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ebook di ArchigraficA

giovedì 22 settembre 2011

Lazzari, appunti sparsi ..., 3

Proseguo? Se no vi scoccia proseguo. Fatemi sapere ,,,

(ho parlato di Masaniello. Per il  momento anticipiamo una sua immagine)
Onofrio Palumbo, Ritratto di Masaniello

di Giacomo Ricci

Macché, non ha smesso di farmi male».

«Ma il dolore è più tollerabile?». La voce di Rosetta dall’altra parte del telefono appariva preoccupata. 
«Ma perché» aggiunse «una buona volta, non ti decidi a venirtene qua, io potrei …».
«No! No e basta. Che cosa ci farei in quel paesino sperduto? Dovrei stare a guardarti sistemare l’orto, le galline, i cani, i gatti. Magari imparare a fare torte e crostate e mettermi a impastare pastarelle, pastecresciute e sufflì dalla mattina alla sera? Scendere una continuazione di casa per farti commissioni in giro. Ogni mattina alle sei la corriera, avanti e indietro da Napoli ...».
«E perché no? Non ci vedo nulla di strano …».
«No! Tu sei capace di barcamenarti tra la tua laurea  appesa al muro, un quadretto dell’Immacolata e una ricetta di Frate Indovino. L’hai ridotta a una moppeen per pulire in cucina. Io voglio che i miei studi mi servano qui, in città, tra la gente. Ci sono venuto apposta. Ho abbandonato le comodità della Columbia University. Mi piace ‘a folla ‘e Napule.  Miezo ‘a folla sto bbuono!».
Il mio accento napoletano era penoso. Non mi liberavo del brooklynese imparato da giovane per le vie  di Manhattan e Little Italy.  Questo la faceva incazzare ancora di più. 
La discussione si gelò, come sempre accadeva quando parlavamo delle nostre scelte di vita. 
Le distanze diventavano enormi, di colpo. Se ne stette zitta per alcuni secondi. Avrebbe riattaccato. Lo fece.  La solita  dichiarazione. Bisognava vedere quanto sarebbe durata. 
Posai nero il telefono. Se ne stesse confinata ai margini del mondo, se le faceva piacere. A farsi fottere lei,  la terra, la campagna e tutto il resto. 
Ma senza di me. Non ero venuto fin qui dall’America in vacanza. Dovevo capire chi ero, a quale cultura appartenevo. I cani bastardi sono più intelligenti di quelli di razza. Gli umani non lo so. Certo sono più irrequieti. Smaneano. 

Per fortuna le pillole cominciavano a fare il loro effetto. Tirai un respiro di sollievo.  La ganascia stretta al collo del piede si trasformava in un sordo cordone di stoffa che si allentava a poco alla volta. Gli occhi si chiudevano a forza. Ma c’era ancora Arturo da sistemare. Non potevo lasciarlo fuori, sui tetti. Faceva più caldo e il cielo appesantiva densi neri cumuli di nuvole basse. Si sarebbe messo a piovere, come ogni notte.
Guendalina se ne stava già sdraiata ai piedi del letto, sprofondata con la testa all’insù e le zampe anteriori distese. 
Coraggio. Mi afferrai al bastone. Il mio chiodo al pavimento. Un’impresa quella che mi aspettava.
Il percorso era lungo. L’ingresso era nel lato opposto della casa che si sviluppava tutta in lunghezza. Tante stanze l’una dentro all’altra secondo il classico modello barocco napoletano.
L’ostacolo più grande era il dislivello a metà strada tra lo studio e la cucina, superato da una piccola scaletta interna. L’avevo trovata addirittura bella, con i suoi gradini di piperno lisciato, quando avevo affittato l’appartamento qualche mese prima. Fin quando non c’ero caduto. Va fongool.  Afoonah into ‘a merd. Mi sta bene. Accussì me mparo. 
Ma Arturo, il mio gatto nero, meritava lo sforzo.

Bella. Capelli e occhi neri, lucidi, pelle bruna e il corpo agile e nervoso. Great ass. Non me n’ero mai accorto. Occhiate distratte per le scale, quando capitava. Saluti in fretta. Poi sempre inghiottito dalla solita fretta, quella che, come una molla tesa dentro, m’impediva di seguire la vita più da vicino, accorgermi del suo scorrere.
Dovevo, insomma, ringraziare Arturo e il dolore al piede che mi aveva costretto a sedere sul piperno della finestra d’ingresso. E, nel buio che mi avvolgeva, senza rendermene conto avevo guardato fuori. Gli occhi mi si chiudevano per pasticche e sonno ma, nell’oscurità della notte, la finestra illuminata di fronte, anche se distante, aveva attirato la mia attenzione. 
L’avevo vista. Osservavo la schiena nuda, mentre, seduta sul pizzo del letto, si rivestiva con lentezza. L’uomo le era passato accanto e, dopo averle strusciato lentamente la mano sulla spalla, aveva posato il denaro sul comò, uscendo dal campo visivo della finestra. Lei si era alzata per seguirlo. Lui l’avevo riconosciuto per la testa  rasa. Lo chiamavano ‘o Capaliscia. A perfectly skinhead. Manovale del pizzo di quartiere. Capo dei fuochisti.
La luce si era spenta lasciandomi nel buio dell’ingresso con Arturo che aveva poggiato la testa sul mio ginocchio. Se la lasciava carezzare e faceva le fusa.



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