Copertina di Kobane Calling
Kobane calling di Zerocalcare
alla fine mi ha commosso. Come mi commuoveva il canto di Giovanna Daffini, che
nessuno delle generazioni più giovani si può ricordare, quando celebrava la
resistenza, la passione politica, la lotta, il coraggio, accompagnandosi con la
chitarra e seguita dal violino del marito Carpo.
Il racconto, disegnato con quel
suo solito stile minimalista-postpunk, ti prende al cuore e ti fa capire oggi come persistano e si articolino
l’impegno politico e la lotta per le idee.
Perché è un fumetto, ma sarebbe
meglio dire un racconto, un’opera letteraria compiuta, per linguaggio e impegno,
che riapre la passione politica, quando questa parola, qui da noi, è diventata
sinonimo di strafottenza, faccia tosta, nefandezza, fellonia, opportunismo,
ingordigia, voglia di accaparrare tutto l’accaparrabile. Perpetrando, forse, il
furto più ignobile che si possa compiere contro i giovani, derubandoli di ogni
forma di speranza, di ogni utopia praticabile che porti verso un futuro equo,
ragionevole, sereno.
I segni di Michele Rech riaprono
le ragioni profonde della passione politica, un bene del quale le giovani
generazioni sembravano definitivamente spossessate.
Quella stessa passione che
portava, noi del Sessantotto, da giovanissimi insieme a tanti altri, a cantare a
squarciagola l’Internazionale:
«Su cantiam l’ideale
Nostra fede sarà
L’internazionale,
Futura umanità…»
Quell’inno che voleva unire
popoli lontani per etnia, storia, tradizione, ma che diventavano una cosa sola,
una compagine internazionale, per l’appunto, quando scendevano in campo contro ogni forma di oppressione e di
barbarie.
La barbarie che uccide, decapita,
stupra, flagella, mette in croce nel nome di un’assurdità che si chiama
religione, ma che tale non è.
Giovanna Daffini cantava la libertà
di un popolo contro l’oppressione nazifascista.
Michele Rech, alias Zerocalcare, canta, con il suo linguaggio di ragazzo
della porta accanto, disinvolto, semplice, con segni grafici elementari e
univoci, la libertà di un popolo, di un’idea che ci fa fratelli al di là del
tempo, delle generazioni, della cultura e della geografia. Siamo noi di allora
e loro di oggi a cantare assieme la “resistenza”.
Un’immagine emblematica chiude Kobane Calling, un primissimo piano di
due occhi seri, accesi, determinati e una frase: «…Da qui non si passerà».
E questo ci fa capire che quei
sentimenti non sono tramontati come ci vogliono far credere con le loro
polpette di merda tv.
Zerocalcare, lo abbiamo imparato
leggendo gli altri libri di cui è protagonista, è personaggio che lotta nell’assurdità del
quotidiano contemporaneo e tenta di infilare pezzi di significato nel vuoto che
circonda le nuove generazioni, cioè di tutti coloro che sono stati scartati,
fin dall’inizio, messi da parte, colpiti dal vero male della società moderna.
Che è, come in pieno Ottocento, ricordiamocelo semmai ce lo fossimo
dimenticati, l’accumulazione e l’ingordigia senza fine dei “capitalisti”
contemporanei disposti a distruggere la vita, fagocitare in un sol morso tutto
il pianeta, rendere in schiavitù i loro simili.
La lotta di Zerocalcare è piena
di dubbi, riflessioni, vuoti, sbandamenti, ricordi, affetti, luoghi comuni,
tutte cose, cioè, che entrano di diritto nel percorso di formazione di un ragazzo quando cresce troppo
in fretta, quando si pone domande su quello che gli accade attorno e cerca
risposte comprensibili. E spesso non ne trova.
E questo ci accomuna.
E allora cantiamo ancora le
parole de L’internazionale con
Giovanna Daffini, a squarciagola. In modo che tutti possano sentire. In ogni
angolo della terra.
Giovanna Daffini