di Umberto Di Porzio
Quando ho ricevuto questo gentilissimo invito a
partecipare ad una celebrazione del centenario della nascita di John Cage ho
accettato volentieri, anche se con molte perplessità. Perplessità che sono
aumentate sentendo le colte e interessanti parole del maestro Di Scipio. Non
posso che continuare a chiedermi cosa ci faccia un neurobiologo in questo colto
e influente consesso.
Al mio posto avrebbe dovuto esserci piuttosto Renato
Musto, fisico, esperto musicale, interessato alla musica e cervello che con le sue
domande pertinenti e insistenti mi ha portato per mano a interessarmi a questi
argomenti, che sono fuori dall'ambito specifico delle mie ricerche scientifiche
sullo sviluppo dei neuroni dopaminergici e delle loro devastanti alterazioni,
mi ha indotto a cercare di conoscere, da neofita e in maniera amatoriale, quel
che è finora noto sui rapporti tra musica, linguaggio e cervello.
Il mio essere qui è forse anche un mio modo di
rappresentare ed elaborare il lutto per la perdita incolmabile dell'amico Renato.
Cosa può dunque dire un neurobiologo sul silenzio? Ben
poco.
Ho voluto comunque dividere questa mia breve
chiacchierata in due parti.
Mutuando il titolo di un articolo giornalistico
dell’amica e collega professoressa Carla Perrone Capano, potrei intitolare la
prima parte di questo intervento:
Il cervello è suonato
E la seconda parte
È il rumore del mare che impedisce ai pesciolini di dormire?
Il cervello è suonato
Il cervello è suonato
E la seconda parte
È il rumore del mare che impedisce ai pesciolini di dormire?
Il cervello è suonato
Perché un’ipotesi affascinante è che la musica sia stata per
la specie umana il primo modo di comunicare, precedendo il linguaggio verbale,
avvalorando così l’ipotesi che il nostro cervello sia proprio “suonato”.
Già Darwin, ne L’origine
dell’uomo (1871), aveva postulato
una stretta interconnessione nell’evoluzione della musica e del linguaggio,
supponendo che la musica o il canto vengono prima. Del resto la comunicazione
iniziale tra madre e neonato è innanzitutto musicale oltre che fisica. Teorie
più recenti sostengono che la musica abbia avuto un'origine comune con il
linguaggio.
Se il suono, il canto, il linguaggio sono caratteristiche
che sembrano peculiari della specie umana, essi sono relativamente diffusi nel
mondo animale, dove intervengono sia nel corteggiamento, finalizzato alla
riproduzione della specie, sia come richiamo di gruppo, sia come apprendimento
ambientale, avviso, allerta.
Anche Darwin ipotizzò che lo sviluppo dell'uomo
“musicale” fosse il risultato dei processi di seduzione fra i due sessi, come
negli uccelli, ma l'etnomusicologia moderna ritiene che inizialmente la danza e
il canto umani non avessero fini estetici o riproduttivi, ma fossero tesi a
influenzare la realtà, con lo scopo di scongiurare, di propiziare o di evocare.
Prima che un discorso o frase musicale possano essere
percepiti e integrati con le rappresentazioni linguistiche memorizzate, i
segnali acustici devono essere rappresentati attraverso un codice neurale e
“consegnati” alla corteccia uditiva con precisione temporale e spettrale da
strutture cerebrali sottocorticali. Tale preelaborazione sottocorticale
coinvolge molte regioni tra loro distinte e una fitta rete di connessioni
nervose.
Analisi con NMRf (risonanza magnetica funzionale)
mostrano che la musica recluta non solo le aree cerebrali uditive ma anche le
aree motorie nell’elaborazione degli impulsi musicali e le aree limbiche, cioè
quelle emozionali, nell’elaborazione della tonalità e del ritmo.
In aggiunta, nell’uomo,
la pratica musicale e il suo apprendimento comportano il coinvolgimento
di vari sistemi motori, emotivi e di memoria, nonché aree cognitive ed
associative. Cioè la musica e le attività musicali coinvolgono diverse regioni
del cervello secondo una gerarchia funzionale.
Come e dove si percepisce il suono? Dai recettori uditivi
della coclea nell’orecchio interno, parte il nervo acustico o vestibolo
cocleare che porta dapprima il segnale al tronco cerebrale dove si connette a
un nucleo o aggruppamento di neuroni detto nucleo cocleare. Dal nucleo
cocleare, il percorso prosegue attraverso il corpo genicolato mediale, o talamo
uditivo. Il talamo ha molteplici funzioni. Si ritiene generalmente
che agisca come un relè tra una varietà di aree sottocorticali e la corteccia
cerebrale. In particolare, ogni sistema sensoriale (con l'eccezione del sistema
olfattivo) comprende un nucleo talamico che riceve segnali sensoriali e li
invia all'area corticale primaria associata,
le cui proiezioni neuronali giungono alla corteccia
uditiva nel lobo temporale attraverso
regioni associate al trattamento dei comportamenti emotivi.
Nella CX uditiva sono localizzate mappe tonotopiche
distinte che rappresentano l'intero spettro delle frequenze udibili, cioè parti
diverse di questa zona del cervello possono essere attivate da suoni di altezze
diverse. Altre zone della corteccia contribuiscono a effettuare l'analisi
percettiva della musica, l'estrazione di informazioni più specifiche sulle sue
caratteristiche acustiche, come il tono, timbro, intensità e asprezza. La
musica dunque impegna una rete di regioni subcorticali tra cui anche il nucleo
accumbens, una componente chiave del sistema di ricompensa dopaminergico
mesolimbico.
In tutti i mammiferi invece esiste una regione a corteccia temporale che riceve afferenze nervose dal talamo e che risponde a stimoli uditivi. La corteccia uditiva può essere una sola primaria o anche può essersi sviluppata una corteccia uditiva secondaria in relazione alle specie. Nelle varie specie si sono poi sviluppare aree specializzate per servire alcune specifiche funzioni, come quelle consacrate all’eco-localizzazione nei pipistrelli, all'ascolto delle ultra-alte frequenze nei gatti, al linguaggio nell'uomo, ecc.
In tutti i mammiferi invece esiste una regione a corteccia temporale che riceve afferenze nervose dal talamo e che risponde a stimoli uditivi. La corteccia uditiva può essere una sola primaria o anche può essersi sviluppata una corteccia uditiva secondaria in relazione alle specie. Nelle varie specie si sono poi sviluppare aree specializzate per servire alcune specifiche funzioni, come quelle consacrate all’eco-localizzazione nei pipistrelli, all'ascolto delle ultra-alte frequenze nei gatti, al linguaggio nell'uomo, ecc.
Il canto degli uccelli è forse il sistema più vicino al
nostro e dirò dopo come.
Ricapitolando brevemente, le onde sonore colpiscono la
coclea, di qui viaggiano verso il tronco encefalico, il talamo e i corpi
genicolati per raggiungere la corteccia uditiva e finalmente giungere alle aree
associative della corteccia prefrontale e di quelle chiamate orbitofrontale e
del cingolo. Aree queste deputate all’elaborazione di stimoli uditivi
complessi, come ad esempio a vocalizzazioni differenti. In aggiunta a queste
altre regioni corticali anche parte della corteccia motoria viene coinvolta.
Qui sono localizzati i neuroni specchio uditivi che si attivano sia quando la
scimmia (o l'uomo) compie azioni con la mano o la bocca, sia quando ascolta il
suono di azioni simili.
Del resto sembra quasi implicito che le interazioni tra
sistemi auditivo e motoria siano importanti sia nella musica che nel
linguaggio, e ciò è ampiamente evidente quando un essere umano apprende ad
associare un suono con determinati movimenti per imparare a suonare uno
strumento musicale.
Va anche considerato che nel territorio cerebrale,
definito lobo temporale, sono collocati anche i centri che elaborano il
riconoscimento visivo, la memoria e l'affettività. Più in basso poi è collocato
l'ippocampo, che appunto serve a immagazzinare i ricordi, quindi la memoria a
lungo termine. Dietro la corteccia uditiva è collocata l'area di Wernicke
coinvolta nella comprensione del linguaggio scritto e parlato. Le sensazioni
uditive mediante l’amigdala vengono “vagliate” dal sistema limbico e la
corteccia orbito frontale producendo così le emozioni che associamo alla musica
ed ai diversi suoni e canti. Il ricordo poi viene immagazzinato dalla memoria a
lungo termine (quella duratura) mediante l’ippocampo.
L'area di Wernicke, è connessa all'area di Broca, che è localizzata nel piede della terza circonvoluzione frontale dell'emisfero sinistro ed è coinvolta nell'elaborazione del linguaggio. Oltre agli aspetti formali del linguaggio rappresentati nelle aree di Wernicke e di Broca dell'emisfero sinistro, esiste anche una componente affettiva del linguaggio che consiste sia nell'intonazione musicale del discorso (prosodia), che nella comprensione di queste componenti affettive. Le componenti affettive del linguaggio sono rappresentate nell'emisfero destro e la loro organizzazione anatomica è l'immagine speculare di quelle dell'emisfero sinistro preposte agli aspetti cognitivi del linguaggio. Apparentemente, le note e le scale musicali (ritmiche) vengono mediate primariamente dall'emisfero sinistro (area di Wernicke) e le melodie (ad andamento armonico ) vengono elaborate dall’emisfero destro.
