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ebook di ArchigraficA

mercoledì 5 giugno 2013

Un mondo per femmine







di Claudio Cajati


Le due ragazze camminavano svelte, determinate e addirittura ilari sui loro trampoli da sedici centimetri. Procedevano con il passo precario ma sostenuto di chi non può concedersi il lusso di non avere fretta.
Andare in banca, presto, erano già le 8 e 20. Occupare con orgoglio e iattanza i loro posti di massima responsabilità. Direttrice, Barbara; Revisora dei conti, Divina.
Eppure, di fronte al gigantesco cartellone, rutilante e torbidamente ammiccante, issato in piazza dei Maschi Puttani, non ce la fecero a far finta di niente. Dovettero rallentare. Anzi proprio fermarsi. E scrutare con attenzione, mentre eccitate si leccavano meccanicamente le labbra.
Lui, il maschio superdotato del cartellone, ostentava, appena velato dietro uno slip trasparentissimo, il suo membro abnorme. Dote evidente di un superbo stallone.
Era solo una foto, ma sembrava che già il grande coso maschio pulsasse e premesse contro il fragile diaframma di organza. Come se fosse sul punto di sgusciare fuori e raggiungere chissà quale fica fortunata.
Barbara si leccò ancora, con automatico abbandono al desiderio, le labbra morbide di burro di cacao. Poi diede un colpetto sul braccio di Divina e, con una leggera oscillazione del capo, le fece cenno che purtroppo toccava loro andare. Anzi proprio affrettarsi. Essere perfettamente in tempo per l’apertura della banca. Soprattutto per poter torchiare i dipendenti in ritardo, anche minimo. Meglio se maschi.
E in effetti qualcuno degli impiegati era in leggero ritardo. Niente di straordinario, un cinque minuti. Ma una somma di tre ritardi, anche piccoli, lo sapevano, avrebbe comportato una punizione. Solo che nessuno aveva mai accumulato tre ritardi, e in cosa potesse consistere questa punizione non era dato sapere.
Lo seppe però quella mattina tal Mattia Filippetti: bell’uomo, cassiere, single, pendolare, sempre alle prese con gli autobus, e con i loro ritardi, che lo portavano da casa nei pressi della banca.
Quella mattina il Filippetti aveva quasi dieci, dico dieci, minuti di ritardo. La cosa grave era che questo ritardo si sommava a due precedenti, di minore entità, ma questa non era un’attenuante. C’erano gli estremi perché scattasse la punizione. Quale che fosse.
E infatti subito Barbara, la Direttrice, lo convocò nella sua stanza. Filippetti entrò timido e irresoluto, ma comunque con tutto il suo innegabile bell’aspetto.
“Filippetti, lei si rende conto della sua posizione? Tre ritardi tre, dico... – esordì severa la Direttrice – e insomma non posso fare a meno di procedere a infliggerle la punizione prevista...”
Mattia Filippetti guardava nel vuoto, cercando di placare l’ansia.
“Che poi, caro Mattia – e qui la sua voce si faceva suadente, insinuante, seduttiva – è una punizione per modo di dire, è una punizione tanto piacevole da non essere in effetti una punizione...” La Direttrice fece un sorriso che voleva essere maliardo. E scoprì la sua dentatura storta, come un po’ storto e sgradevole era tutto il suo corpo.
“Una punizione piacevole? In che senso?” osò chiedere Mattia Filippetti, perplesso e nient’affatto rassicurato.
“Ecco vedi, Mattia – la Direttrice aveva adesso una voce roca e cupa – ti chiedo di farmi un servizio, sì diciamo così, ecco, un servizio...” Avanzò verso il Filippetti, all’improvviso gli prese con forza il volto fra le mani, lo spinse verso il basso, fino a che lui, soggiogato e basito, dovette inginocchiarsi. E a questo punto in un istante si aprì la gonna, scostò di lato lo slip. “Dai Mattia, dai... con la bocca... su, dai...”
Filippetti non aveva molta voglia di obbedire: la Direttrice non gli piaceva, non lo eccitava. Ma sapeva bene chi comandava in banca e in tutta la città. Le donne, anzi, per meglio dire, le femmine. Se non obbediva, la Direttrice l’avrebbe potuto licenziare, senza un sindacato che lo potesse difendere: anche a capo del sindacato c’era una femmina, e certo non era impegnata a difendere i maschi.
Filippetti ruppe gli indugi. Si mise a leccare. Senza voglia ma con zelo.
La Direttrice, alla fine, lo carezzò a lungo affettuosamente in testa. Come si carezza un cane fedele, che è stato buono.
Filippetti si rialzò in fretta. Fece la mossa di guadagnare subito l’uscita.
“Un momento, Filippetti, un momento. Aspetti ad andare via...” Filippetti la guardò costernato, temendo il peggio. “Vedi, caro Mattia, tu sei molto bravo, proprio bravo... sono rimasta soddisfatta, più che soddisfatta. Voglio fare un regalo alla mia amica Divina, la Revisora dei conti... Vai da lei, la sua stanza è qui affianco, lo sai no? e fai anche a lei...”
Filippetti ebbe l’impulso di svignarsela. Anche la Revisora dei conti non era affatto una bella donna. E insomma a lui non piaceva per niente. Ma poteva mai osare ribellarsi? Disobbedire alla Direttrice da cui il suo impiego e la sua carriera dipendevano?
Ebbene obbedì.
Alla fine di quest’altro servizio la lingua gli si era irritata, gli dava fastidio. Ma era contento perché aver obbedito gli dava garanzie sul suo futuro. Obbedire alle femmine poteva essere una necessità vantaggiosa. Loro, se volevano, sapevano come premiare i maschi disponibili.
Adesso Barbara e Divina si compiacevano a scambiarsi i gustosi eccitanti dettagli delle leccate di Mattia Filippetti: la velocità, la pressione, le pause, il tempo che ci avevano messo ad arrivare. E ridacchiavano trionfanti e beffarde: ancora una volta avevano umiliato, piegato alle loro voglie, un maschio. Era una pacchia insomma essere femmine.
Mancavano molte ore alla fine della giornata lavorativa. Ma già Barbara e Divina pregustavano il momento in cui, rincasando, avrebbero trovato i loro solerti maritini, armati di grembiule e cuffietta, intenti a preparare un bel pranzetto. E guai a loro se avessero sbagliato qualcosa come la qualità degli ingredienti, le spezie, la quantità di sale, il tempo di cottura. Si sarebbero abbattute su loro grida feroci, e non blandi rimproveri.
In un mondo per femmine, per i maschi non c’era nessuna indulgenza.