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ebook di ArchigraficA

venerdì 17 maggio 2013

Superficie come profondità




 di Giacomo Ricci



Per rintracciare il senso degli scritti di Raffaele La Capria raccolti in Esercizi superficiali. Nuotando in superficie, bisogna, secondo me,  cominciare dalla fine. Quando lo scrittore napoletano afferma che Dio, il dio che ognuno di noi ricerca con una certa disperazione per tutta la vita, non risponde perché sta combattendo da qualche altra parte.
Per capire il perché di questa domanda va osservato che, a introdurre il libro,  è la frase di Hugo Von Hofmannsthal, La profondità va nascosta. Dove? Nella superficie.
Frase a effetto, questa. A suo modo scenografica e drammatica. Come a dire, anchessa di superficie e di profondità. Allude a tutta una letteratura e un modo di vedere la vita che parte dallo stesso Von Hofmannsthal ma che ha, tra i suoi più grandi interpreti, uno scrittore che qui cito molto volentieri per una serie di affinità che, mutatis mutandis, mi sembra di rintracciare proprio in La Capria, autore di questo libro fatto di frammenti letterari.
Sto pensando a Robert Walser autore di Der Spaziergang (La passeggiata) mirabile sintesi di un principio universale che, evitando di tuffarsi nelle profondità, e limitandosi a circolare in superficie,  a questa profondità allude  come non mai,  con un metodo leggero  di lettura che rende ancor più lindagine di superficie adatta a cogliere la profondità del pensiero.
Proprio come la metafora autobiografica che La Capria propone, ritornando al mare, quel segno indelebile  della sua memoria personale sempre presente nei suoi scritti. Starsene in superficie senza scendere al di sotto del pelo dellacqua del mare, nuotando il crowl, stile segnato dai ritmi discordanti dei piedi che battono veloci e le braccia più lente e scandite con il respiro. Così si dà  armonia al  corpo che diviene capace di percorrere grandi distanze senza nessuna fatica.
Crowl, precisa La Capria, significa strisciare, muoversi in maniera aderente alla superficie. Stile libero del nuoto che diventa metafora della scrittura sciolta, indipendente, aperta, svincolata da qualsiasi legame, una definizione e una maniera di scrivere che, confessa lautore, ancora continuo a cercare.
Uno stile libero che qui si appoggia, in maniera apparentemente episodica e asistematica, a frammenti di scrittura.
Perché scrivere per frammenti o, meglio, per racconti? Perché il racconto sembra, oggi,  promettere più del romanzo? La Capria chiama in causa Borges.
In unintervista, Borges disse che i romanzi sono organismi troppo grossi, gonfi di cose troppo pesanti e troppo inutili. La forma letteraria perfetta può essere soltanto il racconto che permette di concentrarsi direttamente sull essenziale…”.
Così La Capria organizza il suo testo, per racconti, anzi, come ho detto,  per frammenti. Ma si tratta di frammenti che si inseguono nel tentativo di riconnettere le idee disperse in ognuno di essi, in una ricomposizione più essenziale, più centrata di ununità iniziale che forse da qualche parte si è perduta.
E qui vengo a quello che dicevo allinizio. Comincio dalla fine.  Perché è alla fine che le domande, o forse la domanda, che La Capria insegue cercando risposte, appare nella sua essenzialità. Ed è domanda che ognuno di noi, prima o poi, si pone nella vita, quando ne analizza linsulsaggine, la violenza, lassurda crudeltà.
Perché in  tutti i frammenti che si inseguono, premendo verso la fine, le domande, le osservazioni, le idee di La Capria fissano una serie di espressioni sospese, un insieme di stupori, di meraviglie di fronte allinconcludenza dellesistente, i suoi raggiri, le sue perfidie, le sue malvagità, la sua idiozia.
Idiota è, per esempio, aver trasformato, negli ultimi anni, il dialogo e il confronto politico in battibecco animalesco.
Perfidia è quella che attraversa i media e  le loro altalenanti verità per cui in un giorno siamo nella catastrofe totale, e ancora il giorno dopo le cose si stanno aggiustando ma è ancora troppo presto per dirlo.
Idioti sono i discorsi politici di ogni sera, perduti in ragnatele autoreferenziali dove si dicono cose interessati solo per gli addetti ai lavori lasciando al telespettatore di media intelligenza quello che sempre più appare come vaniloquio.
Incomprensibile è ascoltare, come si sente sempre più spesso, la frase mi vergogno di essere italiano. A questa affermazione La Capria si ribella perchè ci legge il rifiuto sconsiderato dei meriti e delle altezze raggiunte da questo popolo e dalle sue sofferenze. Ci si vergogna di Michelangelo? Di Caravaggio? Di Dante e Petrarca, dellAriosto e di Leopardi? Di Galileo, di Vico, di Machiavelli?.
E ancora:  fa parte della creazione che ogni essere vivente per continuare a vivere debba uccidere un altro essere vivente, e mangiarlo, masticarlo, ridurlo in poltiglia in un bolo disgustoso, ingerirlo ed espellerlo come elemento? Chi ha inventato tutto questo? E come mai tutto questo si tiene e non collassa? Non sprofonda nelle tenebre e nel gelo?.
La risposta è complessa è ha un qualche fondamento metafisico. Come ogni poeta, come ogni uomo che di fronte al mondo e ai suoi fenomeni contradditori, meschini e immensi, La Capria guarda il cielo e le stelle. Gli suggeriscono lidea dellinfinito, come Dio che si dice Eterno, Infinito, senza tempo e incollocabile nel tempo.
E come fai a concepire linfinito?
Lo fai rapportando alle nostre dimensioni un concetto che, per sua natura, noi finiti e limitati, non possiamo capire. Come Dio.  E come fai a non credere in Dio?
Ne cancelli la presenza perché non la capisci?
E questo è impossibile, perché la sua creazione è sotto gli occhi di tutti. Ecco, è questa favola che mi sto raccontando, la favola in cui credo e che mi sostiene.
Mi sostiene si dice La Capria ma la chiama "favola" e, un attimo dopo, è assalito dal dubbio che questo Dio di cui parliamo, quando siamo al cospetto delle stelle e dellinfinito, sia fatto troppo a nostra somiglianza. Ha i nostri stessi difetti, ha creato la gazzella ma anche lo scorpione, lAmore ma anche lOrrore. Perché è inutile negarlo,  ci sono. Sono sotto i nostri occhi.
E allora ne dobbiamo dedurre che è un Dio distratto? Un Dio che se ne fugge?  Che si sottrasse a suo figlio che gli chiedeva Padre, perché mi hai abbandonato?.
E poi non ci risponde mai.
Forse perché sta combattendo, come ricordavo allinizio. E occupato altrove. A far crescere una pianta, o le idee di un uomo o un piccolo fiore di campo.
E il pensiero corre avanti, impantanandosi nelle contraddizioni e nei dubbi che ognuno di noi si porta e che La Capria ha il coraggio di confessare e scrivere con un candore che solo la grande saggezza (o la grande disperazione) di un vecchio, di noi vecchi spinge a fare.
Ma la domanda rimane. La domanda è essenziale, capitale, spinta da tutti i frammenti di scrittura che precedono che pretendono un chiarimento, una risposta, un finale.
Vorrei la risposta a questa domanda dice La Capria la sofferenza e il dolore sono inutili?.
Cioè si muore, si soffre, per caso, per un accidente, per sbaglio, per troppo pensiero, perché gli orizzonti si chiudono, per una malattia. E tutto questo è inutile? Non serve?
Non saranno registrati in alcun libro? Non c’è luogo dove ne rimarrà memoria? Cioè, non hanno senso? Si soffre senza un significato, un utile, un fine?
Domanda senza risposta, quella di La Capria. Tanto essenziale da rimanersene sospesa così come è successo fin dallinizio dei tempi, del tempo delluomo.
Una domanda che non  ha risposta perché deve rimanere avvolta nel mistero.
Questa ipotesi mi fa capire meglio che ciò che è ignoto tale deve rimanere, perché è il Mistero che ci dà la forza di sopportarla e di sentirne tutta la meraviglia: il Mistero di essere al mondo.
E sono le cose semplici a ricongiungerci con ciò che non comprendiamo. A farcelo accettare. Come Clementina, bassottina con due occhi dalla pupilla mobile ed espressiva o il canto dei grilli nelle notti destate.
Cri cri cri.
Allora a me sembra di vederlo bene Dio. La Capria me lo suggerisce. Non si sottrae alla nostra vista. E' tutto qui. Nel canto dei grilli, negli occhi del nostro cane.
Nella purezza dei sentimenti che  queste vite semplici suscitano dentro di noi.