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ebook di ArchigraficA

sabato 13 aprile 2013

Napoli in dieci scene



"Vota Antonio, votantonio, votantonio..."



Giacomo Ricci risponde a Carmine Lanza




Gentile professore,


le chiedo una cortesia, sto facendo un progetto di sintesi per la città di napoli.
se le dovessi chiedere di rappresentare Napoli in 10 immagini e raccontarle come un teatro con relativi attori lei quali mi saprebbe indicare, chiedo a lei perchè conosco la sua accesa passione nei confronti di questa città.
i 10 luoghi/arene sono localizzati nel centro antico.
La ringrazio infinitamente per la disponibilità.



Carmine Lanza





Caro Carmine, 
ho letto la tua mail con distrazione perché, come saprai, i tuoi colleghi mi distruggono con le iscrizioni ecc.
Poi l'ho riletta e l'ho trovata intrigante. Poi ci ho pensato. E mi è piaciuta. Assai. 
Poi ho deciso di risponderti. Ma, un po' a  modo mio. 
Innanzitutto non ho capito bene le parole "attori" e "teatro". 
Poi ho deciso di interpretare il tutto nella maniera che segue. 
Attori sono personaggi storici e teatro gli avvenimenti più importanti di Napoli. 
E mi sono sentito subito non all'altezza del compito. 
Poi ho deciso che me ne fotto e lo faccio in questa maniera. 
Tra tutti i personaggi ho scelto, ovviamente, solo quelli che conosco, quindi con grandissime limitazioni.
Scelgo i personaggi come mi piace. L'interessante sarebbe spiegare il perché. Ma ci metterei molto tempo. Mi limiterò a pochi cenni. 
Allora faccio così. Io ti elenco dieci luoghi (all'interno del perimetro del Centro Antico e nelle immediate vicinanze) di ogni epoca, alla rinfusa, così come si sono sedimentati nel mio immaginario. Dunque, ripeto,  un'operazione assai limitata come valore storico. 
E ti elenco dieci personaggi cui questi posti  sono legati.
Come in un ideale itinerario turistico che farei seguire a un mio amico straniero per raccontargli Napoli così come io la vedo. 
Per fare questo devo scegliere la pianta, per me, più rappresentativa di Napoli .
Sceglierei la veduta prospettico-assonometrica del Duca di Noja del 1629.

I posti:

