Ve la racconto perché dalle
disavventure degli altri si può imparare. Soprattutto conoscere gli inganni che
ci circondano.
Mi venne in mente, tempo fa, di mettere il mio profilo su Wikipedia.
«Uha!» direte «E che tieni manie
di grandezza?».
No, vi rispondo. Seguo quel
principio semplice, che recita che la pubblicità è l’anima del commercio.
Mi spiego. Non voglio creare
equivoci.
Io dipingo, disegno e scrivo.
L’ho sempre fatto con un impegno
eccessivo. Pensate che l’ultimo mio disegno, quello che ho in cantiere sul
tavolo e del quale vi metto lo stato dell’arte sotto, avrà, una volta
finito, circa 280.000 segni elementari.
Si avete letto bene: duecentottantamila. Cioè la mia penna si sarà posata sul
foglio per duecentottantamila volte.
Il conto è presto fatto, se non ci
credete: in un centimetro quadrato ce ne sono circa 40 di segnetti che vanno da
un minimo di un tre millimetri a un massimo di cinque di lunghezza
Non ne siete convinti? Neanche io l’avrei mai supposto. Ecco il
conteggio:
40 x 100 x 70 = 280.000
Ecco perché, poi, alla fine mi
vengono i crampi alle mani. Sono certo che mi credete. In più, poiché sono
totalmente cecato, ho la necessità di inforcare due paia di occhiali, l’uno
sull’altro per avere una visione da vicino come con una vera e propria lente
d’ingrandimento.
«E allora?» direte dopo che si
siete ripresi dal peso del numero che vi ho detto.
Allora ho deciso che devo farmi la
dovuta pubblicità.
Seguitemi. Vi spiego il perché
della mia decisione.
Il mio metodo, lo avete capito, è
folle. Mi metto al tavolo da disegno e per tracciare 280.000 segnetti ci posso
impiegare un tempo variabile dai 15 giorni al mese. Dipende dalla mia disposizione
d’animo ma soprattutto fisica.
Perché un disegno di un metro per
settanta, di china, usando un rapidograph
0.1 (anzi più di uno, perché spesso quello con il quale inizio verso la metà
letteralmente si schiatta, si spunta, s’appila, si sbalestra, insomma lo devo
buttar via), basato su una prospettiva architettonica e uno studio preliminare e una serie di schizzetti d’ideazione non è
proprio cosa che si può fare a cuor leggero. Richiede fatica mentale e fisica,
applicazione, determinazione e costanza e soprattutto pazienza.
Oche, dettaglio del merletto centrale
Io, nevrotico, incazzoso, pazzo furioso
(come sono stato con un paio di poveracci,
amministratori di Wikipedia incappato sotto la mia penna infuriata) quando
disegno un’opera di questo impegno trovo la mia pace.
Metto le cuffie e Mozart, i
concerti per piano e orchestra vanno a palla. E la mia anima rimane sospesa a
mezz’aria, come un uccello, come le oche
che disegno, che sono delle vere e proprie macchine per volare.
«Sì, amico mio» starete pensando,
«Ma che c’entra Wikipedia con questa tua fatica?».
Su Wikipedia ci sono i premi
Nobel, i grandi benefattori. I grandi fenomeni, insomma, mi direte.
Ma ci stanno pure una mappata di
grandi cazzimmusi che si fanno pubblicità, vi rispondo io. Non mi fate fare
nomi. Ne ho trovati una decina che conosco e che, devo dire, non sono proprio
niente di che. Bravi, non c’è dubbio. Ma mica sono premi Nobel, o sanbti o
navigatori o poeti. Sono bravi artigiani come me.
Allora, ho pensato, se io appaio
su Wikipedia come disegnatore ci sta. Mi conosceranno anche in tanti.
Ci sta per la tecnica che adopero,
per la forma dei miei disegni, per l’aria che tengono.
Ma soprattutto perché, in un’epoca
di vera merda come quella che stiamo vivendo, nessuno fa niente per niente. Io invece, che
sono un famoso bastian contrario, faccio
tutto per niente.
