di Giacomo Ricci
Noi italiani siamo famosi per
fallire le occasioni. E lo dico con sconforto perché penso che Carlo III, re Borbone delle Due Sicilie non ne falliva
una. Ma anche suo figlio Ferdinando che ebbe l’intuizione di San Leucio, tanto
per nominarne solo una.
E per nominarne solo una dello
sconquassatissimo nostro paese dell’immediato periodo postbellico, penso alla
CEP, acronimo che sta per Calcolatrice Elettronica Pisana, una macchina
rivoluzionaria promossa dai nostri ricercatori, in funzione perfettamente agli
inizi negli anni Cinquanta (1953), antesignana e precorritrice di ogni
calcolatore che poi ha invaso il mondo e trasformato il nostro quotidiano.
Per chi non ne sa nulla ricorderò
solo che il progetto della CEP fu voluto dalle province di Pisa, Lucca e Livorno,
finanziato con la somma di 150 milioni (per l’epoca una cifra di assoluto
rispetto), promosso soprattutto grazie all’intelligenza e al genio
intellettuale e scientifico di pochissimi ricercatori italiani: Marcello
Conversi, direttore del Dipartimento di Fisica e Alessandro Faedeo, matematico,
preside della Facoltà di Scienze e poi direttore del CNR.
Una macchina rivoluzionaria per
l’epoca basata sul linguaggio Fortran. Alla CEP si accompagnò un notevole
progetto di ricerca dell’Olivetti a Barbaricina.
Insomma c’erano tutte le premesse
per una Silicon Valley all’italiana, anticipatrice di quella che sarebbe stata
quarant’anni dopo una vera e propria rivoluzione avvenuta, manco a dirlo,
altrove.
Riuscite ad immaginarvi l’Italia
al centro e a capo della rivoluzione informatica che poi è accaduta? Tutto
quello che accade altrove sarebbe avvenuto qui, nel Centro d’Italia, in un
gruppetto di città di provincia. E, per inciso, alla faccia di tutte quelle teorie assai
discutibili che vogliono nella maggiore
concentrazione di uomini e mezzi in grandi megalopoli il vero centro motore
della creatività e dello sviluppo. Aggiungerei dello sviluppo di un certo tipo,
quello dei mercati, della concentrazione dei servizi, e così via, funzionale,
c’è da sottolinearlo?, solo a un certo tipo di economia capitalistica e
globalizzante.
Ma questo è un altro discorso.
Allora, torniamo al nostro
incipit. E chiediamoci: Che successe della CEP e del gruppo di ingegneri e
intellettuali che vi lavorarono attorno? Nulla di fatto, ovviamente, perché poi Olivetti vendette (o fu costretto a
vendere?) tutte le attività connesse a
queste ricerche pioneristiche sui calcolatori alla General Elettric e ti
saluto. Fine della storia.
Ecco come le intuizioni geniali
degli italiani vengono sperperate e avvilite dalla nostra politica che ha avuto
lo sguardo sempre rivolto altrove che non al benessere della nostra
collettività nazionale.
Ora io lancio un’altra idea. Per
carità non certamente della peso della CEP pisana ma sulla cui portata
culturale ci sarebbe almeno da fare una riflessione.
La Biblioteca Universale. Anzi,
meglio la B.U.I, e, cioè, la Biblioteca Universale Italiana.
Che cos’è? Starete dicendo.
Semplice.
Le nuove tecnologie ci permettono un disegno ambizioso.
Le nuove tecnologie ci permettono un disegno ambizioso.
Immaginate un’università italiana
– magari di provincia, magari lontana dalle grandi città e dalla merda che
rappresentano, con una Biblioteca digitale piazzata in un piccolo centro
abbandonato della nostra penisola. Ce ne sono tanti, arroccati sopra collinette
impervie. Deserti per l’emigrazione.
Qui dopo un attento restauro
sarebbe facile trovare gli spazi per piazzarci una ventina di server potenti,
con un linguaggio operativo Linux, server apache per mail e collegamenti di
rete e una serie di memorie di massa. Che so? Cinquecento Hard Disk da 2
terabyte ciascuno.
Immaginate che cosa ci potete
contenere?
“Tutto lo scibile umano” dirà
qualcuno per scherzare. E per scibile intendo non soltanto libri in formato
ebook ma foto, progetti, disegni, planimetrie, film. Quadri, musei interi. Tutto
insomma, tutto quello che appartiene alla cultura di un popolo.
Poi questo centro distribuisce
all’intero paese, cioè alle sue Università e a tutti i cittadini che ne
facessero richiesta, il materiale di cui è custode.
Naturalmente questo presupporrebbe
che ogni cittadino abbia un lettore ebook adeguato, basato sull’eink, a colori
e a basso prezzo. Se immaginate soltanto al parco infinito dell’istruzione scolastica
vi potete fare dei conti e capire che converrebbe dotare ogni studente per il
suo percorso didattico complessivo (circa diciott’anni al minimo ciascuno) di
un lettore ebook e di un PC portatile e di un collegamento alla BUI.
Qual è il vero ostacolo a tutto
ciò?
Inutile dire e complicare le cose.
Gli editori che acquistano i diritti d’autore (che li hanno acquistati) e che
sono legati al cartaceo come non mai o legati agli ebook con DRM (Digital Right
Management). Una protezione che fa ridere per la facilità con la quale può
essere elusa. Lo può fare chiunque in meno di un secondo.
