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ebook di ArchigraficA

giovedì 7 novembre 2013

Una specie di Utopia

Ferdinando IV di Borbone Re delle due Sicilie

di Giacomo Ricci

Voglio raccontarvi in breve la mia utopia. Non credo che sarete d’accordo. Allora mi aspetto il silenzio. Fa nulla. Avrò detto come la penso.
Alla fine credo che noi si sia, niente più e niente meno, che in una fase di completa decadenza di una civiltà. Che potrà durare un tempo abbastanza lungo. La speranza è che, mentre un nuovo ordine si vada maturando, questa “civiltà” del tardo capitaismo globalizzato , nella sua caduta, non travolga tutto mandando a carte quarantotto il pianeta e tutte le sue creature.
Insomma sono molto aderente a quella vecchia idea che una civiltà sia come un essere vivente: nasce, cresce e muore. Questa, a buttare il sangue, ci metterà il tempo che ci vorrà. Ma la cosa che la distingue da quelle precedenti è che ha fatto tutto in fretta, troppo. Ha come una crisi di crescita improvvisa del corpo senza un'adeguata maturazione cerebrale. In questo mio rozzo paragone può essere che, poiché la civiltà del capitalismo è particolarmente stupida, mentre ci mette un po' di tempo a tirare le cuoia, non faccia qualcosa che mandi tutto a quel paese.









 E pare che in questo ci si sia messa con particolare impegno.
        E allora ti saluto pianeta Terra con tutti gli annessi e connessi.
Io credo abbastanza alla forza delle Utopie che sono una specie di guida, un manuale su che fare, come fare e dove dirigersi. Senza che l'utopia si realizzi ma si limiti solo a indicare la strada.
L'utopia che mi gira in testa da un po' di tempo è che il Sud d'Italia si separi dal nord (volutamente con la lettera minuscola), verso il Garigliano, più o meno. Che costituisca un regno del Sud come nella migliore tradizione borbonica. Che il re sia un socialista convinto e che la società produttiva sia organizzata sull'agricoltura, che tutti siano vegetariani (con buona pace di maiali, galline, buoi mucche e affini), che mangino poco (magari una dieta vegana), che si dedichino quello che basta al lavoro (agricoltura, artigianato colto - che è poi quello che salva l'Italia - cultura e educazione, turismo, progettazione, ricerca scientifica) e che, soprattutto, si organizzino in comuni (non istituzioni comunali) ma proprio come la Comune di Parigi e che non ci sia troppa competizione e sia abolito TOTALMENTE il consumismo, TV, pubblicità e tutta la merda simile. Magari rivitalizzando tutti quei piccoli paesi abbandonati per l'emigrazione e ci si organizzi  sul  modello di San Leucio di ferdinandea memoria.
Io credo a quello che disse Goethe, che un poco schizzinoso e scassacazzo era,  e cioè che se Ferdinando IV di Borbone fosse stato un po' più colto sarebbe certamente stato il più grande sovrano dell'Europa.










In fin dei conti mi starebbe bene pagare una corte con il  nostro lavoro collettivo. Mi starebbe bene anche che si autoglorificassero. Ma poi il nostro parlamento non è molto peggio di una corte assolutista? Democrazia? Ma suvvia, mi facciano il piacere, non ci facciano ridere.
Ma la corte che io invoco nella mia utopia dev’essere proprio organizzata come faceva Ferdinando, strafottendosene dell'etichetta, delle convenzioni, dello sfarzo, uno scugnizzo anarchico e ribelle. Un re socialistoide-anarchico. E poi una grande messe di uomini d'intelletto alla maniera dell'abate Ferdinando Galiani e di Genovesi. Un’università degna di questo nome, non quella sottospecie di barzelletta di personaggi più o meno colti (molto meno che più), più o meno preparati (molto meno che più),  che si danno da fare (in tanti, tantissimi) per creare spazio e carriere solo per familiari e compari e non pensano di avere nelle mani una grandissima responsabilità, quella della formazione della coscienza critica, culturale della gioventù: come dire la coscienza del futuro e del possibile sviluppo di una nazione. Già, la nazione. E chi se ne fotte più? Tutti presi e concentrati a pensare ai cazzarielli propri. E che se ne catafottono del futuro, delle generazioni che verranno, dello sviluppo culturale armonioso della società del futuro? 
E poi  soprattutto spazio al teatro, altro che TV, più o meno pubblica!  Un San Carlo in ogni grande città per suonare musica di tutti i generi da Mozart ai Beatles. Ecco quello che ci vuole. 
Musiche di Paisiello, Mozart, Bach, Rolling Stones.
Ma credo che non lo vedrò mai.
Però non posso fare a meno di sperare che l’umanità rinsavisca e si chieda: "Ma a me chi cazzo mo fa' fa' di lavorare tanto, di avere tanti beni che non mi porto appresso quando muoio?".
Una canzone, la pizza e il putipù come i meglio lazzari del regno di Ferdinando, 'o Re Nasone.
E una chitarrella per accompagnarsi mentre si canta a squarciagola lungo il mare.

Affanculo al capitale e chi ancora ci crede nel suo mondo di morte e di miseria.
E, a proposito di musica e godimento, guardatevi, se ne avete il tempo, questa splendida interpretazione del'11° movimento Et incarnatus est della "Grande Messa in Do minore" di Wolfgang Amadeus Mozart. L'ho rintracciata su Youtube. Ne vale la pena: