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ebook di ArchigraficA

lunedì 22 dicembre 2014

E mai mi stanco




di Claudio Cajati


Ho fatto una carriera fulminante. Ho cominciato un anno fa come portiere di un palazzotto scalcinato abitato da medioborghesi ridottisi a piccoloborghesi. Qualche sparuta mancia, qualche sorriso imbarazzato e malinconico, lavoretti umili eseguiti a regola d’arte, le pretese assurde di qualche inquilino arrogante, una bella ragazza che nemmeno mi salutava. Una vitaccia insomma.
Però nel quartiere si è sparsa la voce che ero bravo, affidabile, puntuale, sempre pronto a intervenire, mai invadente o pettegolo. Due mesi dopo, un giorno l’amministratore di un palazzone elegante è venuto a trovarmi e mi ha detto che ero sprecato in quello squallido palazzotto, che come portiere del suo palazzone avrei avuto un ambiente rispondente alla mia statura professionale, e avrei anche guadagnato molto di più. Accettai subito. E pensai che avevo ormai raggiunto il limite delle mie possibilità. Ma mi sbagliavo.
La mia fama correva veloce di bocca in bocca. Passarono soltanto altri tre mesi, e mi si presentò, elegante, solenne e tutta ingioiellata, un’anziana signora che mi sembrava una nobildonna. Infatti lo era: Donna Maria Gabriella de Miccolis e de Cajanis. “Senta, signor Stellone (io mi chiamo Silvestro Stellone)” cominciò lei disinvolta “ora che la vedo da vicino, penso che lei può fare proprio al mio caso. Abito in una villetta liberty che immancabilmente attira le attenzioni e gli appetiti malevoli di ficcanaso e delinquenti. Ho invero un portiere ma, anziano com’è, non è in grado di assicurarmi quella protezione anche fisica di cui ho assoluto bisogno. Vedo che lei ha un bel personale, da giovane palestrato: potrebbe quindi svolgere benissimo il doppio ruolo di portiere e di guardia alla mia villetta. Naturalmente le verrebbe corrisposto uno stipendio adeguato, appunto doppio. Cosa ne dice della mia proposta?” Accettai immediatamente. E questa volta pensai che avevo davvero raggiunto il limite delle mie possibilità. Ma, ancora una volta, mi sbagliavo.
Nella mia vita sono sempre stato molto fortunato. La nobildonna non mi aveva detto di essere stata, fino a una decina d’anni prima, un’attrice di teatro e di cinema. Un giorno, dopo circa altri tre mesi, venne a trovarla e omaggiarla un importante produttore di Cinecittà. Mi vide, e mi guardò come incantato. Poi, rompendo gli indugi, mi chiese se ero interessato a fare la comparsa e qualche cammeo in alcuni film, nonché la guardia del corpo, a turno, di ognuna di un nutrito gruppo di attricette emergenti. Se non avessi avuto sin da piccolo una sfrenata passione per il cinema, non avrei certamente accettato. Nella villetta della nobildonna ci stavo molto bene. Ma la nuova esperienza e avventura che mi veniva offerta, anche se non comportava un maggior guadagno, era troppo allettante per rifiutarla. Accettai di corsa. E questa volta pensai che, senza alcun dubbio, avevo raggiunto il limite delle mie possibilità. Ma, perbacco, ancora una volta mi sbagliavo.
La mia vita a Cinecittà era frenetica e ricca di appetitose occasioni. Saltavo da un set all’altro, imparavo con fatica, ma con la giusta concentrazione, le particine dei miei cammei, recitavo con mille paure, però poi mi buttavo e venivo incoraggiato e perfino lodato dai registi. Ma i bocconcini più gustosi erano le attricette a cui dovevo fare da guardia del corpo: molte di loro intendevano la cosa nel senso di occuparmi del loro corpo anche in orizzontale. Su un letto o su una scrivania o proprio sul nudo pavimento. Cosa avevo io di tanto attraente? Chissà. Ma queste piacevolissime distrazioni non inficiavano il mio compito ufficiale. In questo campo avevo fatto molti passi avanti, mi ero specializzato. E la mia fama correva adesso per tutta Cinecittà. C’è bisogno che dica che pensavo di aver raggiunto il limite delle mie possibilità e invece mi sbagliavo, come al solito?
La sera, come si può facilmente capire, ero stanco. Anzi, proprio stracco. Stavo nella mia stanzetta coricato sul letto, pronto a farmi fagocitare da un sonno ristoratore. Qualcuno bussò con energia alla porta: era un uomo anziano, distinto e autorevole. “Mi scusi, signor Stellone, per l’ora tarda” esordì con accento americano “ma avevo urgenza di parlarle. Mi presento innanzi tutto, sono Jonathan Smith, press agent di Scarlett Drake…” Ebbi un sobbalzo, scattai giù dal letto: Scarlett Drake, nientemeno, la grande giovane attrice statunitense! “La Drake” continuò lui imperterrito “ha bisogno di una nuova guardia del corpo, perché quella attuale ha interpretato il ruolo in maniera, diciamo, troppo intima, e lei questo non lo vuole: lei, come ormai si sa, preferisce le donne…” Pensai alle mie avventure con le attricette, e che anche io non ero la guardia del corpo adatta. Ma, pur di avere l’onore e il privilegio di stare accanto a Scarlett Drake, ebbi fulminea una bella idea. Fingermi effeminato, senza esagerare però. Vidi un sorriso aprirsi sul volto del press agent. La cosa era dunque fatta. Avevo il cuore in brodo di giuggiole.
