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ebook di ArchigraficA

martedì 6 settembre 2011

Un bel libro su Masaniello di Silvana D'Alessio


   presunto ritratto di Masaniello
di Giacomo Ricci



Un’osservazione fuggevole ma non tanto. 
Ho finito di scrivere il mio Lazzari. Per la seconda volta. Critiche giuste che mi sono state rivolte, tentennamenti, ripensamenti mi hanno spinto a rivederne la struttura e a riformularne alcune parti. 
Ieri ho finito la mia faticosa revisione. Faticosa perchè ho dovuto articolare di nuovo la linea temporale, approfondire alcuni aspetti della storia. Ma tant’è. Questo era il compito. E ora il  lavoro è finito e sta là. Finalmente potrei dire. 
Nel rivedere tutto quello che avevo fatto, ho ripercorso anche i libri letti, gli studi e gli approfondimenti e ho riletto un libro che avevo già studiato in maniera puntuale, un lavoro (perdonatemi l’enfasi ma, a mio parere, è dovuta) stupendo, alla lettera,  su Masaniello. 
Chi è che non ha letto almeno un brano da qualche parte sulla vicenda dell’eroe napoletano della rivoluzione dei nove giorni dal 7 luglio al 16 del 1647? Io ero passato per il consueto Bartolommeo Capasso, Croce, Doria, Schipa e via via quelli più vicini a noi. Una figura tragica quella di Masaniello, per la storia, l’intensità, la moralità. 
E qui interviene il libro di cui sto parlando che ha per titolo per l’appunto Masaniello.  Un lavoro recentissimo, del 2007. L’autrice Silvana D’Alessio tesse con una consumata abilità le trame di un romanzo avvincente e ben fatto, articolato con grande avvedutezza, facendoci rivivere, in ogni dettaglio,  le tensioni, i sentimenti, la logica di quei drammatici avvenimenti accaduti verso la metà del Seicento napoletano. Con un’abilità da consumata scrittrice ricostruisce storia e storie, ambientazioni, personaggi, delinquenti (singolarissimi e truci i due fratelli Diomede e Peppe Carafa di Maddaloni), la infingardia dell'eletto del popolo Andrea Naclerio,  prepotenze, angherie e tutto il resto,  mescolando tutto con un colore e un'atmosfera che sembrano uscire da una tela di Caravaggio. Tinte scure, neri potenti e spessi come pece, ombre dense, e squarci improvvisi di luce, riflessi rosso-fuoco di fiamme e roghi di "rrobbe" maledette, ottenute sullo sfruttamento del popolo. Storie di galera. Per "un po' di mazzamorra", quattro anni di reclusione, ci informa la D'Alessio, ad un uomo che non aveva pagato la gabella su un pugno di briciole di biscotto di grano.  Quest'era la mazzamorra. Assurdità, violenze, prevaricazioni oltre ogni dire, disorientamento, battaglie, cattiveria allo stato puro. "In galera li panettieri, mo' che s'erano arriccuti" cantavano quelli della Nuova Compagnia di Canto Popolare qualche anno fa. Ma non potevi parlare. Il pane era di merda e te lo tenevi. Chi s'era ribellato contro il pane nero e schifoso sul quale gravavano gabelle pesantissime e ridotto dalle 33 once a 23, nero perché tutto c'era tranne che farina, chi lo aveva fatto azzardandosi a protestare con il cardinale Zapata, durante la festa di Santa Teresa del 1622, era stato poi giustiziato. Togliendogli "la carne da dosso con alcune tenaglie calde di fuoco" o "a botte di martello sulle tempie". Evviva quei cardinali e il loro "timor di Dio", "la loro carità cristiana". Se questa era la carità cristiana ci rifiutiamo di immaginare cosa dovesse essere il furore cieco dei Lanzichenecchi o l'ira parossistica de "li Turchi alla marina". L'inferno con tutti i diavoli scatenati doveva essere, al confronto,  una specie di dopolavoro per postelegrafonici.
Il quadro complessivo che la D'Alessio evoca è apocalittico, infernale, terribile. Il trionfo della morte di Jeronimus Bosch sembra qui evocato e concretizzato. Quella di Masaniello è una  vicenda umana terribile e affascinante, coinvolgente ci prende. 
Fino a qui, si potrebbe dire, nulla di strano,  sotto il profilo letterario intendo, chè le stranezze di questa storia napoletana non finiscono mai di meravigliare. La scrittrice, brava, ha scritto un buon romanzo. No. Non è così. Perchè non di romanzo si tratta ma di saggio. Sì, di un saggio, quelle prove di scrittura degli accademici che normalmente sono inintelligibili e terribilmente noiose. Siamo di fronte, non mi faccio alcuno scrupolo nel dirlo, ad un  saggio, a dir poco,  magistrale e scientificamente rilevante, come si usa dire non senza una certa magniloquenza in quel dell’accademia - e io ne sono esperto -, una saggio denso di citazioni, intessute le une sulle altre, con un’abilità che è difficile rintracciare anche negli storici più blasonati e navigati, esperti del loro mestiere. 
La D’Alessio tesse, incolla, lega, taglia, ricompone pensieri e frammenti, visioni, immagini, frasi, affermazioni, esclamazioni, sentimenti, dolori prendendoli dalle cronache note e inedite. E quel che colpisce è la leggerezza, la semplicità con cui opera. Una semplicità che diventa chiarezza estrema di lettura. 
Molti  gli inediti presenti,  frutto della sua ricerca originalissima, intelligente  e poco nota. E, come ho detto, con una semplicità che ha dell’incredibile,  ricostruisce la scena storica con tutti i suoi personaggi. E, lo dico con soddisfazione, restituisce alla figura del misero pescivendolo napoletano quella grandezza morale, quella prepotente personalità, quell’ingenua follia che solo la giovane età giustifica e permette. Quella follia che trasforma un esuberante giovanotto impegolato nelle difficoltà più urgenti del suo periodo e della sua condizione esistenziale,  in un esemplare capopolo, un politico intransigente e un capace trascinatore di masse.
Dunque, a mio parere, per averlo studiato a fondo e trovato utilissimo al mio lavoro di Lazzari, alla mia voglia di conoscere la storia di Napoli e uno degli episodi più importanti che l’hanno segnata, il lavoro della D’Alessio è quello di uno storico di grande spessore. 

