logo

logo
ebook di ArchigraficA

mercoledì 21 agosto 2013

De Giovanni e il metodo del Coccodrillo








di Giacomo Ricci

Ho finito di leggere Il metodo del coccodrillo (Mondadori, marzo 2012) di Maurizio De Giovanni da meno di un minuto. E sento subito la voglia di parlarne. Teso, asciutto, crudele, spasmodico che ti trascina fino all’ultima parola. Con grande partecipazione e un senso di vuoto.
Due i protagonisti, fuoriusciti e, in qualche modo, “dannati” nella città di Napoli con passati tormentati e di sofferenza alle spalle.  Siciliano lui, ispettore Lojacono, confinato, per un’avvelenata soffiata di un collaboratore infedele e lei, sostituto procuratore, fuggita dalla sua Sardegna per dimenticare la morte del giovane amante e complice dell’intera giovinezza.
La storia ha tutte le caratteristiche di  un noir che ti avvolge. E ti lascia un grande amaro in bocca. Per il rigore che la linea del male e degli animi tormentati di questa vicenda traccia lungo la trama. Tutti coinvolti nella morte di qualcuno. Ognuno con una responsabilità morale che pesa come una lama che trafigge l’anima, lacerandola. Nella lontananza, nella sconfitta.
Nessuno vince. Perdono tutti.
Tanto che, alla fine,  ti verrebbe la voglia di un raggio di sole che non esce.
Pioggia, nebbia, finanche il paesaggio del golfo scolorito come un vestito indossato in gioventù e lasciato a sbiadire nell’armadio.
Questo,  lo scenario. Una Napoli angosciata e lontana, tanto da essere assente. Eppure è uno scenario grigio molto coerente con la Napoli che siamo abituati oggi a vivere.
Un ricordo di qualcosa che non sappiamo se sia mai esistito. Forse solo nei ricordi o neanche lì.
Un disegno, un’utopia.
Mi viene in mente uno degli acquerelli di Lusieri che mostra la bellissima collina di Posillipo vista dalla casa degli Hamilton. Mi viene in mente la Napoli del Settecento dell’abate Galiani e delle sue profonde arguzie.
La Napoli lontana e forse mai esistita di favole immaginate e non vere.
Forse, al di là della storia che narra, il noir di De Giovanni è straordinariamente convincente proprio per questo scenario di sofferenza diffusa, che scorre come un velo di umido pieno di polvere su un quadro antico.
La storia è quella di una vendetta e di una pazzia. L’assassino, che non vi dirò chi sia (ma che si capisce presto) è qualcuno che agisce per vendetta, per aver perduto qualcosa di molto caro. Il dolore, si dice, può degenerare in pazzia. Una pazzia lucidissima e dimessa, come un ragioniere che fa i suoi conti e  chiama a partecipare alle sue azioni la negra signora servizievole che porta con sé la vita di giovani innocenti vite per sempre.
Qualcuno vuole far soffrire qualche altro più della morte. E qual è la sofferenza più grande, si chiede l’ispettore Lojacono, se non quella di rapire il bene più prezioso che un uomo ha, i figli, l’amore, il loro affetto?
In specie se chi muore è un’anima innocente, giovane, con una vita da vivere.
Lo strazio diviene l’obiettivo del Coccodrillo, l’essere misterioso che uccide, un serial impazzito, che segue un suo lucido, inafferrabile percorso di follia.
Uno scenario inerte, un ispettore caduto in disgrazia, un sostituto procuratore che ha perso il suo amore da giovane e che ha chiuso con la vita e con gli affetti, commissari inetti e stupidi che rendono le istituzioni vuote e inefficienti, questi i personaggi che si muovono contro lo scenario di una Napoli sbiadita e sofferente, perduta a qualsiasi desiderio di felicità.
Bella storia. Che si legge tutta d’un fiato.
E De Giovanni, come ho detto, migliora il suo stile, la sua efficacia e la sua carica poetica, coinvolgendoci in questa storia dolce e amara, malinconica alla fine della quale, nel dolore, si riesce forse  a intravvedere  qualche spiraglio di luce che si apre lontano. E ci rischiara il cuore.