Scarlett aveva più o meno la mia età. Sotto i trenta. Tonda, morbida, flessibile, di un rosa chiaro nella carnagione, non era molto alta ma perfettamente proporzionata. Dalle movenze feline, procedeva come una dea, ma una dea che non si compiace della sua natura. La mimica mobilissima del viso passava trionfante dal sorriso al corruccio, dall’ira alla paura, dal riso al pianto, dalla perplessità all’illuminazione, dall’ingenuità alla scaltrezza, dalla bontà alla malignità. Sapeva essere desiderabile, sempre senza volgarità, goffaggine, cadute di stile. All’inizio avevo sentito l’impulso di farmi avanti, di tentare una disperata avance, ma avevo presto rinunciato: ci tenevo a non rovinare tutto, a rimanerle accanto. Perciò continuavo, con misura, la mia commedia dell’effeminato. Scarlett mi aveva studiato a lungo, perplessa o forse perfino sospettosa; ma poi si era convinta che ero innocuo. E innocuo veramente diventavo io man mano che scoprivo la gioia dei soli sguardi: mi deliziava guardarla qualunque cosa facesse, si vestisse, si spogliasse, si lavasse, si sedesse, si coricasse, parlasse al telefono, mi chiamasse, mi congedasse, facesse le prove prima dello spettacolo, recitasse, ricevesse nel camerino i fans… Io stavo sempre lì, ombra fedele di tanta luce, forte della mia recita.
Dopo pochi giorni che lavoravo per lei, venne a trovarla una giovane amica, Lara Winehouse. La sua compagna. Non persero tempo, andarono subito a letto. Ma anche io subito avevo trovato il modo, inserendo una zeppa di carta, di non far chiudere bene la porta della stanza di Scarlett, da cui già mi giungevano sommessi lamenti amorosi. E poi avevo imparato, con lunghi allenamenti, a muovermi senza fare il minimo rumore: avanzai verso la stanza, aprii la porta di quel poco che mi permetteva di vedere le due lesbiche a letto. Loro erano talmente eccitate e impegnate nei loro strofinamenti e leccaggi che non si accorsero affatto di me. Io mi scoprivo eccitatissimo: per un eterosessuale vedere fare sesso due lesbiche è piacevole. Ma lo spettacolo di quei due corpi teneramente avvinghiati, curve con curve che si inseguivano e intrecciavano, era incantevole. Qualcuno riderà di me se lo dico, ma lo dico lo stesso: guardare quelle due non era meno piacevole che trombarle. Anzi, in assenza del lato fisico, si raggiungeva un godimento più puro.
Sono passati mesi e mesi di questo paradiso inaspettato. Guardavo Scarlett mattina, pomeriggio, sera e notte (lei non se ne accorgeva, o così mi piaceva pensare). Era come un film no stop, dove io recitavo sempre lo stesso ruolo, il ruolo del guardone. Ma un guardone speciale, un guardone che non si abbassava a masturbarsi, che sapeva elevarsi alle altezze del bello. Gli spettatori vedevano Scarlett recitare, Lara ci faceva l’amore, io semplicemente la guardavo. Questa volta sentivo, ne ero sicuro, che avevo raggiunto il limite, il culmine delle mie possibilità. E invece, come al solito, mi sbagliavo.
Un giorno la svolta traumatica. Jonathan Smith viene a trovarmi, sorriso smagliante e voce emozionata. Prorompe a dirmi: “Signor Stellone, una bella notizia per lei: il grande regista Bill Gaynor vuole offrirle una parte da protagonista nei suoi film…” Io quasi balbetto: “Una parte importante… ma che parte?” Lui mi squadra con un sorrisetto ammiccante, e con voce carezzevole mi dice: “Vede, qua a Cinecittà le voci corrono rapide di bocca in bocca. Tutti ormai sanno che lei è la guardia del corpo perfetta per Scarlett, che non rischia di essere licenziato come quello di prima, quel maschiaccio impertinente che si è permesso… E poi la sua bella presenza, le sue movenze che interpretano con la giusta misura la sua scelta sessuale… insomma ne fanno il soggetto ideale per i film gay di Bill Gaynor…”
Mi viene la voglia di interromperlo subito e di chiarire che io fingo di essere gay ma invece tutto il contrario. Poi però mi rendo conto che così perderei il posto di guardia del corpo di Scarlett, e questo assolutamente non lo voglio. Mi affretto a cercare una via d’uscita: “Scusi, signor Smith, io non ho mai fatto l’attore. Se rifiutassi…?”
La faccia di Jonathan Smith cambia immediatamente espressione. Delusione ma anche imbarazzo per la risposta. Infatti resta in silenzio alcuni secondi, che a me sembrano minuti, prima di parlare: “Vede, signor Stellone, Cinecittà ha una sua logica e un suo regolamento. Quelli che entrano a lavorarci si dividono in due categorie: quelli che avranno sempre le stesse mansioni, e quelli che sono destinati alla scalata, a nuovi emozionanti impegni. Lei appartiene, a giudizio di tutti noi, press agent, registi, produttori, alla seconda categoria. Lei deve accettare e andare più in alto. Se rifiuta, dovrà andare via da Cinecittà. Dura lex sed lex, come dicevano gli antichi Romani.” Mi domando se in questi film gay dovrò essere ‘attivo’ o ‘passivo’: una bella differenza. Ma non è questo il fatto più importante. Io non voglio perdere Scarlett. E allora accetto.

Non starò qui a descrivere cosa comporta il mio ruolo in questi film. E cosa mi tocca provare. Sono cose che preferisco tacere. Ma continuo impavido nella mia vita di attore gay pur di mantenere il posto di guardia del corpo di Scarlett. Vivo l’inferno e il paradiso. E mai mi stanco.