Ma gli editori con tutti i loro apparati
sono indispensabili, starete pensando.
Non è vero. Se una volta la tecnologia imponeva la
presenza dell’editore, ora non è più così.
Un editore è l’imprenditore che
organizza il prodotto libro su carta e che tiene la filiera del processo: l’autore
con il suo testo, lo stampatore con la sua tipografia, il distributore con i
suoi camion che trasporta i libri in
giro, le librerie con i loro banconi e i commessi che li tengono in
esposizione, e i magazzinieri e i loro depositi che li conservano e poi il
macero e il trasporto degli invenduti e i rivenditori di libri usati e le
bancarelle.
Ah, le bancarelle! Chi non gira
per bancarelle. Magia e poesia.
Ricettacoli di polvere e
immondizia dico io. Perdonate la mancanza di "poesia". Ma chi vi parla possiede nel suo studio circa seimila e passa volumi. Invaso da tarme, pesciolini d'argento, dalla polvere e dalle pulizie che le fate e poi dovete ricominciare subito daccapo, pena starnuti e orticarie a non finire.
Dunque nessuna nostalgia a questa visione se penso che tutto sta nel mio Kindle nella tasca della mia giacca.
E la carta? Il suo profumo? Il
piacere tattile del libro?
Ma insomma. Finiamola. Bando al
profumo della carta e del piacere delle dita che sfogliano le pagine (che non
ho mai personalmente provato perché sfido chiunque a odorare una rivista
patinata e dirmi se mai resti qualcosa
del sapore originario della carta e quanto al piacere delle dita io maledico
ogni volta che apro un libro, quelli ultimi con il dorso fatto di colla
rinsecchita e di rilegatura che se non premi troppo fa richiudere le pagine e
se premi forte perché si tenga aperto si spagina e si apre con tutti i fogli
che se ne vanno in giro), bando a tutte queste amenità, chi parla facesse il piacere di leggere su un
Kindle DX e poi mi facesse sapere come si trova, con caratteri scalabili,
contrasto regolabile e così via.
Ma, a parte queste stupidità, vi
faccio un rapido elenco dei vantaggi.
1. Concetrazione in un solo posto
concettuale e fisico del sapere.
2. Distribuzione immediata
3. Incredibile abbattimento dei costi
della cultura (non vorrei sbagliarmi ma si arriverebbe complessivamente a un millesimo
del costo attuale)
4. Rapporto diretto autore lettore
5. Pagamento dei diritti agli autori
per abbonamento. (Amazon, senza editori assicura agli autori un pagamento del
70% del prezzo di copertina all’autore. Se arrivate al 7% nell’editoria
tradizionale è pure assai e dovete ringraziare.)
6. Abbattimento dell’inquinamento
7. Abbattimento dei rifiuti (i libri
al macero)
8. Abbattimento del consumo di carta
9. Immediatezza della distribuzione
10.
Universalità
della cultura se non altro come prodotto immediatamente scaricabile dalla rete.
Devo aggiungere altro?
Ah sì. Che per tutti i libri liberi
dai diritti d’autore il progetto è già ampiamente realizzato e collaudato.
E naturalmente è volontario e gratuito.
Tutti i classici sono disponibili
all’indirizzo dell’associazione Liber &Liber di cui metto il link:
Ma è anche utile dire che un progetto
del genere che consorzi le università italiane e il ministero dell’istruzione non avverrà mai. Un po’ come la CEP e la grande occcasione dell’informatica italiana
perduta per sempre.
Destino? Fato avverso? O forse
interessi corporativi e di pochi che verrebbero messi in questione e che,
dunque, remano contro e pensano solo ai fatti loro?
Scegliete voi.
Io la mia idea ce l’ho già.
Ma, nonostante tutto, continuo a sognare. Penso che una Biblioteca
Universale come quella antica di Alessandria, moderna e basata sull’uguaglianza di tutti, ma
proprio tutti in qualsiasi posto, in qualsiasi angolo sperduto della penisola,
sarebbe una bella cosa. Un progetto potente,
dai costi bassi, molto bassi.
Ma credo che qui in Italia non
avverrà mai.
In Australia, l’Università di
Adelaide ha in piedi un progetto funzionante e straordinario già attivo in
rete. Con la digitalizzazione di tutti i capolavori letterari illustrati dai
più grandi artisti di tutte le epoche. Volete la splendida copia digitale del Don
Chisciotte integrale illustrato da Gustave Dorè e non sapete in quale libreria
trovarlo perché dovete fare una tesi su Cervantes e la metafisica delle
immagini e la loro traduzione in illustrazioni straordinarie e quelle che avete visto di sfuggito una volta vi intrigano, sembrano
promettervi una lettura del capolavoro di Cervantes inimaginabile e coinvolgente?
Qui non trovate nulla. A meno che non vi rivolgiate a una editoria specialistica ovviamente molto costosa.
Andate in rete e scrivete quello
che vi detto:
Troverete il libro che vi ho detto
e vedrete, con somma meraviglia, che lo potete scaricare sotto forma di ebook (epub) e
consultarlo liberamente.
Bello no?
E se lo facessimo pure noi? Quanto ne
guadagneremmo di salute (mentale intendo)?
Ma non si farà. Ne sono certo.
E la BUI, come la CEP pisana, sarà un ulteriore farneticamento di pochi,
sciocchi sognatori.