Sicuro di avere a che fare con una collega, visto che ne trovo notizia sul web in qualche locandina, che la qualifica come “università di Salerno”, cerco nel sito ufficiale dell’Università di Salerno ma non riesco a rintracciare nulla. Mi compare solo Aurelio Musi, collega ordinario di quell’ateneo, che, peraltro è colui che ha scritto l’introduzione al libro Masaniello di cui stiamo parlando, pubblicato da Salerno  editrice, in una collana diretta  da Giuseppe Galasso. E Aurelio Musi ha parole di forte apprezzamento del lavoro della D'Alessio. 
Della D’Alessio trovo citato moltissime volte sul web il suo libro, recensito in più di un’occasione. Trovo un bellissimo articolo, sempre a firma della D’Alessio in risposta ad una baggianata detta da un professore universitario di cui non mi interessa ricordare il nome,  che avrebbe paragonato il comportamento di Masaniello a quello di un camorrista, e che, anzi, in Superquarck, non molto tempo fa , se ne sarebbe uscito sostenendo che Masaniello era effettivamete un camorrista. A riprova di questo ci sarebbe il suo mangiare a sbafo nelle bettole e il suo sfruttamente della prostituzione (della madre, della sorella e della moglie).
Naturalmente l'articolo di risposta della D'Alessio non lo trovo nel sito ufficiale dell'Università, che di questo dovrebbe occuparsi, ma in Nazione indiana, dove le è dato ampio spazio. 
Delicato,  leggero ma fermo, è l’intervento della D’Alessio che tra l’altro, dice che si sarebbe astenuta dal rispondere  se non la si fosse trascinata per i capelli perchè la tesi sulla presunta appartenenza di Masaniello alla camorra starebbe tutta nel suo libro. L'avrebbe ventilata lei. Che al contrario, respinge questa interpretazione e articola una risposta puntuale, ferma, convincente. 
Brava a rispondere in quel modo. Anche qui senza venir meno alla sua semplicità e alla sua forte tensione culturale. Poche semplici parole per dimostrare come la tesi di fondo del libro sia esattamente l’opposto. Ne esce fuori un Masaniello neorisorgimentale, per così dire, una figura di interprete a tutto tondo della volontà popolare di liberarsi dell’oppressione e dell’ingiustizia. Tesi che, ovviamente, non si può non sottoscrivere. 
Ma perchè scrivo questo?
Perchè non ho trovato, in tutte le pagine della Università di Salerno, nessun riferimento didattico, scientifico, culturale  alla D’Alessio. Una perfetta estranea. In bell’ordine tutto il cartello di ordinari, associati, ricercatori, aggregati, bidelli ecc. nonché, in prima linea,  Rettori e Presidi. 
Ma degli studiosi, quelli seri, quelli che danno l’anima e che chi legge apprezza e ne trae diletto, costrutto e conoscenza, nulla. 
Questa, miei signori, è oggi l’Accademia Italiana. Questo è il destino della cultura in Italia. Nazione di burocrati e  ragionieri della cultura. Che vanno in fieto, permettetemi il termine napoletano, quando vedono giovani in gamba fare bene il mestiere che loro dovrebbero fare in maniera magistrale ma che, ahimè, non riescono neanche a contenere nei limiti della decenza. 
E rimane confermata la mia triste impressione. Non solo nelle Facoltà di Architettura, di cui ho maturato una vita di esperienze e di totale disillusione,  il nonsenso e l’apparato trionfano dappertutto, in tutte le facoltà. E’ costume generale. Studiosi come la D’Alessio, diciamocelo pure, non ce li meritiamo proprio. 
Io comunque la ringrazio per la gioia e la profondità, l’innovazione e la capacità di tessere un saggio coinvolgente che è ha immesso nel suo lavoro. Un saggio acuto e trascinante come un romanzo ma profondo, colto e rigoroso come non mai, come si compete a un saggio di alto profilo. All’altezza dei più grandi saggisti che si sono occupati della tragica vicenda di Masaniello. 


Mi permetto di allegare il link all'articolo di risposta della D'Alessio su "Nazione Indiana":


Silvana D'Alessio, Masaniello e la camorra