L'area di Wernicke, è connessa all'area di Broca, che è localizzata nel piede della terza circonvoluzione frontale dell'emisfero sinistro ed è coinvolta nell'elaborazione del linguaggio. Oltre agli aspetti formali del linguaggio rappresentati nelle aree di Wernicke e di Broca dell'emisfero sinistro, esiste anche una componente affettiva del linguaggio che consiste sia nell'intonazione musicale del discorso (prosodia), che nella comprensione di queste componenti affettive. Le componenti affettive del linguaggio sono rappresentate nell'emisfero destro e la loro organizzazione anatomica è l'immagine speculare di quelle dell'emisfero sinistro preposte agli aspetti cognitivi del linguaggio. Apparentemente, le note e le scale musicali (ritmiche) vengono mediate primariamente dall'emisfero sinistro (area di Wernicke) e le melodie (ad andamento armonico ) vengono elaborate dall’emisfero destro.
Infine va detto che un'altra regione della corteccia che
risponde al suono è quella insulare, che è stata implicata nella capacità di
comprendere le esperienze emozionali degli altri e sembra essere associata
all'apprezzamento emotivo della musica nell'uomo.
Come si localizza il suono? Quale il meccanismo che permette di comprendere da dove esso parta? Un animale per localizzare sorgenti sonore confronta il tempo di arrivo del suono alle due orecchie. La differenza temporale che un suono impiega a raggiungere ogni orecchio. Gli impulsi sinaptici provenienti dall'orecchio più vicino al suono stabiliscono una mappa in una rete neuronale che viene comparata con gli impulsi provenienti dall'orecchio più lontano dal suono e questo calcolo viene eseguito ad ogni frequenza del suono, usando una rete di neuroni giustapposti nel tronco encefalico.
Come si localizza il suono? Quale il meccanismo che permette di comprendere da dove esso parta? Un animale per localizzare sorgenti sonore confronta il tempo di arrivo del suono alle due orecchie. La differenza temporale che un suono impiega a raggiungere ogni orecchio. Gli impulsi sinaptici provenienti dall'orecchio più vicino al suono stabiliscono una mappa in una rete neuronale che viene comparata con gli impulsi provenienti dall'orecchio più lontano dal suono e questo calcolo viene eseguito ad ogni frequenza del suono, usando una rete di neuroni giustapposti nel tronco encefalico.
E' interessante notare che sebbene mammiferi e uccelli si
siano separati nell'albero evolutivo circa trecento milioni di anni fa, il
canto di uccelli canori (come canarini o fringuelli) ha caratteristiche
strutturali (unità minima, frase, canto) e fisiologiche (sequenze cerebrali ed
esecuzione vocale) in comune con il linguaggio umano. Esso si realizza mediante
circuiti cerebrali complessi, viene appreso imitando quello di membri adulti
(tutori) della stessa specie, e nel tempo nuovi neuroni vanno ad occupare posti
specifici nei circuiti necessari all’apprendimento del canto, senza la nascita
di questi nuovi neuroni e la loro integrazione nei circuiti preesistenti non si
realizza apprendimento del canto e/o di nuove “melodie”. Il canto degli uccelli offre pertanto un modello formidabile per
studiare i meccanismi neurali e molecolari dell’apprendimento uditivo-vocale, a
livello cellulare e subcellulare. Inoltre, recenti ricerche suggeriscono la
possibilità di paralleli a livello di sintassi. Un altro punto di convergenza
del canto degli uccelli e del linguaggio umano è dato da mutazioni in un gene,
che codifica per fattore di trascrizione, FOXP2, abbondantemente espresso nei
circuiti della produzione del suono in entrambe le due specie. Mutazioni di
questo gene nell'uomo sono state correlate a una forma di disprassia umana e
l'ablazione di questo gene negli uccelli impedisce a questi animali di
apprendere il canto.
Come
gli esseri umani, anche gli uccelli possono generare suoni usando strumenti,
substrati che possono essere un albero; come per il picchio, o particolari
penne, come per la beccaccia, anche se la maggior parte dei suoni viene
prodotta mediante l’organo vocale, la siringe, equivalente della nostra
laringe.
Negli
esseri umani, come tra gli uccelli, la musica è una forma d'arte creativa, che
è parte integrante di numerose attività sociali e di corteggiamento, la musica
può anche essere un mezzo attraverso cui le persone sono in grado di far fronte
alle emozioni, conflitti, aumentare la loro consapevolezza di sé. Vi sono
quindi delle correlazioni anatomiche e fisiologiche del perché l’apprezzamento
di una musica spesso è funzione dell’esperienza musicale del soggetto, della
conoscenza del suo linguaggio, del perché possiamo immagazzinare il ricordo e
possiamo provare delle sensazioni emotivamente piacevoli o spiacevoli,
commuoverci, evocare immagini e sogni nell’ascoltare alcune frasi musicali o
melodie.
