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ebook di ArchigraficA

venerdì 20 luglio 2012

E alla fine ... la fine non arriva


 di Maria Grazia Sabella

Una costante del mio percorso di studi è stata la frase: “un altro po’ e ho finito, un altro piccolo sforzo e ce l’ho fatta, l’ultimo sprint e poi ho chiuso definitivamente e potrò iniziare finalmente a lavorare a 26 anni e guadagnare i primi soldini!”.
Questo l’ho detto per il mio ultimo esame di laboratorio, credendo che si fossero fermati lì i miei sforzi maggiori. Non avevo ancora finito però l’ultimo esame  orale, che è stato estenuante e logorante.
Così l’ho detto una volta finiti tutti gli esami universitari, credendo che la tesi sarebbe stata più semplice da affrontare, in quanto argomento scelto personalmente, e quindi più piacevole.
Non avevo però ancora compreso cosa comportasse  affrontare una tesi universitaria nella mia (e credo in tante altre) facoltà. Per descrivere il percorso di tesi mi vengono in mente gli stessi aggettivi di prima, ovvero “estenuante” e “logorante”, con l’aggiunta di “inutile”.
Così il giorno dopo la mia laurea, con la corona d’alloro poggiata sui due grandi volumi della tesi che ho stampato inutilmente e costate circa 100 euro l’una, e una bruttissima pergamena degna della peggiore università telematica, mi è venuto in mente che non avevo ancora finito. Si avvicinava l’incubo esame di stato.
Essendomi laureata a febbraio ho avuto un po’ di tempo per guardarmi intorno e farmi un’idea dell’ambiente lavorativo, aspettando il mese di luglio per gli esami di stato.
Premessa: vorrei ricordare che, volutamente, ho deciso di tornare nel mio paese lucano una volta terminati i miei studi universitari.
Tramite FORTE raccomandazione sono andata a lavorare in uno studio di ingegneria e architettura, con sede nel mio paese ma con lavori in Campania, Puglia e addirittura Lazio. Pensavo di aver fatto bingo, “finalmente uno studio da cui poter imparare!” pensavo. In realtà dietro il forte nome si celava un ingegnere che procacciava affari e intratteneva pubbliche relazioni con i committenti, e due geometri sotto-sottopagati che facevano il lavoro di ingegneri, architetti, geometri, impiantisti e strutturisti, con risultati banali e poco interessanti.
Dalle 9.00 alle 13.00 circa, avevo un ruolo non ben definito che andava dal ritagliare fogli A4 per farne post-it a progettare l’atrio di un Municipio campano. Cosa peraltro riuscitami abbastanza bene con il beneplacito del committente.
Sempre sotto raccomandazione, nel pomeriggio dalle 15 alle 20.00 circa andavo in un altro studio, dedito alla realizzazione di palazzine residenziali. Qualcosa che non andava dovevo sospettarla, dal momento che, avendo comprato casa da loro, ero rimasta molto delusa da molte cose, ma ho voluto provarci lo stesso.
Sebbene i due ingegneri non ci fossero mai, questa esperienza è stata più gratificante in quanto ho curato l’architettura interna di alcuni appartamenti, ho compilato una SCIA, sono andata sul cantiere, ho conosciuto un geometra competente che mi ha spiegato un sacco di cose, e soprattutto non c’era un ingegnere che mi chiamava “Architè!!” con aria canzonatoria chiedendomi di pulirgli gli occhiali.
Volutamente ho tralasciato l’aspetto economico per un semplice motivo, non ce n’era. Esatto, nessuno mi pagava.
Così dopo tre mesi di lavoro gratis, ho deciso di congedarmi da entrambi con la scusa di dovermi preparare per l’esame di stato.
Altro capitolo.. l’esame di stato!
Non sapevo su cosa esercitarmi, come prepararmi nel modo giusto e in più si aggiungeva una forte insoddisfazione, frustrazione e demoralizzazione in seguito alle esperienze poco sopra descritte.
Avrei preso l’abilitazione alla professione per fare il geometra? Per non essere pagata? Per dover ringraziare qualcuno che mi fa lavorare senza stipendio? Per andare a lavorare dalle 9.00 alle 20.00 dal lunedì al sabato senza avere il tempo di fare una spesa?

Con questo stato d’animo mi metto a studiare per l’esame di stato, che non passo.
Con questo stato d’animo mi metto alla ricerca di un lavoro che possa piacermi, che mi stimoli, che mi giustifichi almeno in apparenza i sei anni di studio che ho appena concluso con la laurea.
Con questo stato d’animo continuo a ripetermi che devo fare un ultimo sforzo, che poi avrò finito, che una volta presa l’abilitazione avrò quel qualcosa in più che mi garantirà un piccolo stipendio per poter pagare il condominio e i croccantini al mio micio senza dover chiedere i soldi alla mia famiglia, che devo stringere i denti e mandare curriculum (e che ci scrivo dentro?!), far conoscere il mio lavoro (quale lavoro?!), e così forse qualcosa all’orizzonte spunterà.
Nel frattempo ho comunque deciso di non accettare lavori non retribuiti. Perché lavorare gratuitamente? Per la gloria? Per l’esperienza? Se dio vorrà dovrò fare esperienza da adesso per i prossimi cinque, dieci anni, e lo dovrei fare forse gratis?