1) Piazza Mercato. E il personaggio, ovviamente, Masaniello. Il più sfrontato popolano che ebbe il coraggio di mandare a quel paese l'oppressione straniera degli Spagnoli. Sintetizzerei questa scena teatrale con il nome: Napoli che si ribella all'oppressione politica. (Oggi ne avremmo veramente bisogno. E quanti sono gli oppressori abbiamo sulle scatole e Napoli e ... oltre). 
2) Il largo del Castello (Castelnuovo) Qui c'erano sempre un'infinità di commedianti, saltimbanchi, rivenditori, mendicanti, improvvisatori, invantatori, rivenditori, soldataglia, puttane  a spasso, povera gente, insomma, che sbarcava il lunario come meglio poteva. Qui, nel castello è stato imprigionata una delle menti più libere di tutti i tempi. Un visionario, filosofo, poeta, rompiscatole: fra Tommaso Campanella che riuscì a sfuggire al rogo fingendosi pazzo. E che poi fu liberato da una cerchia di intellettuali dentro e fuori dalla Chiesa e, negli ultimi anni della sua vita,  mise a posto i suoi scritti: Per nostra fortuna perché è uno dei pensieri "visionari" più belli e aperti di tutta la filosofia occidentale. Chiamerei questa scena: La prigione degli stolti carcerieri  e la follia geniale dei prigionieri
3) Via Toledo. Non per il suo passato sfarzo spagnoleggiante, del quale poco me ne importa. Ma perché è la cortina protettiva dei Quartieri Spagnoli, luogo degradato e spesso di malaffare,  ma vera sacca di resistenza a tutte le oppressioni, del popolo più anarchico e ribelle della storia. Qui - ero giovane - assistetti a un episodio di ribellione unico. Un ragazzo, grandissimo guidatore di motocicletta, tenne in scacco le forze dell'ordine per più di dieci giorni, comparendo ogni sera, tra una folla di gente che lo inneggiava esaltata,  come il nuovo Masaniello: Correva come un pazzo con la sua moto, salendo e scendendo dai marciapiedi, infilandosi nella folla, scansando pedoni e  ostacoli, facendosi inseguire da motociclette e auto della polizia e sparendo, come uno spettro. Finiva sempre così. Era come inghiottito dalle pietre. Non lo trovavano più. Lo presero solo alla fine dopo molte peripezie. Simbolo dell'anarchia, della ribellione, della presa per il culo del potere consolidato.  Era un ragazzino. Tanto bravo a guidare la moto che il popolo lo chiamò "Austino 'o pazzo" ricordando il coevo grande campione di moto Giacomo Agostini e "o pazzo" perché ogni ribelle anarchico, per il popolo, è "Pazzo".   Chiamereri questa scena: Il mondo visto con gli occhi di Austino 'o pazzo.  (epoca della scena primi anni settanta).
4) Porta Capuana, luogo popolare per eccellenza ma anche punto di partenza  della lunga parata introduttiva al potere spagnolo che Don Pedro de Toledo preparò, con una spettacolare cavalcata di nobili al suo seguito attraverso Napoli fino al Castello, per mostrare all'intera popolazione la magnificenza degli Spagnoli e del loro dominio politico-militare. Ma, come racconta Bartolommeo Capasso, al viceré gli andò a quel servizio perché venne a piovere più volte durante lo svolgimento. Il che era un segno di pessimo augurio. Chiamerei questa scena: Le illusioni del Viceré
5) Via di Medina. All'altezza della chiesa di San Giorgio dei genovesi c'era la Stanza della Commedia Vecchia, il teatro di commedia più importante della Napoli di fine Cinquecento. Qui nacque Pollicinello il Cetrulo, come racconto ne La luce nel labirinto. Pulcinella è la più grande maschera della storia. Per la sua strafottenza, per il suo anarchismo, per la sua (falsa) stupidità. "Fa 'o scemo per nu' ghji alla guerra". Chiamerei questa scena: La nascita di Polliciniello il Cetrulo.
6) Piazza del Gesù. Qui c'è, nella facciata della chiesa, incisa una musica segreta. Non sappiamo se sia vero e da dove ne venga. Ma qui è sepolto Gesualdo da Venosa, crudele marito, uccisore della moglie, ma grandissimo musicista, amico di Torquato Tasso. Chiamerei questa scena: La musica nascosta e l'amore tradito. La Piazza del Gesù richiama immediatamente alla mente l'altra, per così dire "gemella", di San Domenico Maggiore, poco distante,  con il suo fantasma, Maria d'Avalos, moglie per l'appunto di Gesualdo, che, si dice, vada avanti e indietro tra il Portale di Palazzo Sansevero e l'obelisco al centro della piazza. 
7) La piazza della Sellaria. Non c'è più. Fu distrutta dall'intervento del Risanamento contro il colera. Il vero risanamento dal colera lo fece il medico svedese Axel Munthe che, sprezzante del pericolo, venne da fuori a combattere il morbo con il suo grandissimo animo di medico e poeta. Non morì di colera. Non s'infettò. E stette vicinissimo alla povera gente. Animalista, umanissimo, poeta, intelligente, amante della natura, Munthe costruì, a Capri, una villa bellissima che oggi è sede di un museo e di una fondazione per lo studio degli uccelli. Si comprò il Monte Barbarossa, che stava di fronte casa sua, per evitare che andassero a sparare agli uccelli. Adoro questa figura di mite medico e grande intellettuale. Chiamerei questa scena: La piazza scomparsa e il medico dei poveri. 
8) L'Ospedale degli Incurabili (ma lo stesso vale per la fondazione dell'Annunziata) un'opera di misericordia degli uomini di buona volontà nei confronti degli altri meno fortunati. Un inno alla solidarietà, quella che oggi manca e che ci siamo dimenticati essere il nodo di tutto il progresso del genere umano. Maria Longo è l'attrice principale, fondatrice dello Spedale e tutti i medici che hanno seguito il suo esempio, una truppa di uomini illustri, scienziati, che lo facevano per misericordia, lontani dal guadagno del vile denaro. Giuseppe Moscati tra i primi. Chiamerei questa scena: Gli Incurabili o della solidarietà.
9) Via San Ferdinando e il teatro omonimo. In omaggio al grandissimo re Ferdinando IV di Borbone,  a dispetto della storia che ci hanno raccontato e che ci vogliono fare credere. Grande il re e grande Eduardo che volle il San Ferdinando e che da  quelle tavole di palcoscenico ha insegnato ai napoletani a riflettere sulla loro condizione esistenziale. Chiamerei questa scena: Il teatro napoletano, metafora della vita. Omaggio a Eduardo.
10) Mi allungherei fuori porta, nella Sanità. E eleggerei tutto il quartiere a Museo della vita e dello spirito comico in omaggio all'uomo più illustre, più meraviglioso, più grande, più umano, più fraterno, che ancora oggi ci fa compagnia e che saluto con un abbraccio simbolico, mio fratello, mio padre e mio amico: Totò principe del sorriso. Chiamerei questa scena:  Totò, il trionfo del genio comico universale. Anche in paradiso, dove certamente Totò siede alla destra di Nostro Signore. Qui sono sicuro, lui  sorride. Ogni tanto anche Nostro  Signore perde la pazienza a vedere le malefatte di noi uomini. E allora dice: "Oh, ma insomma adesso che devo fare più? Li devo punire? Insomma ora basta. Mo intervengo e chi s'è visto s'è visto".
Totò sorride e fa, guardandolo con un  po' di sufficienza: "Ma mi faccia il piacere…".

Spero di essere stato minimamente all'altezza del difficilissimo compito che mi hai consegnato. 
Ciao

Giacomo Ricci