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ebook di ArchigraficA

giovedì 9 maggio 2013

A proposito del pino e delle case...


di Maurizio Zenga

Ho letto con interesse il tuo scritto sul grande pino di Furore e ho trovato incredibile la somiglianza delle tue riflessioni con quanto poco fa discutevo, a tavola, con un mio giovane amico. Per questo ti scrivo di getto.
Il ragazzo  è tornato da poco da Zanzibar, dove ha trascorso gli ultimi tre mesi in cerca di una nuova esistenza (vedi la tua citazione Henry David Thoreau)  e mi ha spiegato in modo accorato cosa lo attrae di quella terra e lo spinga decidere di lasciare il suo paese, i suoi affetti, i suoi amici, il suo lavoro di geometra, senza alcun rimpianto.
Tra meno di un mese infatti  ripartirà per Zanzibar  e credo che non lo rivedrò molto presto.
Ha comprato un pezzo di terra e ci sta costruendo sopra una casa che, mi ha raccontato divertito (avendo conosciuto le procedure burocratiche normalmente richieste nel nostro paese), ha progettato su un foglio di quaderno  da mostrare al capo villaggio, la cui approvazione preventiva è stata necessaria per  iniziare i lavori.
La casa, di cui ho visto le foto delle prime fasi costruttive, è semplice e si compone di uno spazio unico, piccolo, essenziale, un bagno e un cucinino all'esterno, sul patio. Niente acqua corrente, solo una cisterna sul tetto, niente luce elettrica o solo per alcune ore se  hai un pannello solare, niente gas ma solo una bombola.

tipica casa di Zanzibar


La parte del sottotetto, la cui struttura resta la cosa più interessante tecnicamente, serve sostanzialmente per guardare dall'alto il mare e l'orizzonte. Ha una funzione "spirituale"...

La casa in costruzione

Lui è contento.
Sua madre un po' meno.
La teoria di fondo che sostiene la sua scelta è che qui non c'è più nulla che somigli vagamente ad un rapporto umano con la natura e con l'ambiente, che "apra il cuore" (come lui dice per descrivere la sua sensazione nel vivere laggiù) ma solo interessi economici, tasse e balzelli soffocanti, una burocrazia  asfissiante, una tensione che si taglia con il coltello, ecc.
Alle mie obiezioni sulla sua condizione di privilegio (essendo occidentale e bianco lì gode del vantaggio di pagare un decimo ciò che gli serve per vivere e di poter fare la vita del turista con pochi euro) che gli deriva dalla fortuna di avere una casa di proprietà  in Italia, da cui può ricavare un affitto utile a coprire tutte le sue spese in Africa, risponde che lui vorrebbe essere come loro e che se loro sono ridotti a vivere in condizioni di povertà e di mancanza totale di risorse (nell'isola quasi nessuno lavora, nel senso che ha una occupazione ) è soprattutto colpa "nostra". Noi non possiamo capire... Siamo occidentali. 
Dunque è come se anche da lui avesse ascoltato la frase:

"Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto".

Adatta anche la tua citazione da Heidegger sull'abitare dell'uomo.
Ritrovo tutte queste riflessioni perfettamente coerenti con il discorso che ho appena sentito dal mio giovane interlocutore (giovane mica tanto però perchè ne ha già 34... e dovrebbe forse pensare a darsi una prospettiva meno precaria e anche forse meno spirituale e più concreta) però c'è qualcosa che non mi convince.
La casa di Centena è concettualmente vicina alla casa "essenziale" del giovane geometra del Nord Est emigrato (temporaneamente?) a Zanzibar, le sue motivazioni sono simili a quelle che tu estrai dalle citazioni letterarie di grandissimi autori ma c'è qualcosa che mi sfugge, il senso di quell'altra vita di cui tu parli, una soluzione diversa, una scelta di campo per un nuovo dialogo con la natura che tuttavia non mi convince. Che la scelta "filosofica" di andare laggiù sia davvero quella giusta per condannare questa società moderna e le sue nefandezze?