D’altronde la musicoterapia è impiegata con successo
nella riabilitazione post-traumatica, ma anche in pazienti affetti da autismo,
disturbi del comportamento, stati d’ansia, stato di coma, malattia di Alzheimer
etc. Ad esempio, nei pazienti colpiti da ictus cerebrale, l’ascolto di un paio
d’ore di musica al giorno ha un effetto positivo non solo sull’umore, ma anche
sulle capacità di recupero sia di memoria verbale che di attenzione. Certo
anche quest’aspetto non è scevro da pericoli e minacce, pericoli per le
speranze spesso fallaci che può indurre, specie nei casi di coma gravi ed altre
alterazioni irreversibili dove i risultati non sono valutabili, minacce perché
possono venire usate contro la musica non tonale: non ascoltano Cage, né altri
musicisti moderni, i poveri pazienti, volenti o nolenti. Come del resto i
pulcini o le vacche degli allevamenti.
Il
silenzio non accade
o
È il
rumore del mare che impedisce ai pesciolini di dormire?
Il nostro cervello non codifica solo i suoni ma anche il silenzio,
o meglio per il cervello il silenzio non esiste come assenza, non evento ma è
esso stesso evento evocatore.
Se ci sediamo davanti ad uno schermo muto in una stanza
silenziosa o anecoica e vediamo scorrere immagini di una sega che taglia, una
tazza che cade, un essere che urla, nel nostro cervello si attivano le stesse
aree cerebrali che si attiverebbero se udissimo quei suoni, quei rumori.
Cioè gli stimoli visivi attivano le aree cerebrali che
processano i suoni e la corteccia uditiva scatta in azione. In un recente
studio del noto neurologo e neuroscienziato
Damasio, le persone sottoposte a questi esperimenti non solo mostravano
un’attività delle aree uditive corticali viste per NMRf ma dicevano di aver effettivamente
udito i suoni che solo la mente aveva riprodotto. Ma questo sembra vero solo
per quei suoni che sono familiari o conosciuti al soggetto sottoposto
all’esperimento. Se non avete mai sentito un cane ululare, la visione
silenziosa di un cane che ulula non riprodurrà nel vostro cervello l’ululato
del cane o del lupo.
E a differenza di Cage potremmo chiederci se quando
vediamo e sentiamo un cane che abbaia sentiamo veramente abbaiare o ascoltiamo
il ricordo di un cane che abbaia?
Come per Cage, il silenzio non esiste. Tuttavia la mente
sa come zittire se stessa e trovare un poco di quiete.
Il silenzio dei ratti
Un ratto che improvvisamente avverte la cessazione del
suono evocato dal movimento la percepisce come un segnale di pericolo e la sua
ripresa come segnale di sicurezza. Cioè risponde a uno stimolo uditivo che
segnala l'immobilità improvvisa di un cospecifico, la cessazione del suono del
movimento. Dal momento che il congelamento o immobilizzazione è una risposta di
paura diffusa tra gli animali, il silenzio può costituire un chiaro segnale
pubblico veramente utilizzato da una varietà di animali nel loro ecosistema per
individuare il pericolo incombente.
Il silenzio dei grilli
I grilli serali dell’isola Hawaiana di Kauai divennero
improvvisamente muti a causa di una mosca parassita che usa i grilli maschi
come un incubatore per le future mosche. I grilli maschi cantano sfregando le
ali. Questo “canto” attira i grilli femmine, ma non solo, anche la mosca che
inserisce le uova nel povero grillo, le mosche nasceranno e le larve pian piano
divorano dall’interno la povera bestiolina, come nel film Alien, e poi le larve usciranno dal guscio ormai inutile costituito
dal grillo.
Quindi i grilli erano a rischio d‘estinzione e il loro
principale scopo nella vita unirsi a una compagna era diventato una minaccia
per la loro vita individuale e quella della specie. Se si fossero zittiti
semplicemente non avrebbero trovato più compagne... Quindi sono avvenute delle
mutazioni che da un lato hanno zittito delle progenie di grilli maschi ed un
cambiamento di comportamento, i grilli maschi che non cantano si affiancano a
quelli che cantano e le femmine, attratte dal suono, al buio scelgono a caso il
maschio che canta o il vicino silente.
Ed ecco che quindi il silenzio salva la vita di questi
maschi e permette il mantenimento della specie. Nelle stagioni in cui le mosche
non ci sono prevalgono i maschi capaci di cantare, quando ci sono le mosche
quelli silenti.
Possiamo quindi dire che lo studio approfondito delle
relazioni tra musica e cervello può far luce su come funziona la mente e può
probabilmente anche avere importanti ricadute terapeutiche.