Non ho mai venduto un disegno, in
tutta la mia carriera. No, devo essere preciso,. Un solo acquerello a un’ignota
ammiratrice. Chje lasciò l’assegno presso la libreria Clean e non volle che mi
venisse svelato il suo nome.
Bello, no?
Ne ho regalati abbastanza. Non
moltissimi, per la verità. Alle persone
care. Ho poi venduto dei multipli. Ma in tutto non più di una decina.
Ma quando faccio un disegno così impegnativo,
non ho il coraggio di separarmene.
Anche perché ai disegni si legano
i pensieri. Non so se a voi succede.
A me sì. A ogni tratto, quando lo
rivedo, anche a distanza di anni, si lega un pensiero.
Così il disegno si trasforma in una mappa dei miei
pensieri, una topologia del mio essere interiore. Paure, emozioni, ricordi,
sensazioni, incazzature, dolcezze, volti, persone, tutto fluisce nella mia
maniera di disegnare. In quell’immensa planimetria di caratteri elementari che costruiscono, sul
foglio, una proiezione dei miei moti interiori.
Ma c’è di più.
Questa è la mia tecnica. Ma è una tecnica
limitata, che va a finire.
E già. Non solo perché io finirò.
Ma perché, dopo di me, non ci sarà
scuola possibile.
Sono gli strumenti a non esserci
più.
Il CAD, la computer grafica stanno
distruggendo tutto il mondo passato della rappresentazione tecnica.
E il mio disegno, chiamiamolo così
artistico, è una forzatura volontaria e deliberata del disegno tecnico.
Io sono nato come disegnatore
tecnico. Disegnatore in studi di architettura. Mi chiamavano la “penna più
veloce di Napoli”. Me lo ha confessato su FB un mio caro amico dopo tanti anni.
Era voce che girava per gli studi e per la Facoltà.
Rapidograph, graphos, tiralinee,
squadre, compassi e balaustrini, cartoncino, fogli bristol, tutto ciò era il
mio pane, il mio lavoro.
Poi pensai che ne potevo trarre
l’arte.
E con la penna sottilissima ho
cominciato a sperimentare. Traccio texture finissime sul foglio bianco che
sovrapponendosi l’una all’altra danno
infinite gradazioni di grigio, morbidissime se il tratto è sottile come quello
dello 0.1, più audaci e feroci se il tratto diventa più spesso, fino alla
violenza dei neri assoluti, passati a pennello o con la penna 1.2, 1.8 o
addirittura 2.0.
Bene. Tutto questo apparato
tecnico è al tramonto. Definitivo. Inappellabile.
Non si trovano più gli 0.1, non si
trova più neanche l’inchiostro di china per rapidograph. Ne ho una collezione
di boccette ma sono terrorizzato che finiscano.
Avevo sul mio tavolo una decina di
0.18 comprati da Amodioa Port’Alba, un fondo di magazzino. Se ne sono spezzati
sette. Me ne restano tre. Poi dovrò mettermi in giro, per depositi, fondi di magazzini,
cercare sul web. Ho visto che Amazon ne vende qualcuno di ricambio.
Forse ancora ce la faccio a
disegnare.
Dunque io sono un artista a
termine.
Allora avevo pensato che tutto
questo mio mondo e anche la qualità dei miei disegni che, bontà vostra, molti
di voi apprezzano e me lo comunicano con entusiasmo, fosse degna di Wikipedia. Fosse
degna di un’enciclopedia “libera”.
Ma quando mai? Al mio tentativo si
è frapposto il burocratese peggiore, un autoritarismo spietato, stalinista.
Poco da fare. O fascista se preferite.
Hanno apposto alla mia biografia
(scritta da me che candidamente non l’ho mai nascosto) un allert, che avverte
della poca “enciclopedicità” della voce. Enciclopedicità dubbia. Questa la sentenza
che mi diede poco più di un mese fa un tizio che fa lo sciacquino per
Wikipedia.
A parte che la parola
enciclopedicità mi suona strana e un po’ falsa e forse forse, è un neologismo
di cattivo gusto, ma non c’è stato molto da fare. Nella pagina di discussione
ho dato sostegno critico e documentario a ogni affermazione della mia
biografia, ho messo i link alle pubblicazioni fatte lungo tutto il corso della
mia vita universitaria, e poi i libri, i gialli, il blog di ArchigraficA, le
ricerche, i miei interventi continui e soprattutto le mostre e i disegni.
E qui ho subito un vero e proprio
affronto.
Io avevo proposto la voce “Giacomo
Ricci disegnatore”. Perché sono perseguitato da un mio omonimo, molto più
giovane di me, che fa il corridore automobilistico e che si mescola a me in
ogni ricerca sul web. Ed è presente, manco a dirlo, su Wikipedia.
Per tutto quello che vi ho detto
finora ci stava, no?
Bene. Lo sciacquino, d’autorità, ha cancellato la parola “disegnatore”
sostituendola con “architetto”. Non che mi dispiaccia. Io, alla
fine, architetto sono. Ma, come vi ho detto,
nell’affetto, nel cuore, nell’anima sono un disegnatore. A vita.
E vallo a spiegare al burocrate.
Scrivo, mi dilungo, spiego.
Sapete come si dice a Napoli. Io
mi sono sbattuto e prodigato a spiegare.
“Manco po’ cazzo!”.
Parole al vento. Nessuna risposta.
Perché loro hanno la filosofia di non risposndere al Trool. Di non trollizzarsi
(ma tu vedi che italiano!). Dunque non ti rispondono.
Nessuno mi ha risposto per un mese
e più.
Anzi mi danno del vandalo perché
inavvertitamente ho cancellato dal sorgente della pagina qualche carattere che
non dovevo.
Cerco di parlare con gli amministratori.
Un sistema cavillosissimo quello
di Wikipedia. Per ottenere trasparenza assoluta in tutto quello che fanno
finiscono per essere totalmente oscuri. Nascosti ferreamente dietro nickname,
mail messaggi, simboli, icone. Pagine e pagine di regolamento, norme, regole,
divieti, avvertenze FAQ, istruzioni per l’uso. Un vero casino.
Da far venire il mal di testa.
Sì, avete ragione arrivo alla
conclusione.
Oggi, stufato di non aver risposta
e di vedere la pagina di “Giacomo Ricci (architetto)” sempre con quell’imperturbabile allert in
apertura, entro, cancello tutto. Cancello la voce per intewro, attento solo a
non cancellare i caratteri messi da loro. Ho detto. Voglio vedere se non mi
rispondono.
Subito appare il messaggio di un
talaltro sciacquino, più indisponente del primo che, in fin dei conti, è stato assai garbato, che mi dice che la voce
non è di mia proprietà e non la posso cambiare. Né tantomeno sopprimerla,
camcellarla. E la rimette così tale e quale a prima. Lo stesso allert bene in
vista, naturalmente.
Gli faccio notare, allo stupidino,
che l’ho scritta io e che solo nei sistemi totalitari non si è padroni di
quello che si è scritto.
E faccio un po’ di ironia su olio
di ricino, squadrette di punizione e ritorsioni.
Lui s’incazza definitivamente. E,sempre
più autoritario e scemo, mi blocca a tempo indeterminato e mi dice che poiché
all’atto della sottomissione del testo ho accettato indissolubilmente le regole
del gioco (contenute in uno dei cavillosissimi e ineffabili regolamenti a
latere) non sono padrone del mio testo e siccome l’ho aggredito di persona (war
non so che cosa) mi blocca.
Allora io chiedo a voi. Vi sembra
accettabile che un sistema che si sbandiera come democratico e libero non lo
sia nei confronti di chi collabora?
Mi devo tenere che lo sciacquino
uno mi imponga di fare l’architetto e non il disegnatore?
E’ questa la cultura libera che
vogliamo?
Io la mia risposta ce l’ho,
chiara. Non so voi. Ma io la grido a piena voce.
Se ne andassero a fare nel culo,
loro e la loro enciclopedia.