassino”.
Ecco. Questo è il giallo da maestro. Perché non è
importante se avverrà un omicidio, magari chi lo commetterà, e se Poirot
riuscirà a scovare l’assassino. Sono tutte attese, per così dire, del lettore
che saranno ampiamente soddisfatte. Ci si può giurare. Poirot con il suo fiuto
perseguiterà il malcapitato delinquente e lo assicurerà alla giustizia. E il
percorso per arrivarci sarà più o meno accidentato per placare la libido, un
tantinello distorta, del lettore e
lasciarlo soddisfatto per la prova d’intelligenza del sempreverde ometto dalla
testa d’uovo e delle sue piccole “cellule grigie” all’azione.
Tutte cose scontate, queste.
Ma quelle che tali non sono e che deliziano i miei
gusti sono quella porta che “pesante come il Destino” si chiude alle spalle di
Poirot perché il nostro eroe non gradisce affatto che il dentista se ne stia a
frugare nella sua bocca e a propinargli una buona dose di dolore e fastidio.
Anche
l’atteggiamento infantile e irrazionale di Poirot che spera in un colpo di fortuna
assolutamente irrazionale e, diciamolo pure, surreale che il dottore non ci sia
e lui se ne possa tornare a casa, con la coscienza tranquilla perché dal
dottore c’è andato come la sua ragione pretendeva che facesse, ma gongolante
per il fatto che un imprevisto gli abbia
rimandato lo sgradevole compito.
Quanti
di noi, in condizioni simili, non avrebbero pensato lo stesso? Ad esempio, un’interrogazione
scolastica nella quale il professore ci avrebbe smaferato perché non sapevamo
una mazza. E, lo ricordate?, ci nascondevamo dietro il compagno più grosso al
banco davanti a noi, per sparire alla vista dello sguardo indagatore del prof
alla ricerca della sua vittima, con gli occhi caini proiettati tra i banchi per
trovare gli occhi più spauriti e colpire implacabile, come un’improvvisa
scarica di cacarella su di un pullman in pieno traffico, senza speranza di
arrivare a casa e liberarsi per le prossime due ore?
No. Non
c’è speranza per Poirot, naturalmente. La porta del dentista si chiude alle sue
spalle pesante come un Destino. Anche quest’immagine è mondiale, revoca
atmosfere bibliche, dantesche. Come quel “Lasciate ogni speranza o voi
ch’entrate” che l’Alighieri mise ad epitaffio del regno di Lucifero e che
Poirot sente inconsciamente martellare nella sua testa.
Na com’è
la gente in una saletta d’attesa di un dentista? Come ve l’immaginate?
Non c’è
dubbio. Non si può trattare che di un’umanità disperata e in preda ai
sentimenti d’odio più feroci per il suo prossimo, vista la sorte che l’attende
dietro la porta che separa la saletta dal gabinetto del dentista.
Il tal personaggio,
un militare che poi più avanti sappiamo essere il colonnello Arrowbumby
– il cui nome è già tutto un programma “arrow” = freccia e bum = culo per cui bumby può voler dire
“culoso”, che ci spinge a tradurre il cogmome con un “Freccia nel culo” - è davvero odioso.
Di quell’odio immediato, istintivo, irrazionale,
inconscio e, per questa sua totale gratuità, ancor più irritante e stizzoso.
Il personaggio, che se ne sta incazzato nero per la
sorte che lo aspetta di lì a poco, osserva con altrettanto odio e disprezzo il
nuovo venuto, Poirot. I suoi baffi sono “arroganti”. Che alcuni baffi lo siano
è un luogo comune. Il baffo può essere di svariata natura, da quelli di topo, a
quelli vanesii dei dandies, a quelli imponenti, a spazzola dei prepotenti, a quelli arroganti, per l’appunto che sembrano
dire “Toglietevi davanti che passo io”.
Mi viene in mente don Diomede Carafa, nemico
storico, accertato, viscerale e predestinato di Masaniello, camorrista ante
litteram, prepotente, irriverente, arrogantissimo e delinquente che, per
l’appunto, tutti soprannominarono mustacchio.
Agatha va, però oltre. L’arroganza del colonnello
arriva al punto che desidera avere al posto della sua pistola d’ordinanza una
bomboletta d’insetticida per far fuori il nuovo venuto.
Siccome, anche se in un’opera d’invenzione, le
regole della buona cortesia e convivenza civile vanno rispettate i due si
limitano ad ignorarsi e per farlo meglio si trincerano dietro i giornali
spiegati, il «Times» uno e il «Punch» l’altro. Io non lo so, ma si può giurare
che, all’epoca, si doveva trattare di due testate giornalistiche in concorrenza
e contraddizione tra oro. E così il quadro è completo.
Dite, non trovate deliziosa questa pagina? Altro
che giallo. La maestria della nostra amica Agathe è proprio in tutta
quest’atmosfera di non detto, di queste derive al testo che gli scorrono
accanto alla pagina e che ci
predispongono a passare una buona giornata.
Grazie Agatha e grazie anche a voi che siete
riusciti a leggermi fino alla fine.
